Salvare il cuore vecchio delle città

Salvare il cuore vecchio delle città A Bologna un convegno internazionale sui centri storici Salvare il cuore vecchio delle città Due tendenze sono in atto, in Europa - La prima: restaurare vecchi palazzi, espellendo gli inquilini più poveri e trasformando i quartieri rinnovati in ghetti di lusso - La seconda (esempio bolognese) : affidare a enti pubblici la sistemazione degli edifici cadenti lasciando gli abitanti nelle loro case, con interventi risanatori di edilizia popolare (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 22 ottobre. «Non vogliamo discorsi teorici ma dati di fatto: quante case sono state restaurate nel centro storico di Bologna?». domanda Duncan Sandys, presidente di «Europa Nostra» e rappresentante dei conservazionisti inglesi di vecchio stampo al convegno internazionale sui centri storici indetto dal Consiglio c.'Europa. La battuta, volutamente polemica, è sufficiente per indicare le spaccature che già si vedono all'apertura dei lavori. Oltre cento esperti di diciassette Paesi, con l'aggiunta di numerosi delegati dei Paesi socialisti, sono alle prese con un tema divenuto esplosivo. I centri storici europei, considerati fino a ieri come beni culturali cari a minoranze conservatrici e raffinate, si rivelano contenitori di un enorme patrimonio edilizio (in Italia un quarto delle abitazioni) la cui destinazione mette in gioco migliaia di miliardi e la sorte di milioni di famiglie, da Edimburgo a Rouen, a Bologna, a Taranto. Due sono le tendenze opposte. Vediamo la prima. E' per una politica di intervento che ir molti Paesi europei (la Svizzera, la Francia, l'Inghilterra, per fare alcuni esempi > ha permesso di conservare interi quartieri di grande interesse storico-artistico senza preoccupazioni di ordine sociale, lasciando cioè che i residenti a basso reddito venissero espulsi in periferia e sostituiti da nuovi abitanti ricchi, oppure da negozi di lusso e sedi direzionali, capaci di remunerare i capitali investiti nel restauro dai proprietari, da imprese private e miste. La relazione di Bernardo Rossi Doria ha illustrato alcune «realizzazioni esemplari». In Francia la legge Malraux, del 1962, ha consentito larghi interventi di conservazione entro piani permanenti di salvaguardia come quello di Rouen su un'isola di 35 ettari e undicimila abitanti. Una società mista, finanziata parzialmente dallo Stato, ha promosso il rinnovo urbano sia attraverso i privati, sia direttamente. In questo caso la società mista rivende a prezzo di mercato i gli immobili restaurati. Duncan Sandys ha riferito j su alcuni programmi in corso in Inghilterra: una società J «non profit» compra i vecchi; edifici dei quartieri storici, li restaura, li rivende al mercato libero e investe gli utili in altri acquisti e restauri, con un processo a catena. I prò-1 prietari di immobili situati nei centri storici inglesi possono ottenere sussidi dallo Stato per i restauri e i miglio-1 ramenti interni purché si im- j pegnino a non vendere entro un certo numero di anni oppure a stabilire canoni di affitto equi, regolati da apposiI te commissioni locali. La tendenza, che attribuisce j valore primario aila conserva| zione dell'aspetto dei quartier antichi, ha motivato serie preoccupazioni di ordine soi ciale soprattutto in Francia. ; Oggi sono allo studio formule j nuove per integrare la legge Malraux: programmi pubblici di edilizia a basso costo negli edifici degradati dei centri storici, case-albergo per lavoratori nei quartieri antichi, incentivi per migliorare l'abitabilità di vecchi alloggi. La seconda tendenza è illustrata dal modello di Bologna: la conservazione del centro storico programmata entro il piano urbanistico della città e della Regione. Bologna, è noto, ha posto un limite alla sua crescita per evitare la congestione e ha varato un piano di edilizia economico - popolare tutelando i residenti a basso reddito. I fondi a disposizione sono limitati, circa 5 miliardi contro i 30 previsti nel '72 per risanare i cinque comparti del centro storico finora programmati. I cantieri aperti recentemente toccano alcune decine di abitazioni. Ma il valore esemplare non sta nella quantità. Bologna vuole dimostrare che è possibile risanare i quartieri antichi, d'accordo con gli abitanti (ogni progetto viene discusso nelle assemblee popolari) senza ricorrere al meccanismo del profitto e perciò all'espulsione degli strati sociali più deboli. L'assessore Cervellati ha ricordato oggi che è stata abbandonata l'ipotesi dell'esproprio generalizzato e che per ogni edificio si stipulano convenzioni con i proprietari. Questi ricevono aiuti (prestiti agevolati sino all'80 per cento della spesa, sovvenzioni a fondo perduto se hanno bassi redditi) purché rispettino il piano del Comune, purché si impegnino ad abitare nell'alloggio restaurato oppure ad affittarlo a un equo canone. Il costo per la collettività è sui cinque milioni per abitante, contro i 7-8 milioni spesi per la sistemazione di un abitante nelle «case popolari» della periferia. Il sistema bolognese non appare eccessivamente rivoluzionario, tanto più se si pensa al meccanismo dell'edilizia pubblica in Olanda, in Svezia, in Inghilterra. Ma al convegno è stato duramente attaccato, soprattutto dal francese Jacques Houlet, «controrelatore» di Cervellati, il quale ha accusato il piano bolognese di mettere in pericolo il diritto di proprietà e di mortificare l'iniziativa privata. La discussione continuerà sino a venerdì, con spunti di notevole interesse. Ma sin d'ora è evidente quanto sia diffi- j cile confrontare le esperienze | di altri Paesi con quelle italiane. In Germania come in Inghilterra la tradizione conservazionista è radicata, la disponibilità di alloggi a costo moderato e con equo canone è garantita da un'edilizia pubblica che va dal 30 all'80 per cento della produzione, mentre in Italia il 90 per cento è dovuto a case troppo costose o a «seconde case». Mario Fazio

Persone citate: Bernardo Rossi Doria, Cervellati, Duncan Sandys, Jacques Houlet, Malraux, Mario Fazio