A Bali cercando gli antenati nel "popolo delle scimmie,,

A Bali cercando gli antenati nel "popolo delle scimmie,, Viaggio nel più lontano passato dell'umanità A Bali cercando gli antenati nel "popolo delle scimmie,, Ho da pochi giorni concluso un lungo viaggio nella preistoria vivenle sul nostro pianeta; non tra reperti di museo 0 di scavo (per meglio dire: non solo tra questi) ma anche e soprattutto negli inquietanti ricordi che le età più lontane hanno lasciato in noi: angosce, tensioni, comportamenti tra uomo e uomo, tra l'uomo e la natura, tra l'uomo e il mondo animale. Assieme al compagno di lavoro Carlo Alberto Pinelli e a due gruppi di lavoro ai quali, volta a volta, si sono uniti grandi esperti universitari di varie discipline (tra 1 quali l'etologo olandese Kortland, l'etnologo francese Cuisenicr e il paletnologo italiano Puglisi, per citarne solo alcuni) questo viaggio alla preistoria è durato quasi quattro anni, e ci ha permesso di riunire una serie di film che presto appariranno alla nostra televisione (ma già sono apparsi in Francia e Germania) e raccogliere una tale serie di esperienze da lasciarmi smarrito ogniqualvolta voglio organizzare i miei ricordi in uno scritto. Naturalmente le esperienze più sconcertanti furono quelle che ci hanno permesso di cogliere immagini ove probanti erano scene che documentavano il rapporto antico (sarebbe forse esatto dire il più antico) fra l'uomo e il mondo animale; milioni d'anni di vita in comune che hanno lasciato una traccia profonda in tutti noi. Alla ricerca di scene ove il mondo dell'uomo e quello animale ci potevano ancora mostrare punti interessanti e inediti di contatto, abbiamo raggiunto località diverse e lontane, in ogni continente. Oggi ricordo Bali, la magica isola indonesiana ove fummo per documentare in immagini vive colte nella tradizione popolare, quanto interessante sia il rapporto anche culturale, tra l'uomo e il mondo animale. A Bali, un aspetto di questo rapporto (il più ambiguo, sconcertante) è certo quello con le scimmie, che qui più che altrove ha raggiunto un grado di tensione quasi sacrale. Nell'interno dell'isola abbiamo visitato un tempio ove le scimmie sono rispettate e veI nerate come «incarnazioni» dei primi uomini del nostro pianeta, degne del massimo rispetto (il sottofondo religioso della cultura locale è hindù). Nella foresta sottostante il villaggio di Bangui, tra rovine di mura coperte di muschio e di erba, centinaia di migliaia di scimmiotti grigi formano comunità chiassose e turbolente: un uomo che vive con loro sembra avere il potere di calmare l'isterismo delle loro grida acute. E' un vecchio che al mattino e alla sera — per due volte — attraversa le sacre rovine suonando un flauto a canne traendone una nenia arcaica e magica che fa pensare al pifferaio di Hamelin come fosse rivisto in una favola orientale. « In queste scimmie — egli dice — io venero il ricordo elei miei padri più lontani ». Favola orientale vera e propria con protagoniste le scimmie, è quella narrata nella più bella — e più famosa — fra tutte le danze di Bali: quella detta Cheeta. E' la leggenda di come il popo'.o delle scim¬ mie aiutò il mitico eroe Rama a ritrovare e liberare una principessa rapita da un re crudele. In questa pantomima 100 danzatori seduti a spirale si mutano da uomini in animali e interpretano il « popolo delle scimmie »; si trasformano non perché indossino un costume « scimmiesco » di pelo, o maschere che li rendano ad esse somiglianti, ma perché riescono a interpretare il loro ruolo « animale » di scimmie scandendo con un ritmo perfetto, incalzante, quel coro di grida, di richiami, di cupi ringhii che è tipico coro assordante d'una comunità di scimmie (come quella, ad esempio, che avevamo conosciuto nel tempio e nella foresta sottostante Bangui). I cento interpreti balinesi mutano il vociare scorretto e isterico delle scimmie in travolgente effetto sonoro e collettivo capace di narrare la lunga favola di Cheeta. Uno spettacolo che non è solo emozionante per il suo ritmo musicale, coreografico, ma per il significato del suo contenuto: il voler evocare attraverso una favola popolare il tempo mitico in cui uomo e scimmia erano cugini, erano alleati: il tempo in cui era tra loro possibile un dialogo, un'intesa. Ricordo nel quale è quanto meno riscontrabile uri grande rispetto per il mondo animale, che altre culture hanno invece calpestato, deriso, ignorato: e l'uomo non può ignorare una pagina tanto importante del suo passato più remoto. I danzatori di Bali, specializzati nei racconti di miti popolari ove il mondo animale è presentato con il massimo rispetto, non sono pro¬ fessionisti, nel senso che noi diamo a questa parola: ma certo eccezionalmente dotati. Ce ne siamo accorti quando hanno interpretato e recitato per noi un'altra favola (molto amara, questa), sul tema del rapporto uomo-animale: la danza detta barong. Nelle pagine dei miei diari di viaggio attorno al mondo ho raccolto, ormai da vent'anni, racconti e immagini di animali d'ogni specie, di terra e di mare. Qui a Bali — con la danza del barong — il mio personale « bestiario » si arricchisce d'un incontro che va ben al di là d'ogni possibile reale incontro con un animale del mondo, sia pure il più strano e il più raro; è l'incontro con il barong: mostro mitico, sorta di bruco gigantesco con gli occhi di drago e la bocca di leone. D'animali fantastici il viaggiatore curioso può riuscire a farsene descrivere molti (ogni mitologia ne ha prodotti a dozzine, anche nelle nostre contrade) ; ma in questo barong ho trovato qualcosa di più: non una statua, non una maschera, non un'illustrazione né un personaggio di balletto: il « suo esistere » è creazione curiosa, tanto perfetta da renderlo quasi un animale reale. Il barong per un miracolo dovuto alla perfezione mimica dei danzatori balinesi si muove, s'arresta, guarda, si infuria e si placa: corre, dorme, poi corre ancora. E sembra che compia realmente queste azioni, non che le imiti meccanicamente come una marionetta; questo perché nel barong si nascondono due uomini che per tutta la loro vita altro non fanno che interpretare il loro ruolo animalesco, le mosse, il carattere, il comportamento, le paure, l'aggressività d'un essere che non esiste. Due uomini hanno imparato dai loro padri e insegneranno ai loro figli ad essere loro stessi il barong creando così (lo si può dire?) una « mini-specie » biologica, e cioè l'animale barong, capace, ap punto, di amare, fuggire, attaccare, lamentarsi, lottare, assopirsi, ridestarsi... tutte le azioni, insomma, che contribuiscono a render vive, reali, le varie fasi del balletto che dal barong prende il nome. In questa danza il grande « brucomostro » incontra una scimmia e ne diviene amico, e insieme riescono a sfuggire all'uomo cacciatore che vorrebbe uccidere entrambi per cibarsene. Un balletto, una favola; evocazione dell'eterna, drammatica lotta fra gli animali e l'uomo, e il continuo tentar di questo di dominare la natura e le sue forze, anche a costo di distruggerle. La scimmia e il barong lottano contro il cacciatore che li insegue: e vincono, naturalmente, staccando a morsi il naso dell'uomo cattivo e crudele che vorrebbe la loro morte. « La natura — dicono a Bali — è più forte dell'uomo più forte ». Folco Quilici iò il ii Rfiii l h i l d dl b

Persone citate: Carlo Alberto, Folco Quilici, Puglisi, Rama

Luoghi citati: Bali, Bangui, Francia, Germania