Le elezioni della paura di Vittorio Zucconi

Le elezioni della paura GLI STATI UNITI DAVANTI AL VOTO DEL 5 NOVEMBRE Le elezioni della paura Il voto riguarda Camera, Senato e Governatorati, ma è anche un primo giudizio su Ford - I repubblicani tremano per Watergate e la recessione; i democratici paventano una vittoria troppo massiccia - Tra i candidati, molti giovani dalla "faccia pulita" \ j (Dal nostro corrispondente) Washington, ottobre. Tra Watergate e inflazione, crisi dell'economia e crisi delle coscienze, l'Ante! rica di Ford si guarda allo specchio. Le elezioni sono prossime, il 5 novembre, e finalmente il « Paese reale » . ! | avrà l'occasione per misti j rare la sua classe politica | con il solo, indiscutibile metro della democrazia: il voto. Su Washington è già sceso il silenzio delle vigilie: deputati e senatori viaggiano lungo gli infiniti sentieri elettorali di questa nazione-continente, Ford sta portando in 18 Stati il sigillo presidenziale per tampo! nare la prevista alluvione di voti democratici, anche Kissinger è lontano, e certo non se ne dispiace. Sono le elezioni della paura. I repubblicani tremano davanti alle cambiali del I Watergate e della recessio- \ I ne giunte insieme a scaden- | za, i democratici paventano ] una vittoria troppo massic- j . eia che riecciti le contrad- j ! dizioni interne. Ford si ve- i de già di fronte a un Con gresso dominato dagli avversari che aggravi l'incertezza del nuovo Presidente: sapendo che il voto di novembre, pur se limitato a Camera. Senato e Governa- ! torati. sarà anche un voto j su di lui, il primo Presidente portato dagli eventi e non dagli elettori alla Casa Bianca. Ma l'ansia più profonda è ancora un'altra: che le elezioni rivelino uno scollamento generale della costituency, dell'elettorato rispetto al « sistema ». E verifichino così i timori di guanti vedevano nel Watergate un attentato al rapporto fi- , duciario cittadini-istituzioni, i dunque un'operazione sui cida. Delle tre crisi che l'Ame- \ rica di Gerald Ford attra | versa, la politica, l'econo- mica, la socio-razziale (strel- tornente interdipendenti), la prima è la meno appariscen- te eppnr forse la più insi- diosa. a lungo termine. « Ogni regime — scrive Tocqueville — ha un suo punto di rottura inevitabile, come ogni organismo sociale o biologico ». Il crack del bipartitismo americano è certo ben lontano, ma il cocktail di inflazione e di sfiducia, di licenziamenti e di Watergate, senza precedenti, ha assottigliato la resistenza del meccanismo politico, ridotto la sua capacità di assorbimento. Segni patologici Una vittoria schiacciante dei democratici, se i corri- puters demoscopici leggono giusto, sarebbe già un segno patologico. Oggi dei 435 deputati (nella « House of Representatives ») 248 sono democratici e il 6 no- I vembre potrebbero essere , più di 300. Al Senato (dove • solo un terzo dei 7)osti è in \ ballottaggio) il partito di d o , e l a r a i e . Kennedy e McGovern, che i ha ora 58 seggi su 100, può | raggiungere quota 66. Ciò ! significherebbe i due terzi di maggioranza in entrambe le Camere, quindi la pos1 sibilila per i democratici di ; imporre le loro leggi, bloc'■ care le proposte presideni ziali e annullare ogni « veto » della Casa Bianca, opeI razione che richiede appunI to due terzi dei voti. Se non I è la « tirannide legislativa » • che Ford va predicando ; (pensare che 300 democra| tici voterebbero sempre al' l'unisono è follia) certo sa| rebbe un serio stallo polij tico. Si disegna, dice James Reì ston, uno « schema » preoc| cupante: 1) nel suo profonI do malcontento, l'elettorato j castiga il partito di Nixon I e Ford empiendo il Parlamento di democratici e di indipendenti. 2) Esecutivo e legislativo si fronteggiano senza potersi superare e senza produrre l'azione di governo indispensabile nella congiuntura assai aspra, tanto all'interno che nei rapporti internazionali. 3) Lo scontento e la sfiducia aumentano nel Paese, pronti a tradursi in un voto a sorpresa nelle presidenziali del '76, aggravando così l'intero quadro. Crisi dell'elettorato e degli elettori si alimenterebbero dunque a vicenda, in una spirale purtroppo ben nota in Europa, e soprattutto in Italia. Eppure, il pessimismo generalizzato che circonda queste « elezioni della paura » non convince completamente. Le previsioni sono, è vero, categoriche e aggiungono, alla prospettiva del saccheggio democratico, un dato inquietante: spio un americano su due è « interessato » alle elezioni e meno di uno su tre dichiara di voler votare 'la percentuale più bassa dalla fine della guerra). Ma i sintomi di reazione sono altrettanto chiari e si avvertono troppo nitidi per cedere alla tentazione del doom writing, del preannunciare catastrofi. Mai tanti giovani, tante donne, tante facce sconosciute sono stati in corsa per i seggi di deputato, senatore e governatore di Stato. Di fronte alla crisi dei « mandarini », la bocciatura di Fullbright, lo scandalo di Wilbur Mills, la resa di Ted Kennedy (per non ■ parlar di Nixon), di fronte all'ondata di qualunquismo sollevata da Watergate verso « tutti quelli lassù a Washington », i partiti non esitano a mettere in campo le loro forze nuovissime. E' l'organismo politico che lancia i suoi anticorpi. Nomi come Gary Hart (36 anni, frequentatore di « dive»), Edmund Brown (36 anni, ex seminarista gesuita), Richard Lamm (34 anni), Colleen O'Connor (28 anni), Harold Ford (28 anni) non dicono nulla al pubblico internazionale e poco fuori dai loro Stati: e sono i front runners, i « corridori di testa » nella gara elettorale per i democratici. Alcuni sono a tal punto favoriti da aver indotto al ritiro gli opponenti. In 60 collegi per la Camera, il democratico « correrà » da solo. Quarantadue donne sono in lizza per Camera e Senato e mai nella storia Usa furono altrettante. Gli sbarbatelli Sono giovani cauti, generalmente su posizioni moderate, che portano soprattutto il contributo della loro verginità politica al proces- . , m dl cicatrizzazione post- ^ I Water°ate- Dis™ton°' ™ - comizi, in piazza come alla è tv.' i Proble^ di mtì 1 1 ni con un linguaggio piano e minore: costo della vita, a a i a i e i n uo. a n n ai. j aa pe- ifl. e o a- n o di di disoccupazione, energia, sussidi pubblici, integrazione; raramente accennano allo scandalo nazionale (è comunque un atout acquisito ed evocarlo può apparire come « bastonare un cavallo morto»), ancor più di rado alla politica estera. E' una « fanteria di sbarbatelli » (la definizione è di Fullbright, già sconfitto e perciò comprensibilmente amaro) che tenta una operazione delicatissima: saldare giovani e non-giovani, conservatori e radicali, poveri e non-poveri, le due Americhe che si fronteggiarono con Nixon e Me Govern e che, alla resa dei conti, sono uscite entrambe sconfìtte. Gran merito di questa strategia delle « facce pulite » va alla logica naturale del postWatergate (h volto famoso uguale volto sospetto », dice il senatore Jackson) ma in parte anche al presidente del partito democratico. Strauss. Dalla débàcle di McGovern egli ha preso in mano il partito (o meglio i tronconi) e cominciato la ricucitura penosa delle « correnti ». Si dice che sia ormai esausto e logoro: ricchissimo texano, a Washington perde tempo, danaro e salute. A chi gli chiede perché non tronchi il rapporto con i democratici, risponde: « Quando si fa all'amore con un gorilla, è lui che decide quando è ora di smettere ». Dietro lo scherzo, c'è la real- tà di una classe dirigente \c/ze avverte i segni dell'erosione e cerca i rimedi. Perora soprattutto i democratici: poco alla volta, superando lo choc nixoniano, anche i repubblicani. La crisi politica dell'America di Ford è certo profonda, non si incassano in 10 anni l'omicidio di un Presidente, la destituzione di un altro, le dimissioni ignominiose di un « vice » (Agnew), il rinvio a giudizio di 4 ministri (fra cui il ministro della Giustizia Mitchell) senza barcollare, senza eccitare dubbi e disamore. E' una crisi di idee, di un meccanismo politico che non offre alternative a se stesso e quindi è esposto al logoramento delle istituzioni; è una crisi di leadership, cioè di uomini, visto che in politica i vecchi soldati, qui, muoiono o sì devono dimettere. L'ansia di rinnovamen- to, il rifugiarsi in valori « a- nagrafici » appaiono talora un po' troppo scopertamen- te strumentali (come il ge- sto di 11 candidati che han- no respinto i contributi dei petrolieri) ma il desiderio di ritrovare il filo del dialogo con l'elettorato è sincero. La promessa di essere onesti amministratori è accettabile, nell'atmosfera di caccia alle streghe lasciata da Waterga- ee fsi veda il caso Rocke- feller). L'antidoto alla grande paura di questa vigilia elettorale delle mid-term 74 (le elezioni che cadono a metà di un mandato presidenziale) sembra proprio questo: il ritorno alla fonte della sovranità, la corsa al recupero dell'elettore (non solo del voto). La classe politica americana non è forse moralmente o culturalmente migliore di altre: soltanto essa ha compreso che non si rinnega il Paese « reale » senza autocondannarsi, presto o tardi. Come è accaduto a Nixon. « E' un problema di so- \ pravvivenza, di puro utilita- rismo — ha scritto la rivista radicale Dissent, 7ton certo tenera con l'establishment —. Ma che cos'è la democrazia se non il tentativo di far coincidere l'utile dell'elettore e dell'eletto? ». Vittorio Zucconi

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