Nikita Kruscev fine di un regno di Aldo Rizzo

Nikita Kruscev fine di un regno ACCADDE DIECI ANNI FA Nikita Kruscev fine di un regno La caduta di Kruscev, dicci unni fa, il mondo l'apprese il 16 ottobre, dai giornali del mattino. A mezzanotte del 15, ora di Mosca, la « Tass » diffuse un comunicato, poi un altro: Kruscev si era dimesso, a causa dell'età avanzata e della salute, da primo segretario del Pcus; Kruscev si era dimesso, a causa dell'età avanzata e della salute, da presidente del Consiglio dei ministri dell'Urss. I sovietici li lessero sulla Pravda. Eppure il cambio di potere tra Kruscev e Breznev era stato già deciso il giorno 13, dentro il Presidium, ed era stato ratificato il 14 dal Comitato centrale; il 15, era stata decisa la nomina di Kossighin a capo del governo. Il 15 pomeriggio, le Izvestila (cioè le « Notizie ») avevano tutti gli elementi per dare l'annuncio; ma non uscirono. Fu, a suo modo, una crisi di governo, l'ultima che si sia vista nell'Urss. La sua procedura fu considerata, nonostante le apparenze, fra le più avanzate della storia sovietica, poiché lo sconfitto sopravvisse fisicamente e certe regole formali, come le riunioni del Presidium e del Comitato centrale del partito e poi del Presidium del Soviet supremo, furono osservate. Ma poco piìi di duecento persone seppero della crisi mentre era in corse e solo 25 vi ebbero un mole attivo, su 220 milioni di cittadini. Così, mentre i successori di Kruscev sono ancora in sella, prova di un « sistema » a cui non fa difetto la stabilità, torna utile ricordare in dettaglio come muore, se muore, un governo nell'Urss. Il 30 settembre, Kruscev partì per una vacanza sul Mar Nero. Non era né malato né stanco: due giorni dopo, decisa di fare un giro fra le aziende agricole della Crimea. Che non gli pesassero i suoi settantanni, lo si era visto e anche detto ufficialmente il giorno del suo compleanno, il 17 aprile. Mikojan aveva letto il messaggio collettivo dei dirigenti: «Noi festeggiamo oggi il giubileo di un uomo di media età, che si trova, come vedete, nel fiore delle site forze... ». Il resoconto dei festeggiamenti, a Mosca e a Kalinovka, il villaggio natale nell'Ucraina, aveva preso sette delle otto pagine della Pravda, il 18 aprile. Il 3 ottobre, Kruscev era a Soci, sulla costa orientale del Mar Nero: lì ricevette una delegazione di parlamentari giapponesi; poi, verso la fine del colloquio, lo raggiunse Mikojan. II 5 ottobre, Breznev, numero due del partito, si recò a Berlino Est, per il quindicesimo anniversario dello Stato comunista tedesco. Ne ritornò l'I 1. accolto all'aeroporto da Suslov. Mikojan, Breznev, Suslov erano tutti, in un certo senso, uomini di Kruscev, suoi collaboratori, e Breznev era addirittura una sua creatura politica. Tutto appariva normale, e Mikojan teneva compagnia al primo segretario, in una vacanza sul Mar Nero. Il 12 ottobre, alle dieci e trenta, dalla base spaziale di Bajkonur partirono tre cosmonauti, Komarov, Feoktistov e Egorov. Alle 14, davanti alle telecamere, Kruscev parlò loro al telefono; poi si vide Mikojan sforzarsi di prendere in mano il microfono e Kruscev cederglielo con riluttanza e sorpresa, ma sembrò una «gag» tra due potenti non formalisti. Invece a quell'ora, poco prima o poco dopo, si stava riunendo a Mosca il Presidium, il massimo organo del partito comunista, all'insaputa di Kruscev, ma non di Mikojan, e il tema della riunione era il processo a Kruscev. Il 13 ottobre, alle nove del mattino, il primo segretario ricevette il ministro francese Palewski, in visita nell'Urss. L'udienza, che era stata anticipata a quell'ora insolita, durò trenta minuti. Kruscev era distratto, si alzò spesso per telefonare; se ne scusò dicendo che doveva « spostarsi » e Palewski pensò all'imminente rientro dei cosmonauti. Poi Kruscev disse quella frase famosa, parlando di De Gaulle: « Sì, soltanto la morte può strappare un nomo di Stato alle sue funzioni ». Pensava, evidentemente, anche a se stesso, soprattutto a se stesso, mentre si accingeva a « spostarsi » a Mosca, dopo che Mikojan aveva assolto il compito d'informarlo del « processo » che egli ed altri gli avevano intentato. Ma a Mosca, nel Presidium, i giochi erano fatti. Il giorno dopo, la ratifica solenne, e scontata, del Comitato centrale. Kruscev, secondo un resoconto ufficiale dei suoi successori, ammise i suoi errori e chiese di essere eso- ccCavde Nikita Kruscev nerato dai suoi incarichi, a causa dell'età, eccetera. Invece un membro supplente del Comitato centrale riferì tutt'altre cose a un dirigente comunista polacco, che le riferì a Michel Tatù (al quale si deve la più meticolosa e attendibile ricostruzione di questi eventi, nel suo « Le pouvoii en Urss»). Quando il membro supplente entrò in aula, Suslov stava parlando e diceva: « Quest'uomo ha perduto la modestia, ha perduto la coscienza! ». Kruscev « non era seduto al suo solito posto di presidente, ma in margine al Presidium », era « tutto rosso in volto e aveva i pugni stretti ». Perché era caduto? Il partito dell'acciaio, il partito « cinese », i militari, il Kgb... La tesi di una rivincila dei « duri », dei « cani da guardia » del sistema, fu subito invocata da alcuni osservatori, e certo essa era formalmente plausibile. Nel « Plenum » del Comitato centrale del dicembre '63, c'era stato uno scontro tra « comunisti » e « mangiatori d'acciaio », e Kruscev aveva detto che era il momento di rallentare « i ritmi di crescita di certi rami industriali » a favore della chimica e dei concimi, e aveva anche ridotto di 600 milioni di rubli il bilancio militare. Nel « Plenum » del febbraio '64, aveva difeso la « linea di dicembre » e aveva polemizzato apertamente con « i funzionari dirigenti che hanno la responsabilità della produzione dell'acciaio », tacciandoli di esosità. E ancora alla fine di settembre, pochi giorni prima della partenza per la fatale vacanza, aveva attaccato, pur se con maggior moderazione, la « fortezza industria pesante ». E c'erano stati scontri significativi con la « lobby » militare, nel '60 e nel '62. Ed era fin troppo noto il suo approccio con Io stalinismo e col maoismo. Ma i suoi successori, a parte l'ambiguità permanente di Suslov, non erano partigiani della « fortezza acciaio », né della « lobby » militare, né di Stalin, né di Mao: come ora sappiamo definitivamente. I rimproveri che essi gli muovevano erano diversi: soggettivismo, improvvisazione, nepotismo, stravaganze personali. Essi non contestavano la « linea generale » di Kruscev, ma il suo modo di attuarla: perciò la loro politica fu detta « kruscevismo senza Kruscev ». Solo che il discorso poi era anche un altro. Secondo la maggioranza degli studici dell'Urss, e dell'Urss krusceviana, anche di parte marxista, il discorso era questo. Col XX Congresso, Kruscev aveva denunciato, con un grande coraggio personale e politico, il sistema di potere staliniano; ma non ne aveva tratto le conseguenze ultime, non aveva saputo o potuto intaccare le strutture reali di quel sistema. Non solo, ma aveva dato l'impressione, a un certo punto, di volersi egli stesso concedere la tentazione del potere personale e totale seppure, è chiaro, in chiave pa ternalistica e anche bonaria. Un'ipotesi dei cremlinologi, un'ipotesi fondata, è che Kru scev meditasse, con un « Plenum » da tenersi in novembre, un radicale e definitivo spostamento dei rapporti di forza al vertice; in tal caso, i congiurati lo avevano solo preceduto. Un « coup de parti » (e automaticamente « d'État ») contro un altro. Quando Kruscev morì fisicamente, sette anni dopo la morte politica, ancora 220 milioni di sovietici aspettarono due giorni per averne notizia, da un comunicato di sei righe sulla Pravda. E ci sono voluti dieci anni da allora, perché ai familiari fosse permesso di erigergli un busto sulla tomba. Ma dieci anni non sono bastati perché la Pravda, celebrando la sua caduta e l'avvento dei suoi successori, trovasse il coraggio di citarlo per nome. Tutto fa credere che non accadrà nulla di diverso ai suoi stessi successori, alla « crisi di governo » prossima nell'Urss. Aldo Rizzo