La bambina nelle mani dei rapitori di Franco Giliberto

La bambina nelle mani dei rapitori La bambina nelle mani dei rapitori (Dal nostro inviato speciale) Milano, 16 novembre. «Perché piangi, perché gridi?». «Hanno rapito mia sorella, un momento fa!». La ragazza trema, il passante che le ha rivolto la parola rimane allibito, si guarda attorno. Non c'è nessun altro lì vicino che cammini sul marciapiede, i tigli ai bordi della via nascondono appena un po' la visuale sul traffico d'auto ininterrotto. Da una tintoria a pochi passi esce una donna, si avvicina ai due, appoggia una mano sulla spalla della ragazza: «Che cosa è successo, chi hanno rapito?». La giovanetta non risponde, si divincola, corre verso casa. Cinquecento metri col cuore in gola, l'ascensore fino al terzo piano, la porta familiare. Al padre e alla madre, che aprono l'uscio, racconta, tutto d'un fiato, la sua angoscia. La voce le esce di gola stridula: «Nicoletta, Nicoletta. L'hanno presa e caricata su una macchina. Erano tre. Uno mi ha spinta contro il muro, mi ha premuto una pistola nel fianco. Gli altri due hanno afferrato Nicoletta. Non c'era nessuno ad aiutarci, nessuno ha visto quello che stava capitando. Mamma, che cosa facciamo...». In casa di Mario Di Nardi, 40 anni, rappresentante di gioielli, la notizia che la figlia terzogenita era stata rapita è arrivata così. Erano le otto di stamane. Grazia Di Nardi, 13 anni, la ragazza che, sconvolta, ha portato a casa il terribile annuncio, è l'unica testimone del rapimento. Nella tarda serata, mentre scriviamo, gli inquirenti non hanno ancora raccolto un solo elemento apprezzabile sui rapitori. Svaniti nella foschia che avvolge Milano, e con loro Nicoletta, 11 anni, studentessa di prima media, dal buon profitto. L'aggressione. I rapitori erano quattro, si erano appostati in via Labeone, con un'Alfetta rubata, nella zona di Città Studi. «Da gualche giorno — racconta Grazia Di Nardi — avevo l'impressione di essere spiata quando, al mattino, con Nicoletta per mano uscivamo di casa per andare a scuola. Ma non so dire da che cosa nascesse questa impressione, forse dal fatto che uno o due individui bighellonavano agli angoli di qualche strada, lungo il tragitto che facevamo. Stamattina, quando ho visto tre uomini davanti a noi, fermi accanto a una macchina azzurra, mi si è stretto il cuore. Ho chiuso bene nella mia la mano di Nicoletta, affrettato il passo per superarli. E' accaduto in quel momento, ci sono saltati addosso». Uno dei malviventi è rimasto al volante dell'Alfetta azzurra, due hanno sollevato Nicoletta, il terzo ha sospinto Grazia contro il muro puntandole una pistola. «Erano di bassa statura, direi sui 35-40 anni — ricorda Grazia —, ma non ho potuto vederli bene in faccia. Ho appena scorto i loro lineamenti perché sul volto si erano messi delle calze di nylon. Tutto è durato cinque secondi, non di più. Quando sono saliti in auto con Nicoletta, mi è sembrato d'impazzire. Non c'era una persona da fermare, nessuno che mi desse una mano. Una persona mi si è avvicinata poco dopo; quando le ho detto di Nicoletta, è caduta dalle nuvole». La rapita. Nicoletta Di Nardi è una graziosa bambina bruna, di buon carattere, sveglia. Frequenta la prima media dell'istituto «Maria Immacolata», una scuola retta da suore, ma con insegnanti anche laici, a circa un chilometro da casa sua. Nicoletta ha tre sorelle e un fratello: Grazia, che fa la seconda media nella sua stessa scuola; Dario, di 12 anni; Alberto, di 9, e Simonetta, di 7. Il padre e la madre di Nicoletta sono annichiliti dal terrore, non riescono a parlare della loro figlia, pronunciano poche frasi. I genitori. Mario Di Nardi non è ricchissimo. « Se vendesse anche i pantaloni — dice un amico di famiglia — riuscirebbe ad ammucchiare s't e no cento milioni». Qualche anno fa è stato sull'orlo del fallimento. Ha sempre commerciato in preziosi, soprattutto in oggetti d'argento. Dice: «Avevo paura che accadesse qualcosa di grave, ma a me, non ai miei figli. Pensavo a una rapina e per questo da qualche settimana avevo portato in banca la valigia di preziosi che contiene i miei campionari. Proprio tre giorni fa sono stato nominato membro della "Borsa dei diamanti di Anversa". Tratto questo genere di gioielli, li ritiro per i negozianti che me li chiedono. Il mio è un lavoro da intermediario. Dopo un periodo burrascoso, da circa un anno e mezzo le cose cominciavano ad andarmi bene. Ma non ho un gran conto in ban¬ ca. Non so più cosa pensare. Forse i rapitori hanno preso di mira me perché hanno visto su due settimanali che facevo pubblicità alla mia rappresentanza. Un conto è maneggiare diamanti per incarico di terzi, un conto è comprarli e possederli. Ma non mi si fraintenda, io per Nicoletta sono comunque disposto a tutto, mi venderò anche la camicia se necessario ». I Di Nardi abitano in via Zanelli 41, in im condominio signorile. A vedere il loro appartamento si ha l'impressione che si tratti di benestanti ma non di gente che vive nel lusso. Le indagini. L'«Alfetta» che è servita a rapire la bambina è stata trovata dalla polizia un chilometro lontano dal luogo dell'aggressione, presso un cavalcavia, in via Piranesi. Il capo della squadra mobile, dottor Pagnozzi, dice: «Aveva una targa falsa, che apparteneva a una vecchia "500" ora demolita. Accanto all'auto abbiamo rinvenuto lo zainetto con i libri di Nicoletta e le sue scarpe, un paio di mocassini. Dobbiamo pensare che la bambina si sia agitata, per questo può aver perso le scarpe in macchina. Nell'auto c'era una bottiglietta vuota. Stiamo facendo analizzare il vetro, per sapere che liquido contenesse. La sorella di Nicoletta non ha visto tutto nei dettagli, forse è vero che i banditi hanno premuto un tampone con etere o cloroformio sulla bocca della rapita; forse è soltanto un'ipotesi. Tre brandelli dì calze femminili (un collant tagliato in tre parti) erano in una pozzanghera accanto all' "Alfetta". Soìio le "maschere" usate dai malviventi. Nessun elemento invece sulla macchina che è servita ai rapitori per il trasbordo da via Piranesi. In un primo tempo sembrava buona la versione di un teste, che parlava di una jeep rossa e nera, di cui aveva annotato il numero di targa. Ma quella targa appartiene a una "127" che ha un legittimo proprietario, circola liberamente per Milano. Compiuto questo accertamento, abbiamo abbandonato la pista. Evidentemente il testimone si è sbagliato, ha scritto dei numeri errati. Tutto quanto abbiamo raccolto — e purtroppo non è granché — ora è al vaglio del sostituto procuratore Alberto Lami». Una telefonata. Mezz'ora dopo il rapimento, in casa Nardi è squillato il telefono. Una voce contraffatta ha annunciato che Nicoletta era «in buone mani». Mario Di Nardi ha sentito dire: «State tranquilli, ci rifaremo vivi». Il dottor Pagnozzi conferma la veridicità di quest'episodio. Non avalla invece un'altra versione dei fatti, che nasce da un'indiscrezione: i rapitori avrebbero chiesto, con quella prima telefonata, un riscatto pari a un miliardo di lire, ma non in biglietti di banca, bensì in gioielli, forse in lingotti d'oro. Le ipotesi. In queste ore la famiglia Di Nardi è assistita dall'avvocato Vincenzo La Manna. E' lo stesso legale che, con il collega Federico Sordillo, difende Luciano Liggio «pezzo da novanta». Avranno i rapitori, in considerazione di ciò, un minimo di timore reverenziale? Dice La Manna: «Io per i Di Nardi sono un amico di famiglia, per questo sono venuto subito a dargli un aiuto, quando ho saputo di Nicoletta. Non facciamo altre allusioni, per carità, non è assolutamente il caso, vista la situazione. Sto cercando di rendermi conto del tipo di individui che abbiamo di fronte in questo momento. Sono sinceramente stupito. La consistenza economica di Mario Di Nardi è tutt'altro che brillante. Non ha capitali, i preziosi che maneggia gli sono affidati per la vendita, non può disporne a piacimento. Penso che chi ha preso Nicoletta non lo sapesse, si sia fidato di informazioni superficiali, abbia fatto male ì suoi calcoli. La famiglia è pronta a qualsiasi sacrificio, questo è chiaro, ma non si potrà chie¬ derle di fare ciò che non è assolutamente nelle sue possibilità materiali». Chiediamo all'avvocato La Manna se sia vero che i rapitori, al telefono, hanno domandato un miliardo di riscatto da pagarsi in gioielli oppure oro. Smentisce categoricamente. Gli chiediamo di darci una risposta in relazione a questa ipòtesi: se Mario Di Nardi avesse ricevuto una partita di gioielli «poco puliti» da piazzare e li avesse venduti senza versare il ricavato a chi gli aveva affidato la «commissione». L'avvocato risponde: «E' una storia che non sta in piedi, da romanzo giallo, con nessuna credibilità. Chi avanza queste ipotesi vorrebbe far credere che Mario è vittima di una vendetta? Ma ammesso che così fosse, non si va a rapirgli una figlia! Oltretutto quanto a creditori, Mario ha aggiustato tutti i suoi debiti. Con il commercialista dottor Ruggiero di Alessandria, sono proprio io che tempo fa l'ho assistito in un momento economico preoccupante; è un pezzo che tutte le sue pendenze sono state sistemate». I genitori della bambina hanno lanciato un appello ai rapitori, attraverso la stampa, la radio e la televisione, perché alla figlia continui ad esser data una medicina che le aveva prescritto il medico. La bambina deve infatti prendere due volte al giorno mezza pastiglia di « Gamibetal Complex 250 ». Franco Giliberto imt Milano. Grazia Di Nardi, sorella maggiore della rapita Milano. L'angolo di via Lomcllina dove ieri è stata aggredita e sequestrata Nicoletta Di Nardi (Telefoto)

Luoghi citati: Alessandria, Anversa, Città Studi, Milano