Il furore dei gallesi di Sandro Viola

Il furore dei gallesi L'INGHILTERRA DAVANTI A TRE NAZIONALISMI Il furore dei gallesi La protesta degli allevatori del Galles contro le importazioni di carne assume toni sciovinistici - Senza la virulenza di quello irlandese, né le dimensioni di quello scozzese, il nazionalismo gallese è un movimento politico che si batte su temi concreti (Dal nostro inviato speciale) Fishguard, novembre. « Molto presto una mattina nel Galles, vicino al mare disteso immobile e verde...». Fishguard era bellissima, venerdì primo novembre, proprio come certe spiagge attorno a Swansea nelle pagine di Dylan Thomas. « Laggiù il molo, proteso come una spalla sul mare, dove non c'era nessuno tranne i gabbiani e gli argani... qui il tetto del posto di polizia... qui la chiesa inzaccherata... qui i comignoli del pub... ». Soffiava il vento, i gabbiani volavano bas¬ si, la strada in discesa che conduce al porto era semideserta: solo un gruppo di tre o quattro uomini vestiti dimessamente pareva in attesa, le sigarette incollate alle labbra e lo sguardo volto verso il mare. Sinché da fuori la baia, ancora un puntino nel grigio della giornata autunnale, non si vide venire avanti una nave. Allora gli uomini si riscossero, uno di loro salì su di un'automobile mettendola in moto con un sobbalzo, e la scena mutò di colpo: finito l'idillio della splendida costa gallese, cominciava una di queste turbolente giornate dell'Inghilterra della grande crisi. Fishguard è l'estrema propaggine inglese verso l'Irlanda, tre ore e mezzo di navigazione. E' qui (o a una sessantina di chilometri più a Nord, a Holyhead) che sbarcano i traghetti in provenienza da Waxford e da Dublino. Questi traghetti delle Brìtish Railways trasportano di tutto, merci e persone. E tra le merci, non da oggi, carne e bestiame da macello irlandesi, una delle partite più grosse dell'interscambio tra Gran Bretagna e Repub- blica d'Irlanda, la materia j (insieme alle carni dell'Alta Scozia) dei superbi « roastbeef » che ancora s'incontrano nei yiù tradizionali restaurante di Londra. Ma ora nell'Inghilterra della crisi, dei « poor Brits » (i poveri inglesi), la carne irlandese è divenuta per un settore dell'economia britannica un pericolo grave, il detonatore d'una delle più aspre e spettacolari agitazioni tra le tante in corso nel Paese. Gli alti costi dell'allevamento inglese, le regole comunitarie, fanno sì, infatti, che la carne irlandese venga a costare meno di quella prodotta dagli allevatori britannici in generale, e gallesi in particolare. La carne che viene da Dublino intasa i de-* positi di refrigerazione, il bestiame vivo assorbe la capacità operativa dei macelli, e intanto i farmers inglesi devono continuare a nutrire le proprie beUie con mangimi che nell'ultimo anno sono quasi raddoppiati di prezzo. Così, costretti a spese sempre maggiori, essi vedono cadere ogni giorno le offerte per i propri manzi e vitelli che, come scrive il Times, su certi mercati « sono ormai praticamente invendibili ». Nell'ultima settimana d'ottobre qualche decina di allevatori gallesi si era riunita ad Aberporth, nel Cardigan, e lì, in un va e vieni dalla sala della riunione ai pubs vicini, al termine d'un dibattito scaldato dalla rabbia e dalla birra, avevano deciso di intraprendere una «direct action», bloccando l'uscita dai porti della carne e del bestiame irlandese. La prima di queste azioni « dirette » s'era svolta a Holyhead, dove gli agricoltori avevano invaso i moli impedendo l'attracco alla « Slieve Donard », una nave trasporto con a bordo oltre seicento capi di bestiame. Era stata, ci hanno raccontato alcuni allevatori che partecipavano al picchettaggio, una sequenza straordinaria. Scendeva la notte, c'era un mare forza nove, la « Slieve Donard » beccheggiava come una scialuppa, gli animali muggivano impazziti (alla fine ne hanno trovati sei feriti e hanno dovuto abbatterli), il tutto per oltre dodici ore, sino all'alba. Coraggio celtico Ma V «azione» più massiccia e decisa sarebbe risultata quella di Fishguard, venerdì primo novembre. Riprendiamo il racconto dove l'abbiamo lasciato, al momento in cui la nave traghetto — la « Caledonìan Princess » — stava entrando nella baia. Dopo neppure dieci minuti la strada per il porto pullulava di gente: prima cento, poi duecento allevatori, che mezz'ora più tardi, mentre la «Caledonian Princess» terminava la manovra d'attracco, erano già diventati sei o settecento, e a mezzogiorno mille. Una scena così pittoresca come in Europa se ne possono vedere ormai molto poche, gli uomini di capelli rossi coi berretti bisunti, i mezzi stivali di gomma, i baveri rialzati e i pugni in tasca che sembravano le comparse della riduzione cinematografica di Com'era verde la mia valle, i poliziotti con gli elmetti blu che prendevano posizione con aria insieme assente e decisa, il pub vicino (« The Sailor Return's Tavern ») stipato di curiosi e di allevatori che andavano a riscaldarsi con un goccio di whisky, proprio molto bello da vedere, anche se poi sul formidabile colore della scena finirono col prevalere la tensione che la pervadeva, i segni della rabbia, la capacità di violenza che si leggevano sui volti contratti degli agricoltori gallesi. E infatti la bella sce- na di massa stava per tra- mutarsi in un grande tafferuglio. Successe intorno all'una, quando il primo dei camion bloccati all'uscita del porto cercò di passare attraverso la barriera dei dimostranti. Si videro allora due movimenti contemporanei, dei poliziotti e degli allevatori: i primi cercarono di aprire un varco ai camion, i secondi si buttavano con un coraggio sbalorditivo, davvero « gaelico » (in Galles, come in Scozia e in Irlanda, il folklore gronda di leggende del coraggio celtico) contro i radiatori dei Bedford e dei Mercedes. Cominciarono gli scontri coi poliziotti bravissimi e durissimi, si udivano insulti e bestemmie, sinché un camion, mentre tentava una manovra, non abbatté uno dei dimostranti, un uomo di mezza età avvolto in un paio di pullover di lana grossa, spezzandogli una gamba. Era una strana Inghilterra, quella di venerdì primo novembre nella baia di Fishguard. L'Inghilterra che il Times teme di veder entrare in uno stato di « chronic lawlessners», attraversata da Nord a Sud da una catena di scioperi « selvaggi », un Paese dove per la prima volta nella sua storia moderna la gente pensa di dover risolvere in proprio — persa ogni fiducia in un sistema politico che pure aveva trovato nel mondo più entusiasmi e imitazioni di qualunque altro — i problemi che la affliggono. Non era solo a Fishguard, infatti, che gli allevatori stavano portando avanti quella mattina la loro « azione diretta ». A Birkenhead, altro attracco dei navigli provenienti dall'Irlanda, ì loro colleghi del Galles del Nord marciavano in quelle stesse ore sui binari della ferrovia per impedire che la carne irlandese venisse inoltrata verso i mercati delle grandi città. Quando l'uomo infagottato nei suoi cardigan beige e verde chiaro cadde con la gamba spezzata, il parapiglia diventò generale. Fu allora, mentre volavano da una parte e dall'altra — poliziotti . vaccari — pugni da picchiatori professionisti, che si sentirono le prime grida di « Nerth i Cymru », « potere per il Galles », lo slogan del partito nazionalista gallese. Era questo, non l'affermazione gridata verso i giornalisti da uno dei capi della dimostrazione (« Stamattina ci scappa il morto»), il vero apice della scena di Fishguard. Sullo sfondo dell'agitazione sociale, al momento \ dell'urto con la polizia (lo Stato centralizzato), lo scoppio emotivo degli agricoltori del Pembroke e del Cardigan si tingeva di nazionalismo. Quest'altro nazionalismo con cui Londra — come se non bastassero i grattacapi che le vengono dall'Irlanda e dalla Scozia — si trova a dover fare i conti negli anni del suo declino. Certo, il nazionalismo gallese non ha la virulenza cieca di quello irlandese, né ha ancora assunto le dimensioni e il peso elettorale di quello scozzese. Il « Plaid Cymru », il partito separatista, ha mandato a Westminster soltanto tre deputati; il successo elettorale è stato formidabile (nelle elezioni scorse venne eletto solo il leader del partito, Gwynfor Evans), ma il «Plaid Cymru» è ancora ben lontano da quel trenta per cento dei voti scozzesi che è andato due settimane fa allo «Scottish National Party». Resta tuttavia che il nazionalismo gallese è ormai uscito dallo stato larvale, infantile (a fisionomia un po' troppo folkloristica) che lo aveva contraddistinto negli anni scorsi. "Poveri inglesi" Esso è ormai un movimento politico che si batte su temi estremamente concreti (il reddito medio per abitante è in Galles inferiore del 15 per cento a quello nazionale), guardando a prospettive importanti (il petrolio che, a quanto sembra, esiste anche nel «Mare Celtico»), e a cui Londra potrà negare molto difficilmente le richieste minime: per esempio un'assemblea regionale con poteri diretti sulle questioni economiche,, risorse naturali comprese, vale a dire una buona parte del carbone inglese e l'eventuale petrolio del Mar d'Irlanda. Una curiosa, violenta convulsione agita così la Gran Bretigna: mentre una parte della classe politica e del Paese domanda l'uscita dell'Inghilterra dall'Europa in nome di interessi che, sia pure genericamente, si possono definire nazionalistici, una possente spinta centrifuga uscita dalla «grande» storia delle isole britanniche lacera l'unità nazionale. E' il segno che la crisi non tocca solo i gangli economici di questo Paese (la City, l'industria, i redditi dei cittadini), ma accelera processi patologici inattesi. « Poor Brits... ». Sandro Viola

Persone citate: Bedford, Brits, Caledonian, Dylan Thomas