Previsioni e realtà mai "a braccetto,, di Mario Salvatorelli

Previsioni e realtà mai "a braccetto,, I nostri soldi Previsioni e realtà mai "a braccetto,, A Roma c'è una «via del Governo Vecchio ». e ciò fa presumere che un tempo il cambiamento di «Gabinetto » era una cosa tanto insolita da meritare di esser ricordata nella toponomastica cittadina. Oggi occorrerebbero tutte le vie di tutti i quartieri residenziali (per non parlare delle borgate), sorti nel dopoguerra con l'espansione frenetica di Roma, per ricordare tali avvenimenti. Tuttavia, questo non basta a spiegare, al lettore frettoloso e distratto da mille preoccupazioni (lo siamo tutti), come sia possibile che tra previsioni di entrate fiscali ed entrate effettive ci siano, sempre, tante differenze, anche se le prime erano stale formulate dal governo vecchio e le seconde avvengono sotto un governo nuovo o più governi nuovi). E' dell'altro giorno la notizia che « l'imposta sui distillati del petrolio è ammontata a 1251 miliardi di lire nei primi sette mesi di quest'anno, con una differenza in meno di 2S5 miliardi, rispetto alle previsioni, a causa della contrazione dei consumi provocata dal governo mediante l'aumento dell'imposta »., Il lettore frettoloso già citato si sarà posta questa domanda: « Ma le previsioni di entrate fiscali non le fa il governo? Se la risposta è sì, come è possibile che lo stesso governo applichi poi delle misure che provocheranno, inevitabilmente, entrate inferiori? Oppure, come può un governo applicare delle misure e poi fare previsioni che risulteranno, altrettanto inevitabilmente, in contrasto con quei provvedimenti? ». La spiegazione non sta nel fatto che tra previsioni ed entrate ci sono di mezzo uno o più cambiamenti di governo, perché il minimo che si può pretendere dai ministri « nuovi » (ammesso che lo siano veramente) è che conoscano ciò che hanno fatto i loro predecessori, e ne tengano conto. La causa di questi contrasti dipende, invece, dal fatto che le previsioni di bilancio, entrate ed uscite, dello Stato, sono fatte almeno cinque mesi prima dell'inizio dell'anno al quale si riferiscono. Così e accaduto, per la notizia di cui stiamo parlando, che le entrate fiscali del 1974, derivanti dai « distillati del petrolio » (benzina, olio combustibile, gasolio, eccetera) sono state « previste » nella prima metà del 1973, quando non si poteva « prevedere » ciò che sarebbe successo nella seconda metà di quell'anno, cioè la guerra del Kippur c quella del petrolio. Detto questo, però, il di¬ scorso non è finito. Continua, infatti, con l'osservazione che dall'aumento dell'imposta sui distillali di petrolio in genere, sulla benzina iti particolare, nessuno ci ha guadagnalo: non la bilancia commerciale, che ha risparmiato, forse, qualche centinaio di miliardi (sui 5000 miliardi del disavanzo petrolifero totale previsto per quest'anno); non il fìsco, che ha incassato 285 miliardi in meno in sette mesi (e a fine anno saranno almeno 400 miliardi in meno delle «previsioni»): non l'economia nazionale, che deve affrontare la crisi del settore automobilistico; tanto meno i consumatóri in genere, con o senza automobile, che pagano di più la benzina e tulli i prodotti e i servizi per il cui trasporlo è necessario il carburante. La convinzione che la crisi economica non debba essere « aggredita » come se fosse un « tutto unico », nelle sue cause e nei suoi effetti, ma che richieda, invece, interventi selezionati, causa per causa, effetto per effetto, settore per settore, si sta facendo strada. L'esempio più recente viene dagli Stati Uniti, dove un grosso « manager », William Miller, propone una serie di misure, in parie «restrittive», in parte «espansive», nel settore del credito e del fisco, per combattere più, efficacemente sul fronte dell'inllazionc e sul secondo, non meno importante, fronte della produzione e della difesa del livello di occupazione. Miller, che espone la sua tesi in uno degli ultimi numeri di Business Week, non trova alcuna contraddizione nel fatto che si controllino certi consumi, si riducano o si rinviino le spese statali non indispensabili, e al tempo stesso si alleggerisca il carico fiscale per « incentivare » gl'investimenti utili ad aumentare produzione e produttività in certi settori. Di particolare interesse, mi sembra, è la sua proposta di concedere un « credito d'imposta », in pratica sgravi fiscali, a chi destina i suoi risparmi all'acquisto di un'abitazione, per uso proprio. Anche la « snella creditizia » — da questo punto di vista — potrebbe essere più « flessibile » e più « selettiva ». I tecnici del settore sostengono l'impossibilità pratica di una selezione. Ma è possibile che tra settore creditizio e settore imprenditoriale esista un fossato incolmabile, che tra risparmiatori e raccoglitori di risparmio da una parie, operatori economici ed investitori dall'altra, si erga un cristallo infrangibile, che permette agli uni di vedere gli altri, ma non di lavorare insieme, nell'interesse dei singoli e del Paese? Mario Salvatorelli

Persone citate: Miller, William Miller

Luoghi citati: Roma, Stati Uniti