Il maresciallo ucciso dalle Brigate rosse

Il maresciallo ucciso dalle Brigate rosse Il maresciallo ucciso dalle Brigate rosse (Segue dalla 1a pagina) avanti e spara. Siamo ormai sotto l'androne, probabilmente spara anche qualcun altro, forse un brigadiere: raggiunto da quattro colpi in parti non vitali (alla clinica di S. Donato sarà giudicato guaribile in quindici giorni), il giovane tenta di prendere il largo, ma viene infine immobilizzato. Anche lui ha cinque documenti falsi in tasca. Identificarlo è un rebus. Raccolto e portato in macchina verso il Policlinico di Milano, Felice Maritano muore durante il trasporto. Al Policlinico generali e autorità andranno a rendergli l'ultimo omaggio. C'era stato un grido, prima degli spari: «Bruno. Bruno» udito dai casigliani: chi l'abbia emesso, se il maresciallo o il brigatista non si sa. Così, ricostruito componendo il mosaico delle dichiarazioni dei commilitoni- e della gente del posto, è morto Felice Maritano; così si è concluso un altro atto delle lunghe, diffìcili, complesse indagini sulle Brigate rosse. Interroghiamo alcuni vicini di casa. Non amano parlare. Soltanto Francesco Calabrese, di 35 anni abitante al primo piano e Pietro Fabbri di 19, abitante al secondo, consentono che si facciano i loro nomi. Dicono che erano persone per bene, ben vestiti, ed educati, di poche ma precise parole, senza inflessioni dialettali. «Parevano studenti, o professori». In un piccolo supermercato lì davanti ne ricordano due che andavano qualche volta a fare la spesa: comperavano poche cose, guardavano alle cento lire. Uomini di piccolo cabotaggio, insomma, che non destano sospetti. Si facevano vedere poco di giorno, per solito rincasavano a tarda sera, o a notte. L'unica cosa strana, non camminavano mai insieme, sempre a dieci passi di distanza l'uno dall'altro, come chi tema un agguato. Il centro delle operazioni, in mattinata, è stato la caserma dei carabinieri di Pantigliate, un piccolo edificio color mattone in una piazza sghemba. Molti automezzi di Torino, Giulie dei carabinieri, ii camioncino della Televisione. E i ragazzini usciti da scuola, a far gruppo curiosi, dicendosi l'un l'altro: «Hanno arrestato i fascisti», «ma no, sono comunisti». A un certo momento, hanno portato la macchina dello sparatore, una Ford Escort gialla, targata MI M7... nel bagagliaio armi, e due parrucche da donna. Andirivieni di ufficiali e di brigadieri. Il generale Della Chiesa, il tenente colonnello Franciosa, capo del nucleo speciale, e magistrati: il procuratore generale di Torino Carlo Reviglio della Veneria (che si è recato a parlare con il collega milanese Paulesu), il sostituto procuratore Caccia e il giudice istruttore Caselli, pure di Torino, il procuratore di Loli Novello, il sostituto procuratore milanese Vittorio Piromallo. Girano voci e notizie, sovrapponendosi in confusione: non si sa il nome dei brigatisti. Poi circola per il feritore, il nome del Pelli. Il secondo dei brigatisti arrestati è nella caserma, insieme con una donna, pure arrestata. E' la moglie di uno dei tre. Arrivano carabinieri con libri-mastri presi nell'appartamento. «C'è anche una carta di Sossi» dice qualcuno. E qualcun altro afferma con sicurezza: «£' certo. Il giudice Sossi l'hanno tenuto là dentro », affermazione che appare per lo meno arrischiata, essendo l'appartamento nient'affatto isolato, a portata d'orecchio e di sguardo di un mucchio di gente. Infine, portano fuori il secondo arrestato. Lo caricano su una Giulia dei carabinieri. Come si vede circondato dai fotografi il giovane ha un moto di disappunto (è stato calmissimo per tutta la mattina, ci dicono) e si porta le mani ammanettate davanti al viso. Non abbastanza per sottrarre i baffetti bruni agli obiettivi. Poi la macchina fila via velocissima. Sono le 12 e 48. Le indagini tornano da dove sono partite, Torino, sede competente. A tarda sera a Milano si è appreso che probabilmente nemmeno il nome di Pecchioli attribuito al brigatista sparatore è quello giusto. In real¬ tà, l'abbondanza dei documenti falsi e il rifiuto degli arrestati di dire il loro nome costituiscono un vero e proprio rebus. Secondo gli inquirenti, l'appartamento di via Amendola a Robbiano di Mediglia doveva essere frequentato da: Piero Bassi, Piero Bertolozzi o Bertolazzi, Emanuela Zaini (moglie del Bertolozzi), Marco Pecchioli o Fabrizio Pelli. Franco Nasi

Luoghi citati: Mediglia, Milano, Pantigliate, Torino