Hitler, Mussolini e quei Concordati

Hitler, Mussolini e quei Concordati CONVEGNO DI STUDI A ROMA Hitler, Mussolini e quei Concordati Aula magna dell'Istituto di cultura austriaco a Roma: un organismo nato nei primissimi anni arcigni e malinconici della Triplice, fra 1885 e 1890, ma allogato in un edificio di aggressivo e provocante stile nazista, post-Anschluss, con grandi e presuntuosi colonnati che si presterebbero benissimo ad un film ironico e dissacrante di Fellini (magari con un'integrazione di Visconti). Si inaugura — appena una settimana fa — un convegno di studi italo-austro-tedesco, su politica e legislazione ecclesiastica nei tre Paesi fra le due guerre, in pratica sui tre Concordati dominatori dell'epoca, quello con l'Italia fascista del 1929 e gli altri, similari e paralleli, con la Repubblica austriaca di Dollfuss vicina alla sua immolazione nel maggio 1933 e col Reich hitleriano appena agli inizi dei suoi sinistri, devastatori annali, nel luglio dello stesso 1933. Convegno chiuso, per la delicatezza dei temi, per il rigore degli interventi, per il carattere universitario e super partes delle relazioni nelle due lingue: chiuso ai pettegolezzi e alle indiscrezioni della stampa, che lo legherebbe subito ai contraccolpi del referendum anti-divorzista, magari alla polemica sulla revisione, o caducazione, dei Patti lateranensi (sempre serpeggiante nel nostro Paese, nonostante la paralisi congiunta di governo e Parlamento, una paralisi che sembra quasi congiungersi per fili sottili a una certa stanchezza dell'altro partner, della Santa Sede). ★ * Presenti i maggiori ecclesiastici italiani, austriaci, tedeschi: a cominciare dall'amico e collega Jemolo. Studiosi protestanti mescolati con studiosi cattolici: in Germania, ogni anno a Essen, si riuniscono i rappresentanti delle due confessioni per tirare un bilancio dei rapporti fra le Chiese e gli Stati, in uno spirito di collaborazione e di tolleranza che dovrebbe insegnare molte cose a noi italiani (interconfessionale, d'altra parte, è la stessa democrazia cristiana germanica, aperta a minoranze riformate non meno che alla maggioranza cattolica). Hollerbach, Scheuner, Scholden, per il mondo della cultura protestante; Weinzierl, Schnitzer, padre Volk, colui che ha curato i documenti dei contatti e contrasti fra Germania e nazismo, un gesuita colto e discreto, quasi con una punta d'impaccio, per la sponda cattolica. Al centro dell'iniziativa: l'Istituto per le relazioni fra Chiesa e Stato dell'amico Margiotta Broglio, presso l'Università di Firenze, nelle stanze del mio vecchio « Cesare Alfieri ». Quattro giorni di lavori pigiati, anche troppo folti; una gita finale a Viterbo, « la città dei papi », si legge nel programma, quasi una sottolineatura o una vibrazione, magari involontaria, di « Tevere più largo ». Anche storici non specialisti del diritto ecclesiastico fra gli invitati: per esempio Renzo De Felice, il massimo studioso del fascismo, per le leggi razziali e i loro contraccolpi sui rapporti fra potere civile e religioso nei Paesi del futuro « Asse ». La materia è larga, molteplice, talvolta ai confini dell'erudizione; ma un interrogativo domina su tutti gli altri. E' l'interrogativo che riguarda i due Concordati, quello di Mussolini e quello di Hitler, le influenze che l'uno potè esercitare sull'altro, di quattro anni posteriore, le analogie nell'ispirazione e nelle deformazioni propagandistiche, e anche nelle strumentalizzazioni di parte, sia degli ambienti cattolici, sia dei regimi totalitari fascio-nazisti. E' un interrogativo malinconico eppure attualissimo: ai lavori assiste, come studioso, il nuovo ambasciatore della Repubblica federale di Germania a Roma, Hermann Meyer - Lindenberg, che è un professore universitario, un titolare di diritto internazionale e come tale l'uomo che ha rappresentato lo Stato germanico nella causa, ormai vecchia di quasi vent'anni, intentata dal governo centrale contro il « Land » della Bassa Sassonia al fine di mantenere in vita il Concordato del '33, il Concordato hitleriano, continuamente contrastato o respinto dai poteri locali. Le analogie, certo, sono impressionanti. Entrambi i protagonicti « laici » dei due Concordati, Mussolini e Hitler, partivano da un'aspra polemica anti-clericale e anti-concordataria: con punte podrecchiane nel primo, con l'ostentata ucag utilizzazione di Rosenberg nel secondo. In tutt'e due i casi, l'inizio delle trattative coincise con la soppressione di ogni dialettica parlamentare: al ritmo di anni in Italia, al ritmo di settimane in Germania (ma anni durarono le trattative per Roma, poche settimane bastarono per Berlino). In entrambe le realtà concordatarie, giocarono un ruolo decisivo i gruppi clerico-conservatori della destra popolare, in Italia, e della destra del Centro e del partito popolare bavarese in Germania: i Mattei-Gentili e i Martire nel primo caso, Von Papen, determinante e da solo riassuntivo di un mondo, nel secondo. E in entrambi i casi i regimi totalitari si garantirono le spalle, col Vaticano, dalla rinascita, per l'Italia, o dalla sopravvivenza, per la Germania, dei partiti politici di ispirazione cristiana: liquidato quello popolare tre anni prima dei Patti del Laterano, autoscioltosi, e in modo ancora misterioso, il Centro germanico pochi giorni prima della firma del Concordato e proprio mentre l'antico leader del partito, mons. Kaas, particolarmente caro al cardinale Pacelli, impegnava tutto se stesso, dentro i palazzi apostolici, per sgombrare il campo al raggiungimento dell'accordo. La soppressione del Centro fu veramente il prezzo che la Santa Sede pagò all'irrompente totalitarismo nazista pur di preservare le posizioni istituzionali della Chiesa, associazioni cattoliche, scuole, autonomie episcopali? Neanche il convegno di Roma, pur ricco di contributi specifici, ha potuto dare una risposta globale a tale fondamentale quesito. A suo tempo il cardinale Pacelli — lo testimonia Engel-Janosi — dichiarò di avere appreso dai giornali l'autoscioglimento del Centro: « Magari avessero aspettato la conclusione del Concordato! ». E certo, da tutti i documenti finora pubblicati (purtroppo fu distrutto o disperso l'archivio Papen), emerge una pressione delle gerarchie cattoliche locali su Ro ma, in favore del Concordato, piuttosto che il viceversa. Il terrore dell'annientamen to nazista era tale, anche nell'ala coraggiosa dei presuli come Faulhaber, da spingere ad aprire l'ombrello del Concordato, pur con tutti i suoi rischi di labilità o di precarietà piuttosto che affrontare in campo aperto l'offensiva sterminatrice del neopaganesimo ritma to dalla croce uncinata. Ma c'è un documento inedi to emerso al convegno di Ro ma che dimostra la persistenza tenace dell'odio di Hitler verso il Centro ancora ad un anno dal Concordato. E' una lettera di Mussolini a De Vecchi, allora ambasciatore italiano presso la Santa Sede, dopo l'incontro con Hitler a Venezia nel giugno del '34. Il maestro aveva voluto perorare presso l'allievo gli interessi del Vaticano: era il momento della bonaccia fra Santa Sede e fascismo. E Hitler aveva dato qualche assicurazione, aveva promesso di attenuare le persecuzioni più gravi, ma ad una condizione fondamentale: «Che non si dia l'impressione — la trascrizione era del "duce" — di uno slittamento dei quadri e dello stile del "Zentrum" nelle gerarchie religiose ». Era un'ombra che continuava a perseguitare il « Fuhrer », a dodici mesi di distanza dal generoso riconoscimento del Vaticano (Hitler era raggiante in consiglio dei ministri, il giorno dell'annuncio del Concordato, quel 14 luglio 1933...). ★ * In questo senso il destino di Sturzo e quello di Brùning sono tornati malinconicamente ad associarsi, nelle giornate del convegno romano, quasi ad unire l'esperienza di due Paesi accottimati dalla perdita di tutte le libertà, compresa, nella sostanza, la libertà religiosa. La Repubblica di Weimar, pur governata per interi anni da cattolici di schietta fede democratica e per altri ancora da coalizioni di cattolici e socialisti, non riuscì a condurre in porto la « normalizzazione » concordataria dei rapporti con la Santa Sede: vi si opposero le resistenze del Parlamento e gli intrecci pluriconfessionali e le pertinaci opposizioni degli Stati regionali, ostili a un'intesa centrale con Roma. Egualmente l'Italia di Giolitti e neppure quella di Orlando riuscirono a sciogliere il nodo della questione romana, escludendo in ogni caso di pagarlo in termini di «do ut des» concordatari. Ci vollero due dittatori per superare gli ostacoli: a Mussolini occorsero anni, a Hitler — l'uomo che offrì il Concordato alla Santa Sede — bastarono pochi mesi. E in tutt'e due prevalse l'obiettivo di politica estera, il grande colpo sulla platea internazionale: il crisma che ne derivava ai due regimi, l'aumento di prestigio e quasi la canonizzazione presso i cattolici di tutto il mondo. Saranno i credenti, in entrambi i Paesi, a pagare il prezzo di quell'illusione. Salvando la Chiesa nell'intimità delle coscienze, molto più che nella regalità degli orpelli. Giovanni Spadolini