Pinter, con polemiche

Pinter, con polemiche "Ritorno a casa,, a Roma Pinter, con polemiche (Dal nostro inviato speciale) Roma, 8 novembre. Pare inevitabile che la prima italiana di un dramma di Harold Pinter debba essere accompagnata da clamori polemici e da travisamenti e fraintendimenti del testo così macroscopici da sollevare qualche dubbio non solo sulla traducibilità o magari sull'aderenza al nostro gusto di uno dei maggiori autori inglesi di oggi, ma addirittura sul valore della sua opera. Così è accaduto, per citare un caso recente, quando Luchino Visconti ha allestito Old times, accade ora con The homecoming che, dopo un breve rodaggio in provincia, è andato in scena al Teatro Valle con il titolo II ritorno a casa. Sin dalla scorsa primavera era stato annunciato che la versione e la regìa di The homecoming sarebbero state affidate a Romeo De Baggis che già l'aveva tradotto per l'editore Einaudi. Ma adesso il regista è Mauro Bolognini e il traduttore è Elio Nissim: non si sa bene che cosa sia successo e le polemiche, se ci saranno, non lo chiariranno ma rinforzeranno soltanto un battage pubblicitario che per Pinter, sia abilità sua o del suo agente, da noi è sempre abbastanza sostenuto. Del resto non è importante o urgente conoscere certi retroscena, conta invece il modo con il quale la commedia è stata rappresentata e che non appare il più appropriato. Scritto dieci anni fa (e il ritardo con cui giunge in Italia conforta il sospetto che il no- stro provincialismo non sia ancora morto), Il ritorno a casa non è certo il dramma di Pinter che possa avvalorare quei dubbi sulle doti drammaturgiche dell'autore ai quali si accennava prima. E', indiscutibilmente, una buona commedia tanto è vero che continua ad essere rappresentata in molti Paesi (quindi non è sicuro che sia intraducibile) anche se i suoi personaggi e la sua storia, non appena li si vuole interpretare anziché accettarli nella loro bruta e brutale apparenza, rischiano di trasformarsi per così dire a vista assumendo una diversa e imprevedibile fisionomia. Ora, se è vero che i personaggi di Pinter sono esattamente e soltanto ciò che sembrano, è chiaro che il tentativo di «spiegarli» in palcoscenico, di far dire a loro più di ciò che il testo non dica nella sua suggestiva reticenza, non può che immeschinirli o idealizzarli, il che è lo stesso, e in ogni caso li priva dell'incomunicabilità che l'autore impone \ ad essi come prima connotazione. Ma è appunto questo che ha ottenuto Bolognini rendendo esplicito tutto quanto in Pinter è e deve rimanere ùnplicito e spingendo gli interpreti a incrostare i propri personaggi di caratteri forse plausibili ma così arbitrari che essi sembrano piovere in scena da altri drammi e ogni personaggio da un dramma diverso. Con questo non si pretende di sapere come rappresentare Pinter, ma si sente, quasi d'istinto, che non va rappresentato così. Perciò non diremo che lo spettacolo, allestito nella severa e monumentale cornice scenica di Pier Luigi Pizzi con notevole impegno e decoro, e ricco di attori di valore e di richiamo, sia un brutto spettacolo, diremo piuttosto che è sbagliato al punto che il suo interprete in un certo senso più bravo e che il pubblico più ammira l'inesauribile e travolgente Mario Carotenuto, è quello che più esce dalla parte dichiarandosi, tutto e dall'inizio, con gesti ammicchi sospiri da attore consumato e straripando in un finale di grande effetto ma assai poco pinteriano. Più a posto sembrano Corrado Pani e Umberto Orsini che riescono, l'uno con un'impassibilità appena ironica, l'altro con un cinismo appena insistito, a non cadere nel melodramma, come non ci cade Ferruccio De Ceresa grazie all'esperienza che invece manca al giovane Massimo Dapporto e che dovrebbe impedire a Carla Gravina di assumere atteggiamenti stereotipati. Alberto Blandi

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