La "resistibile ascesa,, di Sindona di Giulio Mazzocchi

La "resistibile ascesa,, di Sindona La storia più volte esemplare di un finanziere fallito La "resistibile ascesa,, di Sindona Tra le tante lezioni possiamo trarre anche questa: che non tutta la nostra classe politica è cieca o corrotta Roma, 19 ottobre. Michele Sindona nasce nel 1920 in un posto alle cui spalle c'è il più bel teatro greco che si conservi e che ha davanti le sette isole Eolie. C'è una luce cosi accesa da tingere di blu persino la grande pineta che divide la natia Patti da Messina. Anche se ormai dalla metà della sua vita (1947: 27 anni) ha lasciato queste luci per andarsene a Milano, sarà duro se dovrà finire a vedere il cielo solo a piccoli riquadri. L'Fbi da maggio indaga sulla sua attività finanziaria in America e l'Interpol da un mese lo ricerca per conto dei tribunali italiani. Sindona negli ultimi anni ha spostato enormi capitali altrui (centinaia di miliardi) dagli Usa e dall'Italia verso Nassau, Lussemburgo e Svizzera. E da qui per ora non si sa dove il denaro sia finito. E' un grande sconquasso. Negli Usa il giorno 8 di questo mese è stata dichiarata fallita la «sua» banca, la Franklin National Bank; il giorno 17 è stato chiesto il fallimento della Franklin New York Corporation (proprietaria della banca, società finanziaria controllata da Sindona); la Federai Reserve (la Banca centrale degli Usa) all'inizio di questa settimana ha dovuto imporre una nuova norma al sistema bancario americano: dichiarare settimanalmente le attività sulle principali nove monete internazionali, lira compresa, per evitare altri «casi Sindona»; la Sec (Comitato per la sicurezza sull'andamento delle Borse azionarie) ha denunciato ieri alla Corte federale la Franklin New York. Le banche E in Italia? C'è un esposto degli ispettori della Banca d'Italia al tribunale di Milano del marzo '72 nei confronti della Banca Unione di Sindona; c'è un loro secondo esposto del marzo 1973; infine una denuncia del settembre di quest'anno. Ora a Roma s'è anche aperto un altro procedimento: si indaga sui pretesi finanziamenti di Sindona alla de per miliardi. Ma il nome di Sindona è stato anche legato a quello di Luciano Liggio (e.questo ai tanti rapimenti mafiosi con riscatto eseguiti nel Nord Italia: soldi passati in Svizzera per finire al Libano a pagar droga). Infine la «perla nera»: Sindona sarebbe pure in contatto con una serie di golpisti italiani («Rosa dei venti» e simili)... Fu subito contro lo Stato che Sindona cominciò a lavorare, ma in un modo, peraltro, che in Italia è stato lecito sino a quest'anno: « curare » i bilanci societari nei riguardi del fisco. Poi s'era ingrandito: operando per il Vaticano e facendo da intermediario tra capitale Usa e aziende italiane in difficoltà alla ricerca d'un acquirente. S'era messo in proprio: da sei anni a questa parte comprava aziende varie negli Usa e pacchetti d'azioni in Italia. Per rivendere le une e gli altri ai migliori offerenti, dopo aver sistemato gli aspetti finanziari delle questioni. Ma infine erano state le banche a portarlo sulla grande scena. Una banca a Messina, una banca a Milano e una infine a New York diventano sue, insieme con qualche altra al Nord e anche in Svizzera. Alcune cose le aveva capite: che il dollaro dopo l'agosto '71 era troppo sottovalutato e conveniva comprarne; che molte materie prime sarabbero andate al rialzo e conveniva prenotarle. Altre cose non gli vennero chiare per tempo: che la vicenda del dollaro avrebbe spinto Nixon verso la recessione, sicché non sarebbe stato più facile rivendere le società in difficoltà acquistate da Sindona; e che avrebbe anche spinto in alto i tassi d'interesse bancari, sicché trovare denaro diventava molto costoso e costosissimo diventava sostenere, occultandoli, i deficit delle società comprate per rivenderle. Molti sono, nella storia, i finanzieri falliti: alcuni restano ugualmente grandi, perché vive sono le aziende che avevano edificato. Grandi sono solo i finanzieri che trovano denari per aprire nuove strade all'industria. Gli altri sono solo dei « Giuffrè ». Sindona tentò la sua maggiore operazione con l'Opa per conto di capitale estero sulla Bastogi, 2 anni fa. Opa: operazione acquisto fatta con annunci pubblici. Il governatore della Banca d'Italia Carli la contrastò, perché se l'estero avesse acquistato la società finanziaria Bastogi, avrebbe anche acquistato il controllo della Montedison, che nonostante tutto è uno dei pilastri dell'economia industriale italiana. Lui e Nixon Comincia da allora, per Sindona, l'operazione inversa: portare capitali italiani a investirsi all'estero. A investirsi, però, solo finanziariamente. Sue sono grandissime manovre per l'acquisto di dollari tramite franchi svizzeri. Poi il colpo per 150 miliardi di utili (si dice) fatto comprando e rivendendo rame lo scorso inverno. E infine, questa primavera, l'acquisto di quasi la metà dell'argento di produzione mondiale, per conto di migliaia e migliaia di clienti italiani. Ecco: Sindona, come già Giuffrè, trova un'infinità di persone che affidano soldi alle sue speculazioni e alle sue banche nonostante gli manchino le autorizzazioni legali. Offre e paga altissimi interessi. Ma il mondo non gira sempre in un senso: l'inflazione, alimentata anche dalla massa di speculatori mondiali, infine viene affrontata dai governi. Molte forme di controllo sono imposte. In Italia, per ultimo, nell'estate di quest'anno le misure della Banca d'Italia, del Tesoro e del Fisco fermano l'emorragia di capitali, ne provocano anzi un rientro. Non che Sindona non avesse visto da qualche tempo con chiarezza davanti a sé. Aveva cercato di premunirsi. In America puntando alla fusione di due suoi gruppi finanziari: la Franklin e la Talcott National. Aveva offerto a Nixon un milione di dollari: la più alta sottoscrizione elettorale. L'unica, però, che Nixon abbia mai rifiutato. Ed è poi appunto bastato un ritardo delle autorità americane, per un attento esame che non si sareb¬ be forse fatto per un « amico » di Nixon, perché la fusione non risultasse più possibile. Anche in Italia Sindona si muove col denaro. Si dice che le sue speculazioni di Borsa dell'inverno '72-'73 venissero rese note per tempo in « vari lochi », che ne profittarono come lui. Sindona cominciò a essere visto al ministero del Tesoro. Lì dove poco dopo avrebbe presentato la domanda per portare da quasi zero a 160 miliardi il capitale azionario della sua « Finambro ». Non doveva aspettarsi un facile accoglimento, tant'è (ha raccontato la scorsa settimana un suo collaboratore, però subito smentito dalla de) che poco prima di presentare questa domanda una sua società estera avrebbe iniziato a versare milioni alla de, qualche miliardo in appena un anno. A scanso d'errori, Sindona avrebbe cominciato anche a versare denaro ai golpisti. Ma l'aumento di capitale della Finambro (che gli avrebbe reso forse anche 300 miliardi, perché subito aveva iniziato a far salire in Borsa il valore delle future azioni Finambro) non viene concesso dal nuovo ministro del Tesoro, La Malfa. Non l'avrebbe concesso neppure il predecessore: anche Malagodi riteneva che il denaro nuovo dovesse affluire all'industria, non alla finanza. Ma Sindona si muoveva anche su un altro terreno. Chiede e ottiene la nomina, fatta dalTiri su richiesta di Andreotti (cosi è stato scritto e subito smentito: ora la Procura di Roma indaga ufficialmente), di un terzo amministratore al Banco di Roma. Il nuovo venuto nel Banco di Roma apre in maggio un credito a Sindona, che poi impegnerà il Banco sempre più cospicuamente nei riguardi di costui. Finché, ora, c'è un consorzio di banche pubbliche per pagare i debiti di Sindona verso l'estero. Non è un caso isolato: altrettanto s'è dovuto fare in America. Ci sono molte vecchie lezioni, in questa colossale vicenda. Ma anche che non tutta la classe politica è cieca o corrotta. Quando a marzo di quest'anno il de Colombo, ripreso al Tesoro il posto che per un anno era stato dei laici Malagodi e La Malfa, fece in questa veste la sua prima ricomparsa alla Camera dei deputati, una folla di notabili de gli si fece attorno mentre riceveva il saluto di questo cronista. Colombo sapeva che cosa aspettarsi. Non li fece parlare. Disse solo: « Il ministro del Tesoro prescelto dalla de non deve fare e non farà nulla più o nulla meno del suo predecessore, di cui ha condiviso metodi e obiettivi...». Sindona doveva essersi aspettato che forse non fosse neppure sufficiente legarsi alla de, per continuare il suo pompaggio di denari; perciò avrebbe avuto contatti anche coi golpisti. Ma Sindona, bloccato in Usa dalle autorità, qui lo è stato anzitutto da alcuni giornalisti. Giulio Mazzocchi