Un raffinato Barbiere dalle Mille e una notte di Massimo Mila

Un raffinato Barbiere dalle Mille e una notte L'opera di Cornelius in Irlanda Un raffinato Barbiere dalle Mille e una notte (Dal nostro invialo speciale) Wexford, novembre. Se c'è un compositore che meriti d'essere celebrato in quest'anno cosi gravido di musicali anniversari, questi è il povero Peter Cornelius, nato nel 1824 e morto nel 1874. Perché povero? Be', intanto perche cinquantanni di vita son pochi, e poi perche era un buono, un mite, un gentile, un individuo privo di « sclf-asscrtivcness » e predestinato a farsi mettere il piede sul collo da tutti. Singolare contrasto fra le due opere sentite quest'anno al Wexford Festival Opera! Una — Medea in Corinto — proprio un'opera al crocevia dei secoli: bella o brutta che sia, di importanza storica enorme per quanto compendia dal passato trasmettendolo all'avvenire, e per quanto anticipa nel tempo. Un ganglio di relazioni stilistiche fittamente intersecate. L'altra — /( barbiere di Bagdad — un'opera totalmente fuori del tempo, come se fosse caduta dentro un pozzo. Già a monte non ha quasi niente. Cornelius era un uomo modesto, ma tutt'altro che inconsapevole dei propri meriti, e non aveva torto quando diceva di sé: «Ho un buon talento per la composizione, anche se la natura non mi ha dotato delle inesauribili invenzioni d'un Mozart o d'un Rossini. Ma posso tranquillamente attribuirmi un merito: quel poco che ho, è mio. Non scavo nei campi altrui, né mi adorno con le penne del pavone; così posso sperare che quando raggiungerò i mici anni maturi avrò, a Dio piacendo, una certa individualità da dispiegare». Giustissimo. Non è vero niente quanto si legge talvolta, che Cornelius sia, come Lorzing, uno dei tanti deliziosi epigoni tedeschi del Flauto magico. Neanche per sogno. E' molto più avanti. Mozart e il Settecento se li è lasciati alle spalle. A sentire certe sue composizioni corali, vi vien più fatto di pronunciare il nome di Brahms che quello di Mozart. Neanche Weber, matrice inesausta di tanto operismo mitteleuropeo, slavo e anche italiano, gli ha trasmesso molto. Forse si potrebbe pensare un poco a Berlioz, proprio perché anche quello non somigliava a nessuno. Cornelius trascorse gli anni della giovinezza accanto a Liszt, in una situazione di devoto segretariato artistico e di libero alunnato. Liszt non era, per dirla con Cocteau, « une belle pieuvre» come Debussy, di quelli che ti stampano addosso un'influenza indelebile. Liszt, come Satie, era di quelli che t'insegnano il mestiere, ti mettono in orbita, ma lasciano la pagina bianca, perché tu ti sviluppi come credi. E così fece Cornelius. Ma la sorte avversa impedì che anche a valle l'opera sua migliore, questo Barbiere di Bagdad per cui egli stesso si trasse il libretto dalle Mille e una notte, con grande scaltrezza letteraria, se non con forte senso del teatro, stabilisse legami storici e feconda discendenza di stile. Eseguita da Liszt nel 1858, l'opera cadde vittima di qualche intrigo, con un insuccesso così cocente che determinò Liszt ad abbandonare sdegnato il posto di Kapellmeister a Weimar che occupava da dieci anni. Una diceria difficilissima da controllare vuole che Liszt, nel suo entusiasmo per l'opera del discepolo, le avrebbe pronosticato la funzione storica di compiere nell'opera comica tedesca quanto Wagner stava compiendo nel campo dell'opera seria. Questa voce giunta a Wagner nel suo esilio svizzero avrebbe punto la sua immensa superbia, sicché all'esecuzione del Barbiere di Bagdad l'opera si sarebbe trovati contro, coalizzati, i reazionari retrogradi perché Corne¬ luWvsWcpdlqn lius era certamente un moderno, un romantico della lejt-wing di Weimar, e i modernisti che l'avrebbero dovuto sostenere, offesi per conto di Wagner. 11 quale Wagner, in seguito, mostrò anche lui interesse e benevolenza per il giovane collega e si valse dei suoi servizi a Vienna. Ma l'opera caduta non risorse mai più, vivo Cornelius, e quando qualcuno se ne ricordò, la sfortuna del brav'uomo non si smentì: l'opcrina così gentile, garbata e lieve, pur nella raffinata sapienza musicale, cadde preda dei due più temibili diret- tori wagneriani, Felix Motti e Hermann Levi, che ne diedero, ognuno per conto suo, una sfigurante revisione, grave di peso nibelungico e di seriosità parsifaliane. L'opera fu restituita nella sua vera veste da Hans Richter nel 1904, ma ormai era tardi, al tempo di Debussy e di Strauss, perché potesse ancora esercitare l'influenza che avrebbe potuto avere tra il 1860 e il 1890. Ascoltare // barbiere di Bagdad è un piacere continuo dell'intelligenza musicale, ma nello stesso tempo ci si rende subito conto che quest'opera non potrà mai divenire popolare. Sta tutta sotto il segno della raffinatezza e del buon gusto. Il compromettente pronostico di Liszt (se egli mai lo pronunciò) non era affatto campato in aria, almeno per due aspetti musicali tipicamente wagneriani che Cornelius instaura per conto suo, in totale indipendenza, nel lieve tessuto dell'opera comica: la nutrita, calibratissima partecipazione dell'orchestra, e la continuità incessante dell'espressione vocale, che supera le fratture della forma chiusa, senza cadere nelle secche del recitativo. La scrittura corale, sia nel vaghissimo colore brahmsiano del coro d'apertura, sia nel comico «Heraus!» del second'atto, c una meraviglia costante. Tanto la realizzazione della Medea in Corinto è un'impresa sproporzionata alle misure e alle forze del piccolo Theatre Royal di Wexford, altrettanto gli si addice la miniaturistica eleganza del Barbiere di Bagdad. Ed infatti esso ha avuto un'esecuzione quasi impeccabile, salvo per certa pesantezza, proprio wagnerizzante, della direzione orchestrale di Albert Roscn, nello spiritoso allestimento scenico del sudafricano Dacre Punt e nella regìa intelligente di Wolf Siegfried Wagner, trentenne rampollo della grande stirpe, che a Bayreuth ci è solamente nato, ma non ne ha preso nulla della temibile «Grundlichkeit», e ha liberamente lavorato in giro per il mondo. Massimo Mila

Luoghi citati: Bagdad, Irlanda, Vienna, Weimar