Quei ventitré giorni di Alba

Quei ventitré giorni di Alba Come la città resistette ai fascisti nell'autunno del '44 Quei ventitré giorni di Alba Pur non essendo una "repubblica partigiana" come quella dell'Ossola, fu il nodo strategico d'un ampio territorio - Sconfìtti, i repubblichini ottennero di ritirarsi senza essere molestati - Ma presto ritornarono all'attacco - Circondati da carri armati e artiglieria, il 2 novembre i partigiani furono costretti alla resa L'« ultimatum » dei fascisti di Salò, schierati con carri armati e artiglieria sull'altra sponda del Tanaro, diceva che la mattina dopo, per tempo, allo sparo del primo colpo di cannone, i partigiani che difendevano Alba da ventitré giorni dovevano alzare una bandiera bianca in cima alla grande cupola del Duomo. Invece, nell'alba di pioggia del 2 novembre 1944, giovedì, giorno dei Morti, sull'antico campanile romanico sventolò un tricolore. Il presidio partigiano non si arrendeva; i fascisti attaccarono alle 8 in punto e a sera erano padroni della città: «Alba, conquistala e difesa dai patrioti — scriveva un giornale clandestino, " L'Opinione " — è caduta di nuovo in mano ai fascisti. Zerbino, il sicario di Mussolini nel processo Perotti, è l'eroe della giornata. E' entrato in Alba alla testa delle brigate nere e della Decima Mas. Tutto epico: la traversata del Tanaro, i barconi, i canotti pneumatici, i colpi da "57" e da "105" die prendevano di mira (questa volta è vero) la basilica e il seminario; la Decima Mas che vuol Indiare il vescovo. Alba fu difesa eroicamente dai patrioti ma le loro armi più potenti erano le mitragliatrici da 20 millimetri. E perciò è caduta ». Alba non fu una vera e propria « repubblica partigiana », sull'esempio di quella dell'Ossola, ma rappresentò il nodo strategico, e quindi la « capitale », di un ampio territorio — la zona delle Langhe, a nordest di Mondovì — sorto entro due grandi difese naturali, il Tanaro e la Bormida, che aveva un perimetro di 200 chilometri c contava complessivamente una popolazione fra le 90 e le 140 mila anime. Già dalla primavera del 1944 le formazioni autonome di « Mauri », quelle garibaldine della sedicesima brigata « Perotti » e, più tardi, il Raggruppamento Langhe avevano liberato parecchie cittadine di duemila-tremila ed anche cinquemila abitanti come Barolo, Montelupo, La Morra, Castiglione Falletto, Dogliani, Monchiero, Serralunga d'Alba, Serravalle delle Langhe, Neive, Mango, Barbaresco, Niella Belbo, Farigliano, Carrù, Mombarcaro. Col potere dei « delegati civili » parecchi paesi (Murazzano, Marsaglia, Monforte, Sinio, Roddino, Castellino, Roccacigliè) avevano indetto libere elezioni; sindaci e giunte si erano messi al lavoro per gli ammassi, la distribuzione dei generi contingentati, le opere pubbliche, il controllo dei prezzi, il censimento delle cantine e le imposte sul reddito stroncando, con successo, perfino il fenomeno del mercato nero che altrove imperversava (« Verbale di deliberazione », n. 3; 10 settembre 1944, Giunta Popolare Comunale di Monforte). Col sopravvenire dell'estate la penetrazione partigiana nelle Langhe, favorita dal richia ino sulla « linea Gotica » di al cune unità fasciste, sgretolò completamente l'apparato amministrativo della r.s.i. (al punto che le autorità nazifasciste dovettero riprendere gli invìi di sale e di zucchero in queste zone « ribelli » e, addirittura, riconoscere, durante le sporadiche rioccupazioni di parte delle località libere, « la validità dei buoni di requisizioni alimentari rilasciati dai partigiani ») e ne paralizzò progressivamente il potere politico-militare: agli inizi di ottobre la più forte guarnigione delle Langhe, quella di Alba, chiese di poter abbandonare la città. Con la mediazione del vescovo, mons. Grassi, i repubblichini del battaglione « Cadore » sgomberarono a condizione di non essere molestati durante il ripiegamento: a mezzogiorno in punto del giorno 10 l'ultima passerella sul Tanaro saltò in aria alle loro spalle. La nuova vita di Alba — amministrazione democratica, costituzione del Cln e un giornale libero, La Gazzetta piemontese — ebbe così inizio; tuttavia, a differenza dell'Ossola e della Carnia, la « capitale » delle Langhe non seppe darsi quella « giunta unitaria di governo » che contraddistingueva le altre maggiori zone libere del Nord, fatto provocato sia dalla contrapposizione di formazioni di diverso orientamento, come i garibaldini da una parte e gli autonomi dall'altra, sia dalla « mancata presenza — nota lo storico Massimo Legnani — di una efficiente rete di Cln dovuta anche al basso grado di sviluppo politico della zona ». Un tentativo di comporre una giunta unitaria avvenne « in extremis » il 24 ottobre; negli stessi giorni, però, il riflusso nazifascista causato dall'arresto dell'avanzata alleata a soli 15 km da Bologna e dalla feroce « settimana di lotta contro le bande » proclamata da Kcsselring si estese a tutto il Nord. Già il 20 ottobre l'alto commissario della r.s.i. per il Piemonte, Zerbino, raccolse i « Rap » (reparti antipartigiani), il distaccamento corazzato «Leonessa», le brigate nere, di Torino e Cuneo, la Decima Mas e un gruppo di artiglieria e cercò di impadronirsi di Nizza. Respinto, concentrò Io sforzo nel guado del Tanaro, all'altezza di Mussotto. Fu una nuova batosta. Neppure un'azione di sorpresa — il 28 ottobre, anniversario caro ai fascisti — ebbe successo. Ma, dalla città contesa, i partigiani intuirono le linee del piano nemico: con i canotti e un ponte di barche i fascisti intendevano forzare il fiume in due punti, ad ovest (zona di Roddi) e ad est (verso Costigliele) per stringere Alba i in una tenaglia. Le piogge torrenziali di un inverno precoce parvero aiutare i difensori: il fiume, ingrossato, strappava alberi e passe- j relle, disancorava le barche, demoliva gli argini, invadeva i campi. Unico passaggio stabile, in un arco di cento chilometri, era il ponte sospeso di Pollenzo. Gli aerei alleati, chiamati da « Mauri », non erano riusciti a distruggerlo e per due volte le loro bombe avevano sbagliato bersaglio. Allora una squadra di garibaldini lo minò, ne fece saltare una parte. Alba era dunque imprendibile? Lo stesso giorno. Zerbino, il federale torinese Solaro e il suo vice ing. Tealdy chiesero, tramite il vescovo, un colloquio con i partigiani. In realtà, i fascisti volevano prendere tempo; in quell'ultima settimana di ottobre stava accorrendo dalla Liguria la XXXIV divisione tedesca per attaccare le Lan-, ghe, ora che a Nord l'Ossola I era stata appena riconquistata da Salò. Gli incontri furono due, in una cascina di Barbaresco e nella casa parrocchiale di Santa Vittoria d'Alba: « Abbiamo l'ordine del duce di riprendere Alba — disse Solaro —. £' doloroso, però, che ci si debba scannare fra italiani ». Poi venne il suo « ultimatum »; i partigiani dovevano alzare bandiera bianca sul Duomo; in cambio avrebbero potuto lasciare la città indisturbati: « Altrimenti saremo costretti a bombardare l'abitato con l'artiglieria », aggiunse Zerbino. Il secco rifiuto alle proposte concilianti dei fascisti e la bre- ve battaglia che ne seguì non furono un sanguinoso gesto re- torico dei difensori. In chiave militare, lo scontro realizzò la tattica di guerriglia suggerita il 24 ottobre dalla direzione comunista ai propri responsabili in Alba (« scartare la difesa rigida, saper creare il pugno di mosche »); politicamente, respinse e condannò l'ambiguo « accordo fra italiani » con cui Zerbino e Solaro ponevano sullo stesso piano oppressi ed oppressori. L'attacco ad Alba cominciò, tuttavia, prima che il tricolore sfidasse i fascisti dalla torre del Duomo. Nella notte, favoriti dalla nebbia, i genieri tedeschi riattivarono il ponte sospeso di Pollenzo, annientarono il pic¬ cutissasdatec«tgsfadfeac colo presidio e minacciarono su un vasto fianco le posizioni partigiane. La prima Gnea~di difesa, da Castelgherlons- a San Casciano, riuscì a resistere' fino a mezzogiorno. Ma le mitragliatrici non bastavano; sotto l'acqua che cadeva ininterrotta i nazifascisti aprirono la strada alle loro fanterie con un intenso fuoco di cannoni e di mortai. Alle 14 « Mauri » diede l'ordine di ritirata. Gli ultimi scontri, fra gli alpini di « Poli » e i fascisti, si ebbero nelle trincee piene di fango di Villa Miroglio, a metà del pomeriggio: poi i 1500 difensori di Alba abbandonarono anche quest'ultimo pezzo della città e risalirono le colline. Giuseppe Mayda Alba 1944. Una staffetta a cavallo attraversa il centro della città liberata, in quei giorni, dai putiniani