La inutile solitudine

La inutile solitudine RISPONDE GIULIETTA MASINA La inutile solitudine • Ho desiderato sempre vivere solo e tutta la mia vita è stata influenzata da tale necessità che oso chiamare spirituale. Volevo che la solitudine, dopo il lavoro, mi aiutasse non a capire Dio (non ho osato mai neppure pensarlo) ma il motivo che ha consentito all'uomo di sapere che oltre la vita. tisica, materiale, esistono verità inimmaginabili, ma reati. " Dopo quarant'anni, dichiaro di essere esattamente come quarant'anni fa. Nulla si è mosso. In me. ha scosso il muro impenetrabile che ci divide e allontana dall'unica verità che conti se, dopo la morte, la nostra anima dovrà confluire in essa per l'eternità. • Non si meraviglierà, signora Masina. se oggi penso che i sensi ci abbiano ingannati, che l'intuizione de/7'oltre no;? è che uno stato di perversione dell'umana condizione, un orgoglio di rimanere anche dopo che non siamo più'. La lettera prosegue ammettendo di essere confusa (e invece è chiarissima) e che comunque, per il suo autore, il tempo è trascorso in fretta: adesso che egli vorrebbe essere come tutti, con una famiglia, dei figli, la solitudine lo ha tanto ammalato che non ne ha la forza. Gli restano i rimpianti. Da quanto ho capito, chi scrive non ha bisogno che io gli risponda. Comunica il suo fallimento e non ne trae nessuna conclusione. E' andata cosi, poteva andar meglio è andata peggio. Adesso gli rimangono le malinconie e l'inconscia speranza di imbattersi con qualcuno che, come lui solo, accolga con piacere la possibilità di un colloquio « tra gente che parla la stessa lingua ». lo non mi meraviglio di nulla, sebbene sia un po' sorpresa che si possa, se non credere almeno sperare, risolvere i problemi del dopo morte solamente con la riflessione. La fede non è atto razionale, ma una speculazione dell'intelligenza che rifiuta di minimizzare ciò che in realtà è l'uomo. E' naturale che riflettendo su se stesso, l'uomo si stupisca di essere cosi com'è, e dello sue straordinarie qualità, e di ciò che ha compiuto e di ciò che ancora farà per raggiungere il misterioso scopo che egli — l'uomo — prevede gli spetti di diritto. Uno stupore logico, a pensarci bene. Chi era l'uomo? Nato insieme con altre innumeri forme di vita, ecco che nel corso dei millenni egli, si separa dalla sorte comune di ogni altra creatura: e attraverso scorciatoie, chiamiamole pure biologiche, costruisce intorno a sé il mondo che gli serviva; e di riflesso si scopre una moralità naturale, la predisposizione fantastica a oggettivizzare le proprie intuizioni, a ritenersi diverso. A questo punto (e qui differisco da ciò che mi scrive l'autore della lettera alla quale rispondo) l'uomo, scoprendo Dio, non compie nessun atto d'orgoglio, ma l'unico suo vero atto di umiltà: pensa di essere il prodotto di una volontà suprema che va ben oltre la sua. Non dice, cioè: Sono il migliore: sospetta di essere tale perché una forza invisibile così vuole e ha deciso. Da causa, insomma, sia pure inventando Dio, l'uomo si autodefinisce un effetto. A mio giudizio, questo è l'unico principio razionale all'origine del senso del divino. Il resto, caro professore, è l'ovvia elaborazione immaginativa di quel principio. Giulietta Masina

Persone citate: Giulietta Masina, Masina