Mao s'allontana di Andrea Barbato

Mao s'allontana Mao s'allontana (Segue dalla 1a pagina) raffinata regìa, la fine del cullo della proprio peisonalità. L'ha fatto in tappe successive, ispirando dapprima quel grande e confuso «attacco al quartier generale» che fu la rivoluzione culturale, poi imponendo che la propria immagine non fosse più ossessivamente presente nell'iconografia del regime, infine incitando allo studio delle opere complete dei classici del marxismo-leninismo, anziché delle citazioni maoiste inserite come slogans nel celebre «libretto rosso». Un Mao che si allontana, insomma, come una placida e sorridente divinità politica, un «padre storico» che vuole perfino comunicare al mondo l'immagine della propria umiltà e solitudine. «Sono un monaco solitario che va per il mondo sotto il suo ombrello bucalo», ha detto nel '71, sorprendentemente, allo stesso Edgar Snow. E' difficile dire se fra le periodiche, ricorrenti voci di un suo improvviso declino fisico, le ultime indiscrezioni meritino un credito maggiore. Puntualmente gli esperti valutano i segnali esterni, i piccoli sintomi che. nella Cina reticente ed elusiva, sostituiscono le notizie. Un titolo sepolto in un giornale, un segno sul volto di Mao nella sua ultima foto ufficiale, o magari stavolta la sua prevista assenza nelle celebrazioni del venticinquesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare. Mao è assente, e lontano da Pechino, sfugge al clima invernale che avanza nella pianura giallastra che circonda la capitale. E' vero? Pochi sanno cosa accade al di là delle mura vermiglie e dei glandi alberi che circondano la sua icsidenza, fra i primi bastioni della Città Proibita e il palazzo dell'Assemblea del Popolo. Ciò che si sa è che la Cina si prepara da tempo, e seguendo un itinerario non sempre chiaro e non sempre lineare, al più traumatico passaggio di poteri che la storia contemporanea possa prevedere: un evento che potrà rivelarsi decisivo non solo per il futuro della Cina o dell'Asia. Pur coperto dalla presenza della grande figura paterna, il vuoto di potere in Cina esiste già da tempo. La rivoluzione culturale, sebbene guidata dall'alto, aveva fatto capire di quali esplosivi rivolgimenti fosse capace la società cinese, quando si sbrigliavano le energie spontanee. A quella pi ima epurazione chirurgica di prestigiosi dirigen ti, era seguilo un nuovo assetto, che con il nono congresso aveva acclamato in Lin Piao il successore unico di Mao. Poi era venuto il complotto, la fine repentina e ancora in parie oscura del generale. Tra mille volti Da quel giorno, ogni analisi e ogni previsione sono diventale un azzardo, né si può abbi acciare la teoria semplificante di unu Iona in corso fra due gruppi uno moderalo e cosmopolita, un altro radicale e nazionalista. La Cina dui mille volli, dai mille personaggi che s'affacciano, scompaiono e ritornano, è una quotidiana smentita a se medesima. Si è detto più volle che l'eredità di Mao, figura unificante, dovrà essere raccolta da una direzione collegiale, da un direttorio, e che la Cina di domani avrà per necessità un governo di coalizione fra le diverse anime e le diverse generazioni che formano il gruppo dirigente rivolti zionario. A un quarto di secolo dalla sua nascita, la Cina Popolare attraversa una stagione complessa: nessuno dei grandi poteri dello Stato sembra prevalere sugli altri, la politica economica è coniraddittoria, le scelte internazionali sono sempre ridiscusse. L'esame di coscienza collettivo che è seguito alla fine di Lin Piao ha portato dapprima al sorgere di quella che è sembrata una seconda rivoluzione culturale, poi al grande dibattito su Confucio che è sembrato dover investire le strutture e le scelte dello Sialo, infine ad un fiorire di libertà d'espressione e di critica (attraverso i giornali murali, i tazebao) che è oggi in gran parte rientrata. Modello agricolo Grandi scelte inquietano i cinesi, come quella fra produttività industriale e modello agricolo. Nessun leader sembra proporsi come indiscusso continuatore della politica e del prestigio maoista; neppure Ciu En-lai, da sempre primo ministro, abilissimo costi-ultore della trionfante diplomazia cinese e del suo nuovo prestigio internazionale nel mondo tripolare. Ciu stesso e anziano e maialo, la sua figura è controversa, gli attacchi non l'hanno risparmiato. E' difficile che lo scettro di Mao sia raccolto per intero dalla generazione della Lunga Marcia, custode dello spirito delle caverne dello Ycnan: una generazione ormai caduta e, per molti aspetti, superata o almeno contestata. Né sembra possibile un completo giro di boa, e l'affermazione di quel «gruppo di Shangai», considerato la sinistra della rivoluzione, di cui fanno parie la moglie di Mao, Ciang Cing, l'astro emergente Wang Hung-wen (il giovane operaio tessile, eleito al decimo congresso al numero tre della gerarchia) e altri personaggi in ascesa. Fra i vecchi generali e amministratori, e i nuovi quadri politici, usciti dai sindacati o dalle legioni periferiche, il destino del potere e incerto. Né si tratta solo di uno scontro di generazioni, ma di una scelta della strada da percorrere per coslruirc la società comunista, un dilemma fra nccessilà politico-economiche ed esigenze ideologiche La collegialilà, in un Paese immenso ma con una lunga storia imperiale alle spalle, lischia di dimostrarsi un'esperienza difficile. Il principio d'autorità, che per un quarto di secolo ha riposato sulle spalle di Mao, è stato da tempo spezzato per volontà dello stesso Mao. Il decimo congresso, celebralo l'estate del '73 in gran segreto, ha enuncialo problemi più che fornire risposte. Dopo gli anni dei violenti terremoti interni, e dopo la grandiosa svolta internazionale, la Cina non potrà che assistere con timore alla transizione dei poteri, quando la grande ombra di Mao sarà scomparsa. E non solo la Cina. Andrea Barbato