Tante Desdemone, senza Otello

Tante Desdemone, senza Otello Lo spettacolo per la Biennale di Venezia in San Lorenzo Tante Desdemone, senza Otello Poche battute di Shakespeare sono rimaste nel fantasioso allestimento di Meme Perlini : siamo nel regno incantato del teatro-immagine, che non ha più bisogno del testo (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 5 novembre. Dolcemente affondando nelle prime nebbie autunnali, il cinema e la musica continuano alla Biennale a macinare programmi, ma il teatro è già alla stretta conclusiva. Avrebbe dovuto essere un gran finale nei nomi di Shakespeare e di una delle sue tragedie veneziane, ma delle tre annunciate edizioni di Otello due sole sono rimaste e di Shakespeare poi è quasi scomparsa ogni traccia: la riduzione di Giorgio Manganelli in scelta stasera non conserva più del trenta per cento dell'originale, e nell'adattamento di Meme Perlini e del gruppo «La maschera» in scena da ieri sera, galleggiano, di Shakespeare, poche e smozzicate battute. Intendiamoci, i «tradimenti» erano previsti e non sor- prenderanno, né tanto meno scandalizzeranno, chi segue con simpatia e fiducia ì tentativi e le ricerche dell'ala piùviva e più avanzata della nostra avanguardia teatrale; tuttavia dispiacce che sìa mancato il confronto con un Otello quasi «normale» come probabilmente sarebbe stato quello dell'ungherese Jancsò. Quanto azrotello di Perlini, è più o meno quello che si poteva aspettare dall'autore di Pirandello chi? e di Tarzan, tenendo anche conto che stavolta il regista disponeva di spazi e di mezzi che non aveva mai avuto prima. E, forse proprio per questo, ci si è un poco smarrito dentro. Lo spazio è quello, grandissimo, di una grossa fetta dell'ex chiesa di san Lorenzo al quale s'arriva dopo essersi imbattuti, all'ingresso, in una Desdemona morta o addormentata su un lettino di ferro (qui le Desdemone sono quattro o cinque e una è una vecchietta che parla emiliano) e dopo aver attraversato un prato dì piatti di carta. La scena di Antonello Aglioti, divisa in tre fasce latitudinali e dominata sul fondo da un'enorme grata mobile, offre ampie possibilità ai giochi di luce nei quali Perlini è maestro e rende più suggestiva la sua trovata di dipingere, letteralmente, oggetti e persone con spruzzi di luci colorate. Dentro questa cornice, una decina di interpreti parlano poco, e per lo più non sì fanno intendere, ma agiscono molto, sia che compiano azioni talvolta assai elaborate, sia che si fissino in determinati e arcani atteggiamenti. Nelle une e negli altri non si cerchino precisi significati né riferimenti a Otello che non siano marginali o ovvii, basterà che l'occhio e l'orecchio registrino un negro nudo come un verme che sì esprime in una lingua immaginaria e che appare simbolicamente emarginato, oppure i lunghi drappi bianchi dell'inizio, o l'immenso velo nero che ogni tanto cala dall'alto, o magari il tappeto di granchiolini vivi sul quale si contorcono un attore e un'attrice dotati di notevole spirito di sacrificio. E ci sarebbe ancora, come esempio di numerosi e misteriosi altri eventi, un pranzo nuziale con un'impagabile orchestrina felliniana (le musiche sono di Alvin Curran), ma è inutile, oltre che impos sìbile, insistere nelle citazioni: siamo nel regno incantato del teatro-immagine, senza nemmeno più il supporto d'un testo come quello che aveva il più persuasivo e organico Impuro folle di tre settimane fa. E' curioso: più ci si discosta da un testo più questo appare indispensabile per appendervi immagini che abbiano un minimo dì intima logica e di organizzazione, se non di senso. Eppure allo spettacolo di Perlini rimprovererei soltanto l'insostenibile lunghezza; mezz'ora di meno e si gusterebbe di più. Per il resto, e piuttosto bello e intenso con le sue repentine sciabolate di luce e le abbaglianti aperture che si alternano al lume fioco di una lampadina dì scena o di una candela vagante nell'oscurità che subito ricordano le luci di un Barba. Ma se si cominciasse con i precedenti e le analogie (innegabili: Wilson, e poi Ricci. Nanni e ancora), non si finirebbe più. E sarebbe ingiusto perché se l'a¬ ria è inevitabilmente di famiglia, è pur vero che Perlini è un artista assai originale. E il suo spettacolo, anche se qua e là un po' stanco o di maniera, lo conferma. Alberto Blandi

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