"Non voglio vederlo,, grida il padre del bandito ucciso nella sparatoria di Remo Lugli

"Non voglio vederlo,, grida il padre del bandito ucciso nella sparatoria Dramma nella famiglia del rapinatore morto in banca "Non voglio vederlo,, grida il padre del bandito ucciso nella sparatoria Ex maresciallo della Guardia di Finanza, ha 76 anni - "Ho fatto il possibile perché non diventasse un delinquente, ma non c'è stato niente da fare. E' un'onta terribile" Arrestato il complice: sarebbe stato lui ad uccidere il carabiniere (Dal nostro inviato speciale) Milano, 15 novembre. Si alza dalla poltrona con tutta la rapidità che gli consente la sua età avanzata, 76 anni, si gira verso il figlio, le guance e gli occhi accesi dalla rabbia, la mano destra che si agita a vuoto, la voce tonante, alterata. «Non lo voglio qui, se lo venite a seppellire in questo cimitero io me ne vado». Il figlio cerca di calmarlo. «Babbo, faremo come potremo, cercheremo di seppellirlo a Briosco, dove si trova adesso. Io me ne interesso solo perché tu non abbia altri fastidi, perché non lo portino con un furgone davanti a casa e ce lo piantino qui». Quello che parla è il figlio buono, perito industriale, 39 anni, già accasato a Milano. Parlano, lui e il padre, del figlio cattivo, la pecora nera, Michele Cristofalo, 32 anni, che ieri, nel tentativo di rapinare una banca a Briosco, ha perso la vita; e con lui è morto anche il carabiniere ventenne Attilio Lombardo che l'ha ucciso con una raffica di mitra. Nell'animo del padre, Cosimo Cristofalo, originario di Avetrana (Taranto), non c'è dolore per la perdita del figlio, ci sono ira e vergogna per l'ultima sua impresa de-1 littuosa e per tutta la sua vita spesa nella delinquenza. «Sono contento, sono contento che sia morto — mi ripete —. Non capisce che onta che è, questa, per me e per la mia famiglia, dopo una vita tutta onorata? Ho trascorso trenVanni nella Guardia di finanza, congedandomi nel '45 col grado di vice-brigadiere e poi per dieci anni ho fatto il vicecapoguardia alla Montecatini. E adesso questo figlio mi getta fango in faccia andando a fare una rapina». Pronuncio qualche parola di circostanza: è sempre un figlio... di fronte alla morte... «No, no — ribatte lui — doveva darmi retta quando era ancora ragazzo e io sempre gli ripetevo di fare a modo, di abbandonare quegli amici, ma lui non mi voleva ascolta- re». Siamo nella cucina-salotto della sua abitazione, a Seveso, in via Montecatini 10. Una casetta a due piani, divisa in diversi settori, ogni porta ha davanti un fazzoletto di giardino, alla maniera inglese. «E' a riscatto, la stiamo ancora pagando». Non c'è teri .osifone, una tenue fiammella di gas s'intravede al fondo di una stufa, il tubo attraversa il locale. Non c'è caldo; sull'ottomana, le gambe avvolte in un plaid, le spalle coperte da uno scialle, sta rannicchiata la madre del bandito, Rosa Forleo, 61 anni, i capelli bianchissimi arruffati. Piange a tratti, in silenzio. Interviene nel discorso, di tanto in tanto, per precisare una data, per aggiungere il nome di una città nel cui carcere il figlio è stato ospite. Ha parola confusa per un difetto di pronuncia. Il figlio «buono» parla poco, è appena arrivato da Milano portando con sé l'excognata, Carla Zucchetti, 30 anni, che aveva sposato Michele e un mese fa aveva ottenuto la sentenza di divorzio. E' una donna alta, forme incisive, capelli fulvi. Lei parla, ricorda. La figura del bandito viene fuori a poco a poco attraverso il racconto di piccoli episodi e la rievocazione di fatti drammatici che queste quattro persone, unite nel dolore, nella rabbia, nella vergogna, fanno forse con la speranza di svuotarsi del loro peso. «Sempre vivace è stato, sin da bambino — dice la madre — e difficile da guidare, disubbidiente. Però non mi si è mai ribellato. Ascoltava, taceva e faceva di testa sua». «Era come parlare al muro — interviene il padre —. Non ascoltava noi, ma gli amici». Michele aveva frequentato la terza commerciale a Cesano Maderno, poi era andato a fare il meccanico, dimostrandosi subito instabile: cambiava frequentemente posto di lavoro. Infine, a 16-17 anni, la dimostrazione chiara del suo carattere delinquenziale. «Una sera gli dissi che se non rientrava entro le 23,30 l'uvrei lasciato fuori — dice il padre —. E infatti non gli aprii, restò a dormire su un'automobile. Una volta lo picchiai anche, ma quella volta solo: era evidente che non serviva a nulla». Poi il primo furto di auto, il primo carcere, Monza, e via via tutti gli altri: Desio, Lecco, «San Vittore», eccetera. «Aveva viaggiato tutta Italia, di prigione in prigione», dice la madre. Nel '68 il matrimonio. «Che vita matrimoniale! — esclama l'exmoglie —. Siamo stati insieme appena un mese e sei giorni, poi l'hanno incarcerato per la rapina al notaio Raccuglia di Pioltello. S'è buscato sei anni. C'è stato un intermezzo: l'evasione dal carcere-fattoria di Gallarate. E' rimasto fuori nove mesi durante i quali si faceva vedere in giro, veniva anche a casa; carabinieri e polizia lo incontravano, ma non se ne accorgevano. E lui aveva voglia di tornare dentro, tanto sapeva che prima o poi doveva scontare la pena. Infine lo beccarono a Como, in un posto di blocco, sull'auto aveva due pistole». «Gli amici gli avevano chiesto di tenergliele», interviene il padre in un'inconscia difesa del figlio. Riprende l'ex moglie di Michele: «Il suo più grosso difetto era quello di non saper mai dire di no: aveva un carattere debole, si lasciava guidare dagli amici. In fondo era buono ». Remo Lugli Attilio Lombardi

Persone citate: Attilio Lombardi, Attilio Lombardo, Carla Zucchetti, Cosimo Cristofalo, Desio, Forleo, Michele Cristofalo, Raccuglia