Da Kennedy a Watergate di Furio Colombo
Da Kennedy a Watergate Da Kennedy a Watergate Furio Colombo: « Da Kennedy a Watergate », Ed. Sei, pag. 324, lire 4500. « Da europei, da italiani parliamo continuamente dell'America. Dobbiamo parlarne, perché la sua immagine invade il nostro orizzonte, i suoi eventi sconvolgono la nostra vita, le sue decisioni contano profondamente nel destino del mondo. Nasce così quella specie di incomprensione dolorosa e senza fine che porta, in una spirale continua, ad amare di più o a odiare di più questo paese-incubo, questo paese-sogno, l'America potere e l'America utopia... ». Per Quindici anni. « da Kennedy a Watergate ». Furio Colombo, giornalista, studioso delle comunicazioni di massa, ha esplorato su quotidiani e riviste, in tv e in altri libri il « fenomeno America », e questo è il suo « giornale di bordo », ma anche un bilancio, un'ipotesi riassuntiva sul « sistema americano ». Il giornale di bordo, a diario giornalistico, è sempre vivo e attraente, anche con pezzi di bravura, come quello di uno scontro tra polizia e teenagers, macchine bianche di sceriffi e chitarre elettriche, nel « tramonto esageratamente colorato di Los Angeles ». O come quello, di quattro anni prima, della sconfitta di Nixon in California, vista in televisione (« Inquadratura fissa, ben ferma, rughe, pori, sudore e disperazione in primissimo piano »: e certe volte Nixon rideva sforzatamente, « e allora, senza pietà, le camere carrellavano avanti, gli prendevano il viso dalla fronte al mento », finché Nixon disse: « La festa è finita, signori»). O come iti alcuni dei molti brani sui fratelli Kennedy, la cui drammatica presenza sulla scena americana è il leit-motiv, di tipo elegiaco, di questo libro « kennediano ». Ma poi il bilancio, l'ipotesi riassuntiva sulla società americana va oltre il rimpianto, che appare personale oltre che politico, della celebre e sfortunata «dinastia» («un nuovo tipo di uomini », in rappresentanza di « un'America più giovane, mentalmente più agile, moralmente più responsabile », e in più un'«aria di festa, di allegra mondanità un po' fitzgeraldiana, da ex allievi di Harvard»). // bilancio comprende tutto quanto di drammatico e di significatite è accaduto in America, « dentro » l'America, dopo Kennedy, e magari anche a causa, almeno iti paria, del destino dei Kennedy: Johnson e i laceranti dissensi sul Vietnam, la contestazione giovanile. Nixon alla Casa Bianca e il « Watergate ». E la conclusione è che nel sistema americano « non manca dolore, sangue e tensione, ma c'è anche un continuo rinascere della vitalità creativa, una voglia, che non accenna a finire, di non fermarsi, di non rassegnarsi, di costruire un mondo diverso ». Ciò fa sì che l'America viva in un certo senso « l'avventura di una rivoluzione culturale permanente »: e certo essa « non è il paradiso », ma « è uno dei pochi modelli del mondo ». Il modello, in termini sociologici, è indicato come quello di una « società di fatto »: il che non significa « che la vita avviene al di fuori della legge », ma che « la legge è un filo che segna poche frontiere », e « la vita è più forte, sia in senso costruttivo che distruttivo ». E ancora, « l'esperienza, la situazione, il paesaggio sociale, le cose e il coraggio o la forza o la brutalità di cambiare le cose, sono il vero legame, più della legge ». Se gli europei, dice Colombo, hanno sempre più separato « le situazioni, umane dalla loro definizione, i popoli dalle astrazioni giuridiche, i princìpi dalla loro umanità, trasformando tutto in " valore " e " disvalore ", e costruendo immensi edifici di rappresentanza sopra la viI ta e la morte delle persone », nella società di fatto americana « c'è spazio sia per la tragedia che per la felicità d'inventare, e meno spazio, molto meno, per la definizione della vita, del valore, dell'istituzione e di tutto ciò che è astratto ». E questa è « la grande differenza americana », che si rispecchia nella cultura e nell'arte: che non sono un momento di riflessione « a posteriori » sulla vita. « ma una serie di eventi del tutto omogenei » con la vita stessa. Dal « Living Theatre » al cinema underground alla ti Pop Art ». « fiction e storia, creatività e cronaca sembrano fatti di materiali affini, agire allo stesso livello e spingersi avanti a vicenda ». E su tutto incombe l'universo televisivo, a flusso continuo, nel quale « l'archivio del passato » si fonde con la cronaca, e tutto j è cinema e tutto è telegior; naie, e « la serie poliziesca | insegue gli eventi dei ghetti, | delle università, della violenza nelle strade, e lo "Shanghai Express " si scontra sullo stesso binario con le ultime immagini del Vietnam ». Un mito americano? Anche. Ma non se ne vedono di più suggestivi, e di più aperti alla verifica, nel mondo intorno a noi. Aldo Rizzo
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