Da Verdi a Maderna di Massimo Mila

Da Verdi a Maderna Scala, tradizione e avanguardia Da Verdi a Maderna Una grande Messa da requiem diretta da Abbado - Nella prima parte del concerto, "Aura" di Maderna e "Lontano" di Ligeti: applauditi, ma ancora con reticenza, dal pubblico scaligero (Dal nostro inviato speciale) Milano, 1 novembre. Spesso si deplora che l'Italia non sia mai riuscita a mettere a punto un'esecuzione-tipo dei suoi capolavori operistici, come avviene in Austria e in Germania per le opere di Mozart, di Wagner, di Strauss. e in minor misura perfino in Francia per il Faust, per la Carmen e per il Pelléas. Ciò è dovuto al sistema teatrale italiano, con compagnie di volta in volta radunate, che si sciolgono dopo alcune recite e ognuno dei cantanti se ne va per i fatti suoi, secondo il vario gioco delle scritture. Per questo non riuscirono a far testo nemmeno le memorabili esecuzioni verdiane di Toscanini alla Scala, dalle quali ebbe inizio la Verdi - Renaissance dei nostri giorni. Curiosamente, quello che 7ion è mai stato possibile ottenere per le opere teatrali di Verdi, sembra che stia attuandosi a poco a poco per la Messa di Requiem, cresciuta nel frattempo a dismisura, tanto nella valutazione crìtica quanto nel favor popolare. Ciò è dovuto al fatto che nel Requiem, per quanto importante, la partecipazione dei solisti di canto non ha quella funzione determinante che ha nelle opere dove, sciolta la compagnia, praticamente è distrutta l'esecuzione. Nel Requiem coro e orchestra costituiscono la struttura portante, fissata la quale le eventuali sostituzioni dei solisti non fanno che inserirsi come un opportuno elemento di varietà, nella costanza dell'interpretazione di base. E' quello che accade alla Scala durante il presente consolato di Claudio Abbado: il grande poema sacro — o forse sarebbe meglio dire funebre — di Verdi, ritorna in ogni stagione, sotto la direzione ardente e precisa ad un tempo di questo giovane artista che da alcuni anni tiene in pugno la compagine orchestrale del teatro milanese e ne determina anche fortemente le scelte artistiche. Data dal 1971 anche la nuova direzione del coro — già per l'addietro eccellente — affidata a Romano Gandolfi, press'a poco coetaneo di Abbado. Sicché si può a buon diritto parlare d'un esperimento dì lavoro d'equipe che in questo teatro si viene svolgendo da alcuni anni, quasi cercando di ottenere i vantaggi del regime di teatro stabile, nella misura compatibile con l'avventurosa e garibaldina instabilità dell'opera all'italiana. Questa interpretazione del Requiem è ritornata l'altra sera alla Scala, preceduta da una attesa per nulla inferiore a quella delle più popolari opere di repertorio. Ne è orinai ben nota l'alta qualità (collaudata anche nella recente tournée in Unione Sovietica): essa non si smentisce, anzi non fa che affinarsi nella maturazione, mettendo in mostra la forma splendente delle masse scaligere, orchestra e coro. «Fuoco e dignità»: quello che i contemporanei di Haendel dicevano delle sue esecuzioni, potrebbe ripetersi per Abbado, sostituendo alla «dignità» la «precisione». Si tratta in ogni caso della sintesi di due qualità temperamentali che spesso si escludono a vicenda, e che alle interpretazioni di Abbado assicurano la garanzia d'una filologica esattezza, senza che ne scàpiti quella tensione nervosa, quel fuoco che per Verdi era il porro unum necessarium dell'esecuzione. Sul fondo costante di coro e orchestra le sempre rinnovate compagnie di canto s'inseriscono coinè una filigrana, costituendo ogni volta nella loro stessa mutevolezza un motivo d'interesse e di novità. La presente compagnia è di alto rango e di molto varia estrazione: un'italiana, Mirel- ta Freni: una jugoslava, il I mezzo soprano Ruza Baldani: \ un russo. Vladimir Atlantov. < tenore del Bolshoi che s'era \ ammirato. qui alla Scala, nel- /'Eugenio Oneghin. rivelando- ! ne V«italianità» delle qualità I vocali: e il gigantesco basso \ finlandese Marti Talvela. Tut- i ri assai bravi, forse proprio nell'ordine in cui si sono nominati, ma certo così diversi di temperamento, di isto e di formazione musicale, che perfino la nervosa autorità dì i Abbado ha avuto il suo da fa- \ re a tentare di amalgamarne j l'insieme. i A questo capolavoro de?-ì l'Ottocento il programma associava, nella prima parte del concerto, due composizioni moderne, in prima esecuzione a Milano: Aura di Maderna, e Lontano, dell'ungherese Gyòr- igy Ligeti. Aura è uno degli ul-' timi lavori sinfonici lasciali dal compositore veneziano di] cui ricorre fra pochi giorni (il !13 novembre) il primo anni- versario dell'aceroa scompar- ! sa. Gli era stato commissiona- \ lo dalla Chicago Symphony • Orchestra, che l'aveva esegui- ; to sotto la iva direzione il 23 i marzo 1972, ed e uno di quei ; grossi lavori a cui aveva final- mente potuto applicarsi negli j ultimi anni della sua indaga- i ratissima vita di direttore d'orchestra: lavori nei qualiìl'autenticità della sua vena \ poel.ica ed- espressiva si atlua in piena maturità di forma, concretando quell'ascendente di maestro della giovane generazione italiana che egli aveva da sempre esercitato nella pratica esecutiva, spesso dissipando generosamente, a vantaggio di un ideale artistico collettivo, le possibilità personali. Aura è un vasto poema orchestrale, sostanzialmente di forma tripartita, con alcune sezioni aleatorie che possono prolungarne ad libitum le misure (l'esecuzione presente è alquanto più breve dei venti minuti che l'autore prevedeva). Nel clima espressionistico, e spesso tragico, dell'insieme, queste sezioni inseriscono, quasi come un diavoletto, come le contorsioni d'una buffa marionetta, la vivacità del personale estro umoristico di Maderna. Lontano è una variazione felice intorno a quella formu- \ i \ la di impressionismo timbrico intorno alla quale si esercita assiduamente la fantasìa del compositore ungherese Ligeti: quasi un vibrare atmosferico delle particelle sonore, una rifrazione e unQ sfaldamento del suono in strati avviluppanti con una continua e cangiante palpitazione. Tanto l'una che l'altra composizione sono state applaudi te, tuttavia non in maniera così incondizionata come in altre città d'Italia. Non è ancora del tutto svanita l'immaturità d'ima parte del pubblico della Scala, quell'immaturità che poco più di vent'anni or sono celebrava i suoi maggiori trionfi fischiando sonoramente il Wozzeck. Entusiastica, naturalmente, l'accoglienza del capolavoro verdiano, coti ripetute chiamate ai solisti, al direttore e al mae stro del coro. Massimo Mila

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