Tra i pittori dell'inverno di Marziano Bernardi

Tra i pittori dell'inverno L£ MOSTRE d'ARTE di Marziano Bernardi Tra i pittori dell'inverno Quando si pensa agli « Inverni » dei pittori nordici, specialmente fiamminghi e olandesi, subito il ricordo corre al capolavoro massimo, insuperato: I Cacciatori nella neve, del Kunsthistorisches Museum di Vienna, una delle cinque tavole che Pieter Bruegel il Vecchio dipinse nel 1565 per rappresentare « I mesi », e che la maggioranza dei critici ritiene esser le superstiti d'un complesso di dodici, mentre il Toinay avanzò l'ipotesi che fossero non più di sei, simboleggiami i mesi a bimestri; e allora mancherebbe soltanto il quadro relativo all'aprile-maggio, trovandosene tre a Vienna e gli altri due a Praga ed a New York. Togliamo questa precisazione dal commento filologico di Piero Bian coni nell'eccellente Bruegel pre sentato da Giovanni Arpino nella f.ol'ana Rizzoli dei « Classici delarte », una del e più utili im- ptese editoriaii ita|^ne ne, cam. po della letteratura artistica. Mai fu espressa con altrettanta intensità, come in questo vasto terreno Innevato, tutta la poesia del paesaggio nordico nella sua greve tristezza non priva di maestà, scrisse lo storico Michel; e le brune sagome dei cacciatori e dei cani, i neri profili dei corvi appollaiati sugli alberi spogli, le minuscole figurette che nel fondo dell'ampia valle si agitano pattinando sulle superfici ghiacciate, la donna imbacuccata che trascina una slitta, quella che traversando un ponticello regge in capo un gran fascio di legne, l'altra che attizza il fuoco presso la soglia d'una rustica osteria, il senso di 9el° ma insieme di fer vorosa, quasi affettuosa, dome stica viT^ paesana che emana dalla veduta, tutto — persone, cose, natura — trasforma la rap presentazione allegorica in una testimonianza di straordinaria ve- rita umana. E ciò senza che trapeli il minimo sforzo di ridurre a creazione artistica un tema di quotidiana realtà: come se il pittore stesso divenisse spontaneamente attore della scena da lui inventata; come se il suo quadro non fosse altro che lo specchio del suo modo di essere, di sentire, di vivere. E' per questa rispondenza perfetta tra l'ambiente e l'arte che in esso e per esso nasce (sintonia tipica della pittura dei Paesi Bassi) che i più persuasivi e suggestivi - pittori dell'inverno » furono e restano, fin verso la prima metà dell'Ottocento, I pittori fiamminghi e olandesi. Ne abbiamo ora a Torino una conferma con la piacevole mostra che Giorgio Caretto, uno specialista nell'antica pittura dei Paesi Bassi, ha allestito nellj sua galleria di via Maria Vittoria 10. riunendo una cinquantina di pitture pazientemente ricercate per anni sui mercati e nelle collezioni private londinesi in prevalenza, ma anche d'Italia e Francia; tutte di paesaggi invernali, quasi tutte animate da figure. Il pubblico che frequenta la Galleria Sabauda di Torino ritrova in questa mostra nomi conosciuti, come quelli di Jan Griffier (Amsterdam 1656-Londra 1718) o di Joos de Momper (Anversa 1564-1635) o di Roelof van Vries (1631-1681): in altri si imbatte di ugual prestigio, come quelli di Jan van de Capello o di Aert van der Neer o di Esaias van de Velde; osserva incuriosito le figurine che nel quadro del Leytens ripetono puntualmente quelle del Callot della Fiera dell'lmpruneta (il pittore fiammingo conobbe a Firenze il celebre incisore francese). Ma soprattutto nota come l'interpretazione del paesaggio invernale sia diversa tra un artista del Nord e un artista del mezzogiorno europeo. Se ne può fare il confronto nella raccolta del Caretto, esaminando gli « Inverni » del napoletano Domenico Brandi, del bolognese Francesco Foschi, del partenopeo Filippo Napoletano, e — più vicini a noi — di Giuseppe Palizzi e di quel delizioso « piccolo maestro » che fu il piemontese Brivio, un pittore ottocentesco del quale mancano tuttora i dati biografici e che meriterebbe d'essere studiato a fondo, forse anche in rapporto col Bossoli. Per il pittore mediterraneo si potrebbe dire che l'inverno resta un episodio stagionale, una ■ temporaneità » da superare con fatica e con tedio in attesa della luce e dei colori e dei tepori della primavera. Per il pittore fiammingo ed olandese (ma anche per l'inglese come il Morland) l'inverno è un modo di vivere naturale e congeniale. Ancor nell'Ottocento un Leendert Koningh o un Vermeulen o un Duntze vi si adagiano come su un letto di piume, esaltano i giochi invernali, respirano con voluttà l'aria brumosa che avvolge di grigi veli un paesaggio pieno di figure, ma nel quale non risuonano voci. Le vacche dell'ottocentista inglese Talmage potrebbero esser firmate dal piemontese Carlo Pittara: ma al protagonista della Scuola di Rivara non sarebbe mai venuto in mente di adagiarle nella neve, compiaciute come nel loro elemento naturale. mar. ber.