La vittoria democratica di Vittorio Zucconi

La vittoria democratica La vittoria democratica (Segue dalla 1" pagina) solo per la sconfitta dei colleghi di partito: su 34 candidati che egli aveva personalmente appoggiato intervenendo di persona nei loro collegi, ben 26 sono stati bocciati. Nella migliore delle ipotesi, si può dire che il suo intervento è stato irrilevante. Persino il suo ex seggio di deputato a Grand Rapids (Michigan) è perduto dai repubblicani. E' difficile tracciare distinzioni territoriali o d'altro tipo nella vittoria democratica: essa appare tuttavia particolarmente possente nel Sud e all'Ovest (sta ritornando l'ondata dei texani al vertice del partito), più moderata nel «Middle West», contenuta negli Stati della Costa atlantica, dove alcuni «mandarini» repubblicani, come i senatori Javits e Mathias hanno resistito. Ma in California un trentenne democratico, ex seminarista, Brown, ha conquistato il posto di governatore. In Colorado, Gary Hart, un altro trentenne che fu il «manager» della campagna presidenziale di McGovern, ha strappato il seggio senatoriale al repubblicano uscente. Nel Vermont è stato eletto un senatore democratico per la prima volta nella storia Usa. Nell'Ohio, l'ex astronauta John Glenn ha vinto «passeggiando» il seggio senatoriale e si parla di lui come di un candidato per la Casa Bianca. Nel Connecticut, una donna di origine italiana (Ella Grasso, originaria di Tortona) è divenuta la prima «governatrice» nella storia di quello Stato. Soltanto nel Maine la reazione qualunquistica del post-Watergate ha rotto gli argini del bipartitismo ed ha portato un «terzo uomo», un candidato indipendente che si qualifica come «anti-politico» (Longley) al governatorato. I pochi segni confortanti per i repubblicani vengono dalle elezioni per il governatorato dell'Ohio e del Michigan, dove i candidati del partito di Ford hanno rovesciato le previsioni mantenendo la gestione del potere ed impedendo cosi che tutti i 10 «grandi Stati» cadessero in mani democratiche. E' poco, come ha detto Goldwater (eletto con un margine assai ristretto e sorprendente nella sua Arizona) «Dal poco dovremo partire per ricostruire il nostro partito». Le due molle principali della vittoria, fra le tante che hanno mosso la marea democratica, sono indubbiamente Watergate e l'economia. Della prima è stato detto abbastanza, sulla seconda un'osservazione s'impone: in piena recessione (è probabile che ora lo stesso Presidente la riconosca ufficialmente) e forse alle soglie di una depressione, l'elettorato ha scelto il partito che sembra promettere l'appoggio della mano pubblica per risollevare lo stato dell'economia. Una delle poche distinzioni «ideologiche» fra i due raggruppamenti (che in Europa si identificano erroneamente talora come «destra» e «sinistra») sta nell'impostazione dell'opera economica. Come ha scritto lo storico Schlesinger, i repubblicani sono pronti ad accettare la recessione per sconfiggere l'inflazione, i democratici preferiscono fermare la recessione anche a prezzo di nuove spinte inflazionistiche. E la scelta è venuta non soltanto dalle tradizionali città industriali e dal «proletariato», ma in gran parte dalle file della «classe media» i così detti «colletti bianchi», tra i più esposti alla crisi attuale. Nei sobborghi delle grandi città, tradizionalmente repubblicani, è avvenuto lo spostamento d'equilibrio che ha provocato la vittoria di ieri. Ciò detto, non è lecito trar¬ re dalle elezioni per il rinnovo del Congresso conclusioni troppo generali sullo stato di salute del «sistema» americano e questo per tre ragioni fondamentali: 1) Troppi fattori locali e personali hanno condizionato l'esito. Non è raro vedere lo stesso corpo elettorale eleggere un democratico quale governatore e inviare un repubblicano come suo rappresentante al Senato di Washington. 2) I guadagni dei democratici sono, a ben guardare, contenuti nei limiti della tradizionale avanzata del partito che non è alla Casa Bianca. Oggi ciò si aggiunge ai progressi già compiuti in precedenza e questo fa apparire più massiccia la «alluvione» democratica. 3) La continua scoloritura delle distinzioni fra i due partiti (molti democratici sono più «a destra» di altri repubblicani) rende impossibile individuare uno spostamento «ideologico» nell'elettorato, quale un osservatore europeo è sempre tentato di cercare. 4) Quel dato sul massiccio astensionismo andrà esaminato con molta attenzione: in gran parte esso è dovuto all'elettorato repubblicano che è rimasto a casa sapendo di dare così via libera ai democratici. In parte, tuttavia, (come prova l'elezione del candidato qualunquista nel Maine) esso è il segnale di un preoccupante «scollamento» del cittadino rispetto alle sue istituzioni. Vittorio Zucconi

Persone citate: Brown, Ella Grasso, Gary Hart, Goldwater, John Glenn, Longley, Schlesinger