Una "ricerca d'identità,, in capolavori di due secoli di Marziano Bernardi

Una "ricerca d'identità,, in capolavori di due secoli Mostra a Milano: da Géricault a Burri Una "ricerca d'identità,, in capolavori di due secoli (Dal nostro inviato speciale) Milano, novembre. Quello dell'identità dell'individuo pensante è uno dei problemi che più assillano gli psicologi, i sociologi e di conseguenza, dopo Kierkegaard, Hauser, Sartre, Malraux, Huyghe, (e dato che da quasi un secolo l'angoscia, figlia dell'alienazione dell'io dal mondo, è divenula elemento principe della creazione dell'immagine) gli artisti. E' dalia sfera della filosofia, e quindi anche della filosofia dell'arte, che la parola « identità », le locuzioni « ricerca » o « perdita » o « ricupero dell'identità », sono scivolate, spesso con stravolgimento di significato, nel linguaggio comune e particolar- mente dei politici, diventando poi per gli artisti addirittura pane quotidiano come altri modi di dire, per esempio « nella misura che » o « mandare avanti il discorso », recentemente canzonati da Arbasino. Ma che cosa è l'« identità »? Rispondono i dizionari. Nella terminologia filosofica: « Persistenza dell'unità del soggetto o delia cosa attraverso il mutare degli attributi e degli accidenti»; è dunque un « principio logico che afferma che una cosa o un concetto è quello che è e non altro ». Nella terminologia giuridica: « L'essere una certa persona, proprio quella di cui si tratta»; di qui, scendendo al volgare burocratico, « carta di identità », cioè « documento di riconoscimento » da esibire alla polizia e negli uffici per farsi « riconoscere ». Genericamente, infine, «Essere identico»: come due firme da confrontare. Se ora passiamo al campo artistico vediamo che il processo di identificazione è fondamentale per il rapporto tra l'opera e l'artista; e confermare questa verità sul piano di una documentazione perentoria (e tanto più perentoria quanto più alta di livello estetico) sarebbe il compito assunto dalla grande mostra di quasi trecento pitture, sculture, disegni, incisioni presentata a Milano venerdì scorso (durerà fino al prossimo 15 gennaio) nel Palazzo Reale, progettata da Gianfranco Bruno che ne ha anche curato il catalogo pubblicato dalla « Electa Editrice », e da lui ordinata con un comitato di esperti. Perciò la mostra si intitola « La ricerca dell'identità ». La trama Questa ricerca, a dire il vero, è sempre stata implicita nell'operazione artistica. Non possiamo concepire un artista — se è tale, cioè poeta, e non soltanto esecutore — che scinda il contenuto dell'opera dal suo intimo sentire e mentisca quindi a se stesso. Lo ammette anche il Bruno, ma subito soggiunge che la mostra, compresa in un arco che va dagli inizi del XIX secolo ai giorni nostri caratterizzandosi nell'ambito prevalentemente psicologico o come riflessione sulla socialità dell'individuo, « parte da quel particolare momento storico nel quale, in coincidenza col verificarsi di determinate condizioni sociali, grosso modo identificabili con l'attuarsi del processo di industrializzazione, l'opera dell'artista assume valore di testimonianza di una più diffusa crisi dell'identità », e da autore ad autore, da Géricault coi suoi « Alienati » a Burri coi suoi « Sacchi », segue l'itinerario storico della crisi e della ricerca della identità, la quale coincide «nelle sue grandi linee, con la storia stessa dell'individuo alla ricerca della propria identità personale ». L'imputato Ciò, ripetiamo, è sempre avvenuto da quando un pittore prese il pennello in mano, uno scultore la stecca, per « riconoscersi » nella propria opera. Ma qui si trattava, conseguentemente alla ideologia attuale predominante, di additare il grande imputato: la civiltà industriale, alias il capitalismo, la borghesia, il consumismo, la alienazione; e di redigere, sul margine bianco d'una sequenza d'immagini stupende, l'atto di accusa « di una violenza sociale che determina lo scindersi della società in opposte categorie »: quella degli «integrati all'economia del potere », quella dei « rinchiusi nell'ossessione di una loro identità socialmente rifiutata ». Nel caso di Géricault, pittore di tragici volti di schizofrenici, testimone di accusa sarebbe la « oggettività di una tipologia umana desunta dagli strati sociali emarginati ». Lungi il pensiero d'una difesa d'ufficio; e sugli immani delitti di una società incapace di redimersi cada senza attenuanti il verdetto di condanna. Ma è il codice di procedura penale che non convince. Nasce il dubbio che il Géricault del ritratto di « Alienato affetto da monomania del ratto dei fanciulli », concesso a questa mostra dal museo di Springfield, volto di spaventosa intensità ossessiva, non sia per nulla diverso, dal punto di vista propedeutico, dal Géricault del « Corazziere ferito » del Louvre, nel quale sarebbe ridicolo cercare una emarginazione sociale che non sia quella d'un soldato che lascia il campo di battaglia. Il sommo pittore anticipava, nel suo empito romantico, il realismo sperimentale di Courbet, e cercava delle espressività umane. Non vediamo che cosa c'entri la ricerca dell'identità in una immagine non differente come intento rappresentativo da un ritratto di Lorenzo Lotto, dipinto del resto in un'epoca in cui le emarginazioni sociali non erano certo dissimili da quelle dell'Ottocento e del Novecento. Forse un discorso non molto diverso si potrebbe tenere per Ensor, qui copiosamente e magnificamente rappresentato dalle sue tragiche maschere, dai ritratti allucinanti, da quegli « Strani insetti » che precedono di ventiquattro anni un famo¬ so racconto di Kafka, «La metamorfosi ». Per lui, come per il Munch dell'« Urlo » e della « Melancolia », come per il Redon di « Quando la vita si svegliava nel fondo della materia oscura » ch'è la traduzione plastica del grido « Etre la matière! » della « Tentation de Saint-Antoine » di Flaubert, l'abisso dell'inconscio spalanca le sue voragini tenebrose: alla realtà vista in luce diurna, sottentra il lato notturno della vita, lo scandaglio di situazioni che stanno dentro ed oltre l'aspetto razionale delle cose. Entrano in scena gli espressionisti tedeschi, da Heckel a Kirchner a Meidner a Kubin, e austriaci da Gerstl a Schiele; gli uomini della Briicke; i pittori del mistero come Klee. E a questo punto la mostra milanese per la ricerca dell'identità si apparenta con quelle torinesi, indimenticabili, dei maestri surrealisti e simbolisti; ma se vi è Savinio ci si domanda perché non vi sia de Chirico. Con l'avvicinarsi ai giorni nostri la tesi vacilla (se pur sia convincente nei testi precedenti). Certo Bacon e la Richier, Giacometti, Mary Barnes, Michaux, Ernst, Picasso, Sutherland, offrono testimonianze importanti di una recherche cosi poco proustiana. Ma chiamare a un banco di prova contemporaneamente Guttuso (rivediamo la famosa « Crocifissione » del 1942), Mafai, Sironi, Dix, Grosz, Ben Shahn, con Tapies, Burri, Wols, Gorky, e artisti quasi iperrealisti come LopezGarcia o Kienholz e artisti fantastici come Pollock, De Kooning, Tancredi, ci sembra un gioco alquanto artificioso d'una intelligenza e cultura sofisticate, più che una dimostrazione con dati di fatto. Nemmeno la ripetizione seriale di Warhol nel « Ritratto di Marina » è una ricerca dell'identità. Tuttavia la mostra è un'occasione per vedere o rivedere opere capitali come l'« Autoritratto » di Van Gogh del Rijksmuseum di Amsterdam; e con questo scopo bellissimo va visitata. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Amsterdam, Milano, Springfield