Fiabe della povertà

Fiabe della povertà Fiabe della povertà Un altro recupero dai solai dell'800, dagli umori di un'Italia contadina Emma Ferodi: «Fiabe fantastiche, Le novelle della nonna introd. di Antonio Faeti, Ed. Einaudi, pag. 610, lire 15.000. Quando ci troviamo davanti ad un buon recupero di un'opera letteraria del secolo scorso, non possiamo fare a meno di considerare quanti gioielli e quanta bigiotteria di gran classe si possano e si potranno regalare ai nostri giorni, rovistando i solai dell'«Ottocento minore ». Questa è la volta della fiaba. L'autrice del volume Fiabe fantastiche è Emma Perodi: fiorentina (nacque nel 1850), scrisse molti libri per ragazzi, fu una attiva operatrice culturale — si trasferì, nell'85, a Palermo per coordinare i programmi di una casa editrice specializzata per l'infanzia — diresse il Giornale per i bambini fondato da Ferdinando Martini. All'analisi dei giacimenti antroporeligiosi e folclorici, che sono le sotterranee miniere della fiaba, si sono dedicati studiosi come Frazer e Propp e Lévi-Strauss, come Croce e Uocchiara: ma la nota che Faeti premette ai racconti perodiani è sostanziosa di indicazioni di prima mano. La cornice delle quarantacinque fiabe, è una cascina del Casentino: traboccante di gente che lavora sodo e gode di un buon pranzo solo se c'è un matrimonio, e alla sera sta ad ascoltare una saggia nonna. Regina, che racconta; intanto, il tempo si consuma, due giovani passano dalle schermaglie amorose al primo figlio, c'è l'interferenza di una famiglia « di città »: la quieta morte della vecchia chiude le storie. Le eroine, i protagonisti di queste fiabe, somigliano ai contadini, alle contadine della famigliona di Regina, ne hanno le facce bianche e rosse e la semplicità, anche se il vestito, a volte, è più bello, è quello di una nobildonna di Poppi o di un conte di Romena: perché (è il maggior pregio della Perodi) sono fiabe della povertà, storie per chi nel pan di lepre vede la celebrazione di un giorno gaudioso. Sono novelle che toccano uno spazio esiguo: battaglie o cataclismi, apparizioni sante o diaboliche, avvengono nella stretta scena casentina; nello sfondo, lontanissima, Firenze: già un altro mondo, splendido e nemico, già « città » con fasti e tragedie dei quali, in campagna, non arriva che un tenue suono, un baluginio d'armi. I santi e il Diavolo che passeggiano in questo fittizio, dimesso medioevo della Perodi, sono anch'essi assai poveri: immaginette da attaccare a capo del letto, selvatici angeli da presepe rustico, disadorni ex voto: il Diavolo non è che un mattacchione puzzolente dai modi cafonescamente intimidatori, che ama i travestimenti (quando compare nelle sembianze di un gattaccio, è più un guardaporte protervo che un malizioso seduttore) e non si cruccia troppo se una devota fanciulla lo fa sprofondare all'Inferno. I buoni sono belli ma non splendidi, i cattivi hanno un aspetto spiacevole ma non orrendo; il paesaggio, sia che vi si muova la pastorella guaritrice o il conte che combatte il marchese del castello accanto, è lo stesso: terra da lavorare o bosco da legna. Anche i talismani sono poveri: un pezzetto di stoffa, una rocca per filare; i doni degli eremiti — tradizionali nella fiaba italiana —, la noce, la nocciola e la castagna che contengono insetti fatati, sembrano qui ancora più miseri, e i serpenti non sono tremendi basilischi ma modeste bisce d'acqua; bastano due monetine per compensare una potentissima maga. Lo sgangherato Diavolo, che sovraintende a incantesimi straccioni, raccatta anime di poveracci adescandoli con due tordi al forno e un bicchiere di vin di Pomino e fa 10 screanzato irrompendo rumorosamente nel ballo dei signori: mentre San Giuseppe regala a un ragazzo infelice i suoi utensili da falegname e 11 pettirosso del Calvario, dona a Biancospina la vacca magica. Perfino il tesoro di Salomone sa di cianfrusaglia da compagnia teatrale viaggiante: qualche collana e qualche rozza corona da re. Dalla realtà contadina a questa fiaba casareccia, il passo è breve: basta che la vacca dia mille litri di latte al giorno e la lana filata protegga dai colpi di spada, o che il Diavolo diventi una capra quando è il caso di darsela a gambe. Questo Diavolo, impiccione dal cervello fino, è l'assolo dispettoso che un coro di santi combatte: il divertente è che non basta la buona fede di due vecchi che credono di poter mangiare maccheroni per intercessione della Madonna (il Irate che li incoraggia è il Diavolo travestito), e s'abbuffano in un giorno d'astinenza, a salvarli dalla dannazione, e che la macchiolina rosa di una parola di civetteria basterà a perdere l'anima di una ragazza. Cristo, come un contadino che vede la vigna rovinata dalla tempesta, piange e dice: « li Diavolo è ben più potente di me! ». La fiaba più avvincente è « Il barbagianni del Tr-avolo ». E' difficile trovare in una fiaba un collage tanto riuscito di stupori gotici, di avventura scaraventata nella follia, di giallo onirico: con personaggi che soffrono di fissazioni farneticanti. C'è suor Maria Visdomini (che racconta a un inviperito lanaiolo sogni oscuri) che in questa galleria di miracoli naif ha una collocazione davvero ambigua. La Perodi, con innocenza, la fa agire a fin di bene: ma noi siamo colti dal sospetto che la monaca vaticinante sia uno scherzacelo sacrilego del Diavolo. Rossana Orv.bret,

Persone citate: Antonio Faeti, Einaudi, Emma Perodi, Faeti, Ferdinando Martini, Frazer, Perodi, Strauss

Luoghi citati: Firenze, Italia, Palermo, Poppi