Sacharov: da due a diecimila i prigionieri nei Lager russi di Paolo Garimberti

Sacharov: da due a diecimila i prigionieri nei Lager russi Una conferenza clandestina dello scienziato Sacharov: da due a diecimila i prigionieri nei Lager russi Nuovo quadro del "dissenso" - Una lettera a Breznev sulle proteste individuali (Dal nostro corrispondente) Mosca, 31 ottobre. Quanti sono i prigionieri politici nell'Unione Sovietica? abbiamo chiesto ieri sera all'accademico Andrej Sacharov dopo che egli aveva terminato di leggere a un piccolo gruppo di corrispondenti il testo di un appello inviato sei giorni fa a Leonid Breznev, affinché il segretario generale del pcus intervenga per migliorare le condizioni di vita dei detenuti nei Lager. Sacharov (che, dopo aver dato un contributo decisivo alla messa a punto della prima bomba all'idrogeno sovietica, ha ormai praticamente abbandonato lo studio degli atomi e delle molecole per dedicarsi interamente alla causa dei diritti civili) ha esitato a rispondere. «E' impossibile — ha detto dopo una breve ri- flessione — stabilire il numero esatto anche perché, non esistendo ufficialmente in Urss lo status di prigioniero politico, è difficile distinguerli dai detenuti di diritto comune. Ma, in base alle frammentarie indicazioni che riceviamo dai "campi", direi che sono tra due e diecimila». Dalla conferenza-stampa clandestina di Sacharov (ma la polizia doveva esserne informata, visto che un agente in uniforme controllava ostentamente tutti coloro che si recavano in casa dell'accademico) è emerso un quadro nuovo del «dissenso» politico in Urss. Soffocato nella capitale e nelle province sovietiche, attraverso una repressione capillare e spietata, il «dissenso» rinasce all'interno di quell'arcipelago carcerario, il «Gulag» di Solzenicyn, le cui isole sono sparse in tutta l'Unione sovietica, ma specialmente nelle terribili regioni siberiane. Già da diversi mesi, attraverso canali misteriosi e incredibili (Sacharov ci ha mostrato un documento giunto da un Lager, scritto con calligrafia minutissima, su un pezzetto di carta igienica di 8 centimetri per 4), arrivano da diversi «campi» delle regioni di Perm e della Mordovia notizie di scioperi della fame collettivi. Nella lettera inviata a Breznev, Sacharov segnila alcune tra le più clamorosa, proteste individuali. Lo storico ucraino Valentin Moroz, condannato per la seconda volta nella sua vita a 14 anni di carcere, digiuna dal primo luglio e viene alimentato artificialmente. Dal 2 ottobre, in un «campo» del Kazachstan, digiuna G. Abel (condannato per aver partecipato a una manifestazione di tedeschi della Volga, che vogliono emigrare in Germania). Dal 7 ottobre, nel Lager numero 7 della Mordovia, ha iniziato lo sciopero della fame il fisico Kronid Lubarskij, imitato pochi giorni dopo dall'ucraino Ivan Gel, alla sua seconda detenzione per motivi politici. Da alcune settimane digiunano due battisti, Vins e Zdorovic, condannati per la loro attività religiosa. Queste manifestazioni — nel durissimo regime carcerario dei Lager, dove l'assistenza medica è pressoché inesistente — si ritorcono sempre a danno dei prigionieri: due detenuti sono morti in seguito a scioperi della fame, Moroz e Lubarskij sono in gravissime condizioni di salute. E, molto spesso, la repressione è severa: dopo una prima manifestazione del genere, Lubarskij venne trasferito in cella d'isolamento nel carcere di Vladimir, considerato il peggiore penitenziario russo. Nonostante queste punizioni, il movimento di protesta nei «campi» si è allargato e, secondo le più recenti informazioni pervenute a Sacharov e al cosiddetto «Gruppo d'iniziativa per i diritti civili», i detenuti dei campi di Perm e della Mordovia sono riusciti a comunicare tra loro per proclamare il 30 ottobre «Giornata del prigioniero politico», celebrandola con uno sciopero della fame collettivo della durata di due giorni. Con questa manifestazione di massa, i detenuti chiedono un trattamento più umanitario e, in particolare, che sia definito lo status di prigioniero politico; che vengano eliminati il bando della corrispondenza con i parenti, il lavoro forzato, il divieto di rice vere pacchi alimentari, che sia creata un'assistenza sanitaria adeguata, la possibilità di un lavoro per scienziati e artisti conforme alla loro dignità; che venga aumentata la frequenza delle visite dei parenti. Soltanto applicando questi principi, afferma Sacharov nella conclusione del suo appello a Breznev, si potrà parzialmente cancellare l'onta di cui lo Stato sovietico si macchia nei confronti di queste persone «vittime d'intolleranza e di pregiudizi ideologici o antireligiosi ». Paolo Garimberti Andrej Sacharov

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