Un osservatore tra gli uomini di Guido Piovene
Un osservatore tra gli uomini Un osservatore tra gli uomini Sabato scorso usciva in terza pagina, su 11 Giornale, un lungo e bellissimo articolo di Guido Piovene intitolato « TI ritorno di Rubé - Un romanzo ingiustamente dimenticato »; e il giorno successivo, domenica 10, in prima pagina, l'articolo di fondo: « Il potere in Italia ». Mi sono straordinariamente rallegrato. Da qualche tempo ron vedevo più la sua firma. E pochi giorni prima, a Milano, avevo avuto notizie tristissime sulla sua salute. Ecco adesso, di colpo, due articoli uno sull'altro! E vivissimi tutti e due! Ma il primo, quello su Borgese, addirittura stupendo: uno dei più belli dei moltissimi scritti da Piovene: chiaro, preciso, sicuro, senza una sbavatura. Lo lessi subito, sabato mattina, qui a Tellaro, prima di partire per Ferrara (c'era il congresso dei critici cinematografici). Un articolo conclusivo e perfetto, pensai. Un articolo indispensabile, agli studiosi del futuro, per capire Borgese e « il suo momento ». Cercai dunque le forbici per ritagliarlo e conservarlo, come faccio sempre in questi casi: ma qualcosa, non ricordo più che cosa, mi interruppe e distrasse. Poi, erano venuti a prendermi: partii per Ferrara. Tornai a casa ieri notte. Oggi a mezzogiorno, so della sua morte improvvisa a Londra, per embolia polmonare. Vorrei scrivere, di lui, non indegnamente: e cerco subito, intanto, l'articolo su Borgese: mi pare di ricordare che quell'articolo, certamente scritto in questi giorni (la riedizione di Rubé è recentissima), contenga come un nascosto presagio, forse anche un messaggio estremo... Provo il bisogno immediato di rileggerlo. Lo cerco per tutta la casa, frugo affannosamente tra i mucchi dei giornali vecchi: di solito li buttiamo via solo Hopo qualche settimana. Ma non lo trovo. Né ho modo, qui, di chiederlo a qualcuno. E mentre mi rassegno, mentre rinuncio a questa momentanea verifica, mi accorgo ad un tratto che la scomparsa del giornale con l'articolo, e questa mia stessa ansiosa ricerca, sono « di stile Piovene ». Si collegano in qualche modo alla sua instancabile inquietudine, alla sua psicologia tormentata, tra la speranza e la disperazione, alla sua anima sfuggente anche agli amici perché sfuggente a sé medesima. Tutti i ricordi che ho di Piovene sono come immersi in un clima strano e misto: grigio e oro, pioggia fitta soffusa di raggi di sole: gioia di vivere e malinconico dubbio che dopo tutto non ne valga la pena: ironia, divertimento, ma insieme ribellione e paura. Oltre la letteratura, sotto la letteratura, quante cose ci legavano, quanti gusti e quanti vizi: il gioco, il fumo, il vino, la buona tavola, l'educazione cattolica e sensuale, la Francia, il mare, le ragazze. Il solo campo dove non riuscivo a seguirlo come pure avrei desiderato, era la sua capacità di osservazione e di sintesi ideologica: la facilità con cui, parlando e, meglio ancora, scrivendo, « radiografava » un paese, un popolo, una situazione politica, sociale, culturale. Lo ammiravo, in questo, e lo invidiavo con quello sgomento che sentiamo davanti allo spettacolo di tutte le prove a cui ci sappiamo inabili. Ma quando, chiacchierando tranquillamente, eravamo insieme, soli noi due, nel suo studio, e parlavamo della Ginestra e di Amore e Morte, capitava che Piovene interrompesse il discorso per dirmi come capisse e come condividesse « lo sdegno di Leopardi » per il destino umano (« La man che flagellando si colora I nel mio sangue innocente I non ricolmar dì lode I non benedir coni'usa I per antica viltà l'umana gente ») — o quando mi rivelava l'importanza e l'oscuro fascino che avevano per lui gli oggetti, certi oggetti inanimati — o quando, infine, mi confidava che dover morire un giorno gli dava un gran fastidio per non poter appagare la sua spasmodica curiosità di vedere come sarebbe andato a finire il mondo, che cosa sarebbe successo: allora capivo che il vero Piovene viveva di una passione più profonda poetica e filosofica: se la sua figura di viaggiatore e relatore può essere definita quella dell'ulti¬ mbcdaadSrcgsrbpcbgdzdrdsd mo Ambasciatore della Repubblica Serenissima, i suoi racconti e i suoi romanzi più belli, dalle Lettere di una novizia alle Stelle fredde, trattano ben j altra materia; e le relazioni j di questo Ambasciatore della j Serenissima privo ormai di Se- ] renissima, le relazioni che più commuovono e scuotono ri- ; guardano Tcilhard e Bernanos. Mi spiacc di chiudere queste righe affrettate senza avere sott'occhio l'articolo del sabato scorso su Borgese. Mi pare, però, che senza dirlo, che senza saperlo, Piovene abbia associato se stesso a Borgese con un solo slancio finale di comprensione e di spiegazione. Il primo libro di Guido Piovene fu pubblicato nel 1931 a Torino dai Fratelli Buratti Editori. E' una raccolta di sette racconti intitolata La vedova allegra, e porta questa dedica: « A G. A. Borgese dedico questo mio primo, poverissimo libro, per testimoniargli che devo al suo esempio e al suo insegnamento ciò che di meglio aspetto dall'avvenire ». Ora, dopo 43 anni, anche il suo ultimo articolo è dedicato a Borgese. Qualcuno dirà che si tratta soltanto di un caso. Per me, è il segno di qualcosa di più: in una vita torturata, agitata, inquieta, contraddetta, il segno di un nucleo fermo, di un sentimento fedelissimo. Mario Soldati
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