Un vicentino per il mondo di Stefano Reggiani

Un vicentino per il mondo Un vicentino per il mondo Era un veneto internazionale, la razza più difficile, da quando la storia ha chiuso gli splendori della Repubblica Serenissima. Viaggiava ed era in patria, nello stesso tempo; europeo e vicentino, con uguale naturalezza. Piovene si denunciava subito, dal modo di parlare. Non aveva acquistato nessun birignao accademico o influsso colto: parlava secondo il dialetto, allargando e degustando le vocali, cantilenando l'italiano in una forma di corruzione aristocratica e fanciullesca. Quindi le fonti espressive, l'emozione erano regionali; ed il filtro letterario (che dall'intento moraI listico giungeva alla chiarezI za del dettato) veniva dopo. I E' pericoloso adesso fare i semplificazioni, pensando al i Veneto dell'anima, dove con; fluiscono cattolicesimo e ambiguità, sofferenza e derisione. Quanto, di questi vizi regionali, è stato «inventato» dalla letteratura? E quanto invece si deve proprio ai luoghi e alla loro storia? Quanto direttamente a Vicenza, fra tutte, la città veneta più ! doppia e poetica? Insomma, in che rapporti stanno Vi! cenza e il romanzo? Non si j saprà mai con certezza se I Fogazzaro, Piovene e i loro : eredi si siano cucita addosso j la vicentinità o l'abbiano trovata idealmente confezionata I nelle prigioni dello spirito. Piovene diceva di Vicenza: «Le devo e le dovrò forse la parte migliore della mia opera». E quando gli capitò di rivisitarla per il suo Viaggio in Italia, di doverla rivedere con occhi professionali, fuori della consuetudine, trovò parole leggerissime e appropriate, senza enfasi e di grande esattezza. Rintracciando l'umanesimo vicentino del Rinascimento, osservò che «gli archi e ì colonnati sorsero senza nessun altro motivo che la compiacenza estetica, le fantasie lunatiche della cultura, l'orgoglio signorile». Vicenza è tutt'uno con la sua segreta bellezza. «Una piccola Roma, un'invenzione scenografica, sorge in un angolo del Veneto, in vista dei monti, dalla cultura svaporante in capriccio e dalla vanità patrizia di un gruppo di signori di media potenza e di scarso peso politico». Eppure sotto il capriccio e la vanità c'è una piega psicologica e culturale che nessuna esperienza mondana riuscirà a cancellare. Salendo al Santuario dei Colli Berici Piovene giunse alla naturale e profonda confessione: «Non so che cosa direbbe uno psicanalista se gli rivelassi che, mobile come sono, e portato a girare il mondo, io sogno questi luoghi quasi ogni notte, e nei momenti d'ansia con dolcezza quasi ossessiva. Questa piccola parte della terra è per me veramente il grembo materno». E poi, cercando la villa ove ambientò Le lettere di una novizia: «Una vita, di cui io conobbi gli avanzi, finisce di consumarsi nel tempo e si riconsegna all'eterno: ed io sono forse l'ultimo a renderne testimonianza». Riuscì a scansare il gusto della decadenza e la malinconia delle cose, perché accanto alla vicentinità c'era l'aspetto complementare, quello giornalistico e internazionale. Piovene era un viaggiatore nel senso stretto della parola. Scrisse una volta, proprio su questo giornale: «Il primo dei piaceri è per me il movimento, ma il movimento puro e semplice. La forma in cui lo preferisco è: andare in automobile, seduto accanto a chi la guida, con la prospettiva che il viaggio durerà molte ore... Il limite di questo genere di piacere è di essere quasi sempre reso difficile dagli altri. Infatti perché sia perfetto bisogna essere dimenticati. Il tuo deve essere il piacere d'un corpo pensante e indisturbato che segue la sua traiettoria». Non si potrà mai dir meglio la qualità morale del viaggiatore veneto, il quale sa vincere la sua nativa pigrizia, solo a patto di subli¬ marla in una forma di mossa e assorbente contemplazione. Perfino nel camminare «ta prima condizione è di essere soli», perché l'abbandono del letterato veneto, il suo senso di colpa cattolico, le sue ambizioni illuministiche traggono alimento solo dall'intensità contemplativa, indisturbata. Piovene non guidava la macchina, amava farsi portare; non chiedeva il colloquio peripatetico, ma la passeggiata solitaria. Le pagine del De America, l'inchiesta sull'Europa pubblicata qualche anno fa da.la Stampa sono il segno maggiore della pigrizia veneta quando diventi internazionale. Piovene scopriva non già i fatti, e neppure le ragioni dei fatti, ma quello stato formicolante che sta dietro le apparenze, e che qualifica e sottintende il «carattere» dei popoli e dei luoghi. Forse tutto (semplicità e doppiezza, moralismo e compromesso, anche la disperazione serena delle Stelle fredde), tutto gli sarebbe stato impedito, se non fosse nato a Vicenza e non avesse conservato, nelle cadenze dell'anima, quell'accento che slarga le vocali e distende i periodi, quella pigrizia che può condurre all'ambiguità, ma anche talvolta alla minuziosa chiarezza. Stefano Reggiani

Persone citate: Fogazzaro, Piovene

Luoghi citati: America, Europa, Italia, Roma, Veneto, Vicenza