Songs americani e orchestra russa

Songs americani e orchestra russa Stagione dei concerti Songs americani e orchestra russa Il soprano Joan Logue per il Circolo Toscanini - Martinotti all'Auditorium ■ Il complesso sovietico al Regio, un successo Nell'Auditorio A della Rai il Circolo Toscanini ha presentato il soprano Joan Logue in un programma di "songs" inglesi e americani. Levigatissimi e signorili i canti popolari inglesi nelle eleganti armonizzazioni di Benjamin Britten (ma The sally gardens, su testo di Yeats, può chiamarsi un "folk-song"?). Pittoresca e variopinta una scelta di dieci fra gli innumerevoli pezzi vocali lasciati dall'americano Charles Ives: si va dalla disarmante, quasi oleografica semplicità di Two little floloers alla politonalità di At the river, dalla allegria bandistica di He is there all'incubo di Like a sick eagle, con l'impiego di angosciosi microintervalli vocali, dalla pace religiosa di Serenity alla sacra rappresentazione, nel gusto d'una stampa popolare, di General William Booth enters into heaven. Tra Britten e Ives, un esponente dell'avanguardia musicale inglese, David Bedford, allievo di Lennox Berkeley, poi in contatto con Maderna, e specialmente con Nono. Come in here, chilo", su testo di Kenneth Patchen, è un pezzo per soprano e pianoforte amplificato (cioè collegato attraverso un microfono con un amplificatore elettronico), e comporta effetti di eco e di propagazione della voce, emessa dentro la cassa del pianoforte, e un espe-, rimento di corde del pianoforte strofinate con due bottiglie vuote, che poi ci dondolano su a lungo per effetto delle prolungate vibrazioni. Tutte queste cose ha eseguito con brio e musicale competenza, e con voce di dimensione cameristica il soprano americano Joan Logue, venuta a perfezionarsi in Italia, presso queste nostre scuole di canto di cui si dice sempre che siano un disastro, ma che son sempre piene di stranieri. Pare che la Logue canti anche musica folk e pop accompagnandosi sulla chitarra: peccato che non si sia fatta sentire. Però, niente male l'accompagnamento pianistico di Pino Bellino, americano anche lui, anche lui residente in Italia, barbuto e capelluto, in farsetto e maniche di camicia, abile sia a manovrar bottiglie, sia a padroneggiare le difficoltà tecniche (in un caso, terrificanti) degli accompagnamenti di Ives. Cordiali applausi; peccato che la mancanza dei testi non permettesse di intendere interamente il significato delle composizioni, assai discorsive, di Bedford e Ives. m- m> * * Si è svolto l'altra sera all'Auditorium della Bai il concerto rinviato venerdì scorso a causa dello sciopero. Inalterato il programma che comprendeva il Concerto in do maggiore K. 467 per pianoforte ed orchestra di Mozart, Il principe di legno, suite dal balletto, di Bela Bartók e leu de cartes, balletto in tre mani di Igor Strawinsky. Solista nell'olimpico e luminosissimo concerto mozartiano era il pianista Giuseppe La Licata che ne ha fornito una lettura assai limpida, talvolta un po' ingenua ma felice, nel complesso, per una bella limpidezza di tocco. In sincronia l'orchestra diretta da Bruno Martinotti e saldamente guidata, poi, nel mare magnum del bartokiano Principe di legno che raccoglie varie movenze del sinfonismo europeo, dal palese riferimento wagneriano del Preludio a limpidezze che rimandano a Ravel o a Debussy. Al termine il grazioso balletto di Strawinsky ha chiuso la serata con un'espressione di pungente ironia. Piuttosto scarso il pubblico e cordiali gli applausi al direttore ed al solista. * * In perfetta efficienza come un grandioso macchinario ad alto grado di lubrificazione è scesa al Teatro Regio l'Orchestra di Stato dell'Urss, invitata dall'Unione Musicale. Il complesso s'avvale d'una splendida massa d'archi, talmente affiatata e pastosa da creare persino un certo squilibrio col settore dei flati; i quali, pur suonando assai bene, è come se avessero poco spazio per espandersi, stentano a decollare ed a liberarsi dalle maglie avvolgenti tramate costantemente dagli archi. Violini e viole suonano come un uomo solo, s'assottigliano in sussurri che hanno insieme l'esilità e la resistenza del filo di seta; sotto di loro violoncelli e contrabbassi gettano le basi dell'edificio lavorando con una compattezza ed una fusione che raramente accade di sentire. E' stato un piacere per esempio gustare l'altra sera la straordinaria originalità del basso beethoveniano nella Settima Sinfonia, portato in luce dalla nostra orchestra con nettissima evidenza. Merito, prima di tutto, della bacchetta di Dmitrij Kitaenko, spietato anatomista del¬ latttzlssdpStmbsppcP la pagina musicale, anche se attacchi in guisa di colpi di tuono ed incastro cronometrico delle parti restano il termine ultimo d'ogni esecuzione. Ecco un caso in cui la perfetta efficienza s'esaurisce in se stessa e non si fa strumento per la ricreazione d'altri valori. Staccata a tempi assai rapidi, la Settima Sinfonia ha sofferto, soprattutto nell'allegretto, d'una mancanza di mistero e d'ambiguità che ha infranto il fascino sottilissimo di quest'opera, ormai decisamente proiettata verso l'estrema complessità di contenuti del terzo stile. Assai meglio è riuscito nel complesso il Primo Concerto per violino di Prokofiev, anche per merito dell'ottima e festeggiata solista Zorja Shikhmurzaeva che ha reso a dovere la secchezza del brano, bellissimo nei suoi algidi colori strumentali e nei disegni frastagliati come gelide ramificazioni di ghiaccio. Chiudeva Ravel con la canonica Suite n. 2 dal balletto Daphnis et Chloé: entusiasmo, alla fine, del foltissimo pubblico assiepato fin sulle gradinate e due pagine fuori programma di Rimski e Glinka. gal.

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