Costa troppo lo "Stato sociale,, di Sandro Viola

Costa troppo lo "Stato sociale,, DANIMARCA: SI È APPANNATO IL MODELLO SCANDINAVO Costa troppo lo "Stato sociale,, Il prelievo fiscale sfiora ormai il cinquanta per cento dei salari che raggiungono in media le 400 mila lire; ma anche i prezzi mozzano il fiato - Per questo il cittadino non è più così orgoglioso di "essere assistito dalla nascita alla morte" - Ora si reclama una maggior possibilità di consumi privati (Dal nostro inviato speciale) Copenaghen, ottobre. Ora le cattedrali del Welfare State (le piscine bellissime annesse a ogni scuola, le biblioteche modello, i colleges ultrarazionali, le « città per anziani », tutto quanto era assurto a simbolo della riuscita politico-sociale — ma anche ideologica — dei « riformismi nordici ») cominciano a essere contestate. In Danimarca, almeno, la gente rivela sintomi d'insofferenza, l'inizio d'un rigetto, reclamando a voce sempre più alta una maggiore possibilità di consumi privati, magari a scapito di quelli sociali. Ci dice Hilmar Baunsgaard, ex primo ministro radicale, che molti anziani sembrano da qualche tempo recalcitranti all'idea di trasferirsi nei quartieri a loro destinati (che pure sono perfetti per concezione e funzionamento), e avanzano spesso questo tipo di controproposta: « Dateci un po' più di pensione, e rimarremo in casa coi figli ». Succede anche — racconta sempre Baunsgaard — che gli studenti scelgano di stare in una camera d'affitto piuttosto che nei colleges universitari, adducendo « un bisogno di compagnia, di calore umano ». E, per tornare agli anziani, un giornale riferisce che una di queste mattine, mentre il borgomastro della città vicina visitava il « centro » di Veder Lykke (orgoglio dello « Stato sociale » alla danese: 7000 metri quadrati di costruzioni modernissime per pensionati), una vecchia donna gli si è avvicinata e, prima che potessero fermarla, gli ha sferrato uno schiaffo gridando: «Riduceteci le tasse, aumentate le pensioni ». La conclusione di Hilmar Baunsgaard è che « forse siamo andati un po' troppo oltre con la nostra filosofia dello "Stato di previdenza" ». Una diagnosi che ci verrà confermata da altri uomini politici di Copenaghen, e che può essere assunta come l'approccio giusto per capire l'attuale «momento» danese, il perché del volto instabile, frustrato, ansioso che la Danimarca sta mostrando da qualche tempo, dopo essere stata tanto a lungo ritenuta uno dei Paesi più « sani » dell'Occidente. Traballa cioè — sotto l'impatto della grande disfunzione economica del mondo ricco — il mito del riformismo scandinavo, «eticizzante e insieme pragmatico », che avrebbe dovuto condurre (a furia di riforme parziali e moderate, senza un rovesciamento totale delle strutture economiche) all'unico, vero socialismo possibile «in una società esistente ». Questo tipo di « Stato sociale » ha rivelato infatti, ai primi annunci dell'» era dei consumi limitati ». il suo lato debole: esso costa trop¬ po. Come euforizzato dai suoi successi, il « modello » danese s'era messo a gareggiare pericolosamente coi coliti economici. Inutile descrivere per l'ennesima volta le meraviglie che scaturivano dalla destinazione di circa metà del bilancio dello Stato in consumi sociali. Per anni il viaggiatore che veniva dal Sud dell'Europa ristava stupefatto a vedere, e a sentire, cos'era uno Stato che aveva deciso « d'assistere il cittadino dalla nascita alla morte ». Ma ancor oggi non si può fare a meno di trasalire quando si giunge all'aeroporto di Co¬ penaghen e si vedono le folle in partenza per i mari caldi, vecchi e giovani, operai e impiegati, tutti in condizione di permettersi le Baleari o la Riviera adriatica, dato che le vacanze all'estero sono ormai incluse nell'indice del costo della vita con cui si stabilisce la «contingenza ». Come funziona Il « modello », certo, sembrava funzionare. E' solo ora che sì comincia a capire quanto costava al cittadino l'essere assistito « dalI la nascita alla morte ». « Or- mai », ci dice Keld Aakgar, un giovane dirigente della Lo, la potentissima confederazione sindacale, « il prelievo fiscale sfiora in media I il cinquanta, per cento di ; stipendi e salari ». Pagare il cinquanta per cento di \ tasse significa lavorare un | giorno per se stessi e un i giorno per lo Stato. E quel ' che c'è di nuovo, in Dani| marca, è che la gente semj bra non apprezzare più come una volta ciò che lo Stato dà in cambio di quella metà d'un anno di lavoro. Le università popolari, gli impianti sportivi, le impeccabili strutture scolastiche, l'eccellente assistenza medica, l'insieme — un viluppo quasi barocco — degli « aiuti» a certe categorie (i vecchi, i vedovi, le ragazze-madri, i divorziati, le donne intenzionate ad abortire, i giovani che escono di casa eccetera), vanno perdendo negli umori dei danesi il significalo che avevano avuto sinora. La spinta è verso i consumi privati, e comincia ad avere qualcosa di febbrile. Ma a Copenaghen, i cui negozi sono addobbati (anch'essi, come tutti gli altri negozi dell'Occidente) con i fotogrammi ingigantiti del I «Grande Gatsby», e i vestiti, I le scarpe, i copricapi, i ! gioielli falsi riproducono | quelli del film, l'impressione è che non siano in molti | a potersi permettere una tenuta fitzgeraldiana. certamente assai meno di quanti francesi potrebbero farlo a Parigi, tedeschi a Monaco, olandesi a Utrecht. Visti sulla carta, è vero, i salari danesi appaiono molto alti: la inedia dei salari industriali si aggira attorno alle 400.000 lire mensili per quarantacinque ore di lavoro alla settimana. Ma il carico fiscale, come abbiamo detto, tocca ormai il cinquanta per cento di media (per salari e stipendi), il che vuol dire che poco meno della metà di quelle 400 mila lire se ne va in tasse dello Stato e locali. A questo punto bisogna dare una occhiata ai prezzi, e i prez- zi mozzano il fiato. Un danese che volesse fumare un pacchetto di sigarette straniere, sa di doverle pagare 1100 lire. Una birra, in questo Paese che ne produce e consuma tantissima (nel bar di fianco al nostro albergo il venerdì sera si stappano 5000 bottiglie di Tuborg e Carlsberg), costa circa 500 lire. La bistecca d'un locale modesto costa 4200 lire, in un buon ristorante tocca le 6500. Le scarpe « Grande Gatsby » costerebbero, a lina ragazza che decidesse di acquistarle, 1820.000 lire in un magazzino del tipo « Standa ». Scioperi selvaggi E' da questa duplice pressione fiscale, dall'intreccio soffocante di imposte dirette e tasse al consumo, che sono venute fuori le grandi dimostrazioni del maggio scorso, che furono a un pelo dal trasformarsi in moti. Il governo intendeva far approvare un piano di inasprimento delle lasse al consumo, così da frenare le importazioni e cercare di coritenere il deficit con l'estero. Ma ne vennero fuori una serie di scioperi selvaggi e manifestazioni di strada come non se n'erano mai visti in un Paese i cui cittadini hanno fama di vivere le vicende politiche in modo diverso dai « latini ». Sull'orlo delle dimissioni, il governo Hartling (un « micro-mìnority government », come dicono i giornali inglesi: 22 seggi su 179) dovette rinviare il progetto in commissione. E solo più tardi, largamente emendato, riusci a farlo passare, ma con la promessa di alleviare in seguito le imposte dirette. La promessa è stata mantenuta a settembre, alle imposte dirette è stato fatto un taglio di 700 miliardi di lire: ma questo mancato introito fiscale dovrà essere recuperato con forti economie di bilancio, in gran parte operate sulla spesa sociale. Qualche piscina in meno, dunque, qualche anziano peggio alloggiato, ma soprattutto l'ammissione che lo « Stato sociale » — la sua concezione e dinamica — va ripensato da cima a fondo. « C'è gente », ci raccontano al Parlamento di Copenaghen, « assorta in modo nevrotico in calcoli complicatissimi, famiglie che passano la serata intorno a un tavolo su cui hanno messo qualche foglio di carta, una penna e la calcolatrice a transistor. Si tratta di studiare le combinazioni otti- : mali per pagare meno tasj se. Dove fermarsi con lo stii pendio (per evitare che scat: tino le nuove aliquote), i quando far smettere di lai vorare la moglie (per non ! perdere il diritto ai mutui ] per la casa, che vengono : concessi a chi non raggiunge un certo reddito totale), se non convenga fare un altro figlio (ciò che comporta uno sgravio fiscale), quanti debiti conviene contrarre, visto che gli interessi e le rate di pagamento possono essere defalcati, dalla dichiarazione dei redditi. Insomma, un'esistenza dominata da questo tipo di preoccupazioni e immersa, come dimostrano varie indagini, nei debiti ». Cosi, si sgretolano a poco a poco tante leggende: per esempio quella che pretendeva che da queste parti la gente pagasse le tasse con uno spirito di disciplina, una coscienza dei bisogni collettivi, quali era raro trovare altrove. Virtù comunitarie? Il personaggio politico più popolare della Danimarca è da oltre un anno Mogens Glistrup, evasore fiscale principe, oggi sotto processo per frode all'erario, e leader del secondo partito del Parlamento di Copenaghen, il « partito del progresso » che promette ai suoi elettori di abolire le imposte dirette. E dobbiamo a Camille Olsen, corrispondente di Le Monde in Danimarca, la informazione che un paio di centinaia di migliaia di capifamiglia hanno in questo momento una contesa con gli uffici delle imposte, per tasse non pagate. Il clima (il clima come risultato degli umori collettivi) si sta facendo pesante. Ci dice Ivar Norgaard, uno dei leader socialdemocratici, vicepresidente del Parlamento europeo: « Da noi la crisi economica ha effetti forse più deprimenti che in altri Paesi. I danesi sono da tempo abituati a un tenore di vita molto alto, e ora sentono che non solo è impossibile migliorare i vecchi standard ma c'è addirittura il rischio di non riuscire a conservarli. E' questo che crea il nervosismo, le tentazioni qualunquiste ». « Mai come ora », dice Jens Maigaard, deputato socialproletario, « la gente ha guardato con diffidenza alla classe politica. Se un po' di fiducia restava, l'aver seguito alla televisione i dibattiti parlamentari ha fatto cadere l'ultimo rispetto che ancora gli elettori prova vano per i loro eletti ». Sandro Viola Copenaghen. Sulla piazza del palazzo reale: i passanti si fermano ad osservare le guardie a cavallo (Foto Team)

Persone citate: Camille Olsen, Hartling, Hilmar Baunsgaard, Ivar Norgaard, Jens Maigaard, Keld Aakgar