Quando Malerba non e più comico

Quando Malerba non e più comico SCRITTORI E POLITICA Quando Malerba non e più comico Rabbia, impotenza, smarrimento, ineluttabilità della rovina: sta diventando vano chiedere in politica, a uno scrittore, parole di speranza. E' più facile che egli si rifiuti agli accorgimenti della ragione, invece che coltivarli. E' una storia vecchia: non c'è più alcun tipo di commissione da parte della società nei suoi confronti. Egli oscuramente crede che, se si muove sul terreno dell'estremismo intellettuale e del rifiuto, una qualche sopravvivenza gli è assicurata. L'illuminato senso comune non fa più per lui: il suo ruolo è quello della provocazione, costi quello che costi. Questi e limitrofi pensieri mi venivano in mente ascoltando Luigi Malerba. Malerba ha quarantasette anni: recente il suo successo, in Italia e fuori; è narratore delle ultime leve, dotato di una insolita intelligenza del comico. Ma la situazione presente parrebbe non permettergli alcuna ilarità, alcuna leggerezza di tocco. Fuori dalle vetrate delle finestre sui tetti di Roma — una bella casa tranquilla sotto l'ombra di Tor Millina a Piazza Navona, — arriva la luce spenta del tramonto freddino. Malerba sostiene: « Lo scrittore che ha deciso di smentire la sua tradizione cortigiana e di intervenire nel dibattito civile e politico si trova nell'imbarazzo di scoprirsi direttamente o indirettamente pagato dal potere al quale vorrebbe opporsi. Giornali, case editrici, radio, televisione, cinema, dipendono dai suoi nemici istituzionali. I passaggi di mano, oltretutto, a cui abbiamo assistito in questi ultimi tempi hanno reso ormai inattuale perfino il paradosso della società capitalista che finanzia la propria opposizione. I nuovi ricchi, i capitalisti di Stato, sono talmente protervi che non solo sono intolleranti della critica, ma pretendono ormai la pubblicazione delle veline ». II quadro è color inchiostro: anzi, non è altro che quella famosa notte di liceale memoria in cui tutte le vacche sono nere. Malerba insiste: « Questi nuovi ricchi, più che ai principi dal Rinascimento, sono da assimilare ai rozzi feudatari che chiamano intorno a sé soltanto i servi ». Servi, feudatari: allusioni tanto perentorie finiscono con l'essere oscure. Epperò a Roma, e non solo a Roma, la chiacchiera sul golpe sta contagiando un po' tutti. Vero o presunto che sia codesto golpe, vuol dire forse che i feudatari di cui Malerba parla non bastano più a se stessi? Domando: di che tipo di « fascismo » vi sarebbe bisogno se tutto è già compiuto? Malerba ha la risposta pronta: « Il vero colpo di Stato, quello economico, è già avvenuto sotto i nostri occhi. Ora basta formalizzarlo politicamente. Se questo non è ancora accaduto è solo a causa dei dissidi fra i golpisti. Che poi pochi imbecilli e nostalgici abbiano tentato una marcia su Roma da operetta, fa parte soltanto del folklore ». Ma, mettendo da parte le penose manifestazioni folkloristiche, è realizzabile in quattr'e quattr'otto quel che tu chiami la formalizzazione politica del colpo di Stato economico? In Italia, esistono ancora e centri di potere assai differenziati e concorrenti, e un'opposizione che, ciascuno per suo conto, non potrebbero accettare non dico il futuro golpe politico, ma quello economico che dai per scontato. « L'opposizione è sorridente », dice Malerba. « Dopo anni di conquiste democratiche, ha indossato il doppiopetto e si appressa alla cerimonia del compromesso. E' disposta ad assolvere anche un uomo politico come l'on. Andreotti, perché ha permesso alle rappresentanze partigiane di sfilare nella parata del 2 giugno ». In questa notte, ripeto, le vacche sono proprio tutte nere. Non c'è neppure più da porre l'alternativa canonica « ottimismo-pessimismo ». Malerba ha solo più certezze: « E' chiaro che quando l'opposizione incomincia la marcia di avvicinamento all'area di potere, mette in crisi la dialettica democratica e la stessa democrazia come istituto ». Dunque, l'opposizione si è del tutto volatilizzata? « Ci sono i sindacati. Ma si trovano nella condizione di gestire non più lavoratori ma disoccupati, secondo il drammatico paradosso individuato in un'inchiesta sul Sud da Alfonso Madeo. Persino lo sciopero è diventato un coltello senza lama e senza manico, dal momento che torna a van¬ taggio delle industrie in fase recessiva ». Sparita l'opposizione politica parlamentare, spezzate le armi sindacali, cosa resta? « Forse l'esperienza di disubbidienza civile attuata dagli operai delle grandi città del Nord ». Vorrei dire che la disubbidienza civile è un'arma pronta a ritorcersi come un boomerang contro coloro che pensano di adoperarla; che gli stessi sindacati ne hanno indicato limiti e rischi. Vorrei aggiungere che l'azione politica consiste nel razionalizzare lo scontento, nel rifiutargli l'aberrante condizione di essere figlio di se stesso. Ma lo scrittore prosegue nel suo catalogo. « Gli scandali — dice — sembrano scivolare sulle spalle dei nostri governanti come acqua fresca. Uomini che andrebbero cancellati per sempre dalla vita pubblica sono ancora sulle loro poltrone e sicuramente ci verranno proposti, in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, come salvatori della democrazia. Quando un ladro viene colto in flagrante, viene messo in galera e viene recuperato il bottino da restituire al legittimo proprietario... Questo non è un discorso moralistico, ma politico: se chi è colto con le mani nel sacco non viene punito, sono le istituzioni democratiche a perderci di credibilità ». Malerba nega il moralismo, ma che nome trovare al tono che usa nelle sue accuse, alle quali di sicuro non manca però l'esca? E continua, non preoccupandosi di andare per il sottile. Ad esempio: « L'ingiustizia sociale non era mai arrivata a tanto se non in epoca feudale. Mai ricchi tanto ricchi e poveri tanto poveri »: affermazione che lascia perplessi, poiché se il nostro è il tempo del consumismo, esso è tale proprio perché il consumo è massificato. E' vero che i consumi massificati non vogliono dire ricchezza, ma pongono problemi sociali e di distribuzione del benessere che non hanno niente in comune coi tempi feudali. E difatti, ecco uno spiraglio nelle parole di Malerba; « So bene che il discorso politico in prospettiva è un altro, ma forse è arrivato il momento degli aborriti moralismi. Bisogna ricordare alla gente che il miliardo è fatto di mille milioni e che con le migliaia di miliardi che si sono sperperati in questi anni si potevano realizzare quelle riforme che aspettiamo da oltre un ventennio. Di nuovo, il discorso sulla corruzione diventa un discorso politico ». Per mia parte non credo che il moralismo serva a fare politica. La politica è un fatto strumentale e può strumentalizzare verso ogni direzione il moralismo. Sostenere che il moralismo risolva la politica rende incerta qualunque reale prospettiva. Il moralismo non è dialettico, procede per contrapposizioni manichee: rifiuta il gioco dei termini medi, quel gioco che invece la politica dovrebbe più che mai rendere sensibile. Cosa ha testimoniato Luigi Malerba con le sue parole? Certamente un profondo disagio, ma anche una fuga di fronte ad ogni obbligante esercizio razionale. Sembra che la stessa fiducia negli istituti democratici si stia polverizzando. Non c'è altro senso in quanto diceva Malerba congedandomi: « L'unica speranza è che si creino fratture interne al regime, congiure di palazzo, così che cosche rivali si eliminino fra loro ». Il che significa anche non avere niente da sperare. Enzo Siciliano

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