La "carriera,, di un giovane ultra estraneo alle battaglie degli operai di Francesco Santini

La "carriera,, di un giovane ultra estraneo alle battaglie degli operai Roberto Ognibene il brigatista omicida di Reggio Emilia La "carriera,, di un giovane ultra estraneo alle battaglie degli operai Dal furto di registri a scuola, alla fuga da casa, all'adesione alle imprese delle Brigate rosse Non aveva conosciuto le difficoltà del dopoguerra, il dramma dei licenziamenti nella città (Dal nostro inviato speciale) Reggio Emilia, 18 ottobre. Istituto tecnico per geometri « Angelo Secchi », al centro di Reggio Emilia: è qui che da ventisette anni Fiorindo Mazzi apre i cancelli della scuola e chiama per nome i « suoi » ragazzi. Di Roberto Ognibene, brigatista rosso e assassino a Milano, ricorda l'intelligenza precoce, il gusto per lo studio, il fascino esercitato sui coetanei, studenti della 3" B. «Non sono io, povero custode, a dirlo — afferma convinto —; stamattina anche il suo professore d'italiano ne parlava bene ». Usciamo dall'istituto e gli studenti, a gruppi, sotto un sole pallido di mezzo autunno, parlano di Roberto, ricordano l'episodio scolastico che a Reggio Emilia gli dette un momento di notorietà. Era il novembre 1971 e la cronaca giudiziaria della città si occupò di lui, denunciato assieme ad altri 53 del « Secchi » per il furto di alcuni registri. E' il periodo in cui Roberto, appena diciassettenne, approda ai gruppuscoli, si distacca dalla linea politica del padre, assessore socialista alla Provincia, e confusamente si definisce « marxista-leninista ». Contesta i partiti ufficiali, organizza manifestazioni di piazza. Ed è per un corteo non autorizzato che una nuova deenuncia lo raggiunse. Il processo dei registri scomparsi si risolve con il perdono giudiziale per lui e per gli altri. Ma Roberto Ognibene ha già lasciato la scuola, e a Reggio dice in famiglia: «Mi sento costretto». Va a Milano un anno dopo. Non chiede quattrini ai genitori, telefona raramente e nella palazzina di via Leoncavallo, alla periferia Ovest della città, ci torna solo un anno più tardi, la notte di Natale del '73. I genitori sono a tavola, lui si trattiene mezz'ora. « E' a Milano che dev'essere successo qualcosa », dice il capitano Gallese. « E' lì che deve aver preso contatto con i gruppi di Reggio Emilia, con Franceschini, con Pelli, Troiano e tutti gli altri ». Questa di Reg¬ gio è la zona dei primi « espropri » dei brigatisti e l'ufficiale ricorda le rapine alla Cassa di Risparmio di Scandiano e a quella di Bibbiano. E' il luglio del '72 e i rapinatori denunciano la propria ideologia: «Vogliamo i soldi dei padroni », dicono imbracciando il mitra. Per l'ufficiate che ha guidato l'inchiesta non c'è alcun dubbio: Curcio, Franceschini e Pelli erano tra i banditi. Anche per Felice Maritano, che il mese scorso era venuto nella città emiliana per indagare su Franceschini e Curcio, la tesi era valida. « Glielo avevo detto — ricorda Gallese —, questa che abbiamo noi è gente che spara ». E così è stato, all'alba di martedì. I colpi di rivoltella esplosi da Roberto Ognibene, la gesta di Franceschini, gli « espropri » de¬ gli anni passati, hanno gettato su Reggio un'ombra densa di stupore. La città aveva tirato un sospiro di sollievo quando ieri l'altro la televisione aveva smentito che a uccidere il maresciallo di Milano fosse stato Fabrizio Pelli; poi, ieri sera, la doccia fredda: « L'assassino è proprio di Reggio, lo ha denunciato suo padre ». La violenza, in città, era sempre rimasta allo stadio normale, la cronaca nera è scarsa, i colleghi della Gazzetta ricordano la saponìficatrice di Correggio, ma, aggiungono, «non era di qui, saliva dal Sud ». Ricordano il periodo repubblichino, gli episodi sanguinosissimi del fascismo, ma, accanto, le antiche radici cooperative che, però, lasciavano anche spazio all'individualismo più rigoroso. Fanno il nome di Dossetti, che era di queste i parti, e quello del reggiano Valdo Magnani per la sua prima «eresia comunista» contro Togliatti, nel '51. «Le vere contraddizioni — afferma un collega — erano nell'economia, nella crescita industriale tumultuosa avvenuta sullo sfaldamento delle Officine Reggiane, che apriva la porta alla disoccupazione e all'incertezza». Ma tutto questo è valido per l'altra generazione. Franceschini e Roberto Ognibene non hanno conosciuto le difficolta del dopoguerra, il dramma degli operai che nel '50 furono costretti a tornare all'agricoltura. Reggio è sempre stata una città impegnata e per i giovani della stessa generazione dei brigatisti, che vogliono fare politica, è difficile sottrarsi ai gruppi organizzati dei partiti della sinistra. Francesco Santini