É scappato un "ministro,, del governo di Borghese di Omero Marraccini

É scappato un "ministro,, del governo di Borghese In che modo si è arrivati agli arresti di fascisti e militari É scappato un "ministro,, del governo di Borghese Laureato in legge, presidente del Rotary grossetano, Dante Ciabatti è un uomo ricco - Dichiaratamente di destra, contesta il msi - Era in eccellenti rapporti con il comandante della X Mas - Le cene con gli "alala" e il mistero della morte del segretario provinciale del msi (Dal nostro inviato speciale) Grosseto, 12 ottobre. I quattro dell'Antiterrorismo, venuti da Roma, hanno bussato alla porta della palazzina numero 10 di viale Matteotti, a Grosseto, dove abita il dottor Dante Ciabatti, alle 3,52 di venerdì. Il ministro designato per il governo «forte» di Valerio Borghese aveva però tagliato la corda, nel pomeriggio del giorno precedente. Partenza improvvisa e frettolosa. «L'ho visto giovedì mattina — dice Emanuele Giannessi, direttore dell'Hotel Lorena, di cui Ciabatti è proprietario con alcuni amici —. Era tranquillo. Doveva firmare dei documenti ma ha detto che sarebbe ripassato più tardi». Giannessi, uno di «quelli che combatterono a Bir El Gobi», fascista dichiarato, dipendente ma soprattutto amico fidato di Ciabatti, commenta: «Dicono che era a cena con Borghese quella sera del 7 dicembre. Forse c'era davvero, vìa che c'è di strano?». La casa di Ciabatti è stata perquisita in presenza della moglie e dei due figli. E' stata trovata una pistola, regolarmente denunciata. Gli agenti, pare, hanno portato via alcune carte. Non si sa di più. Con alle spalle una solida famiglia maremmana, Dante Ciabatti è un uomo ricco e pieno di risorse: interessi nel Liechtenstein, amicizie in Spagna, un vasto giro di affari in Germania e in Austria. Possiede, tra le altre cose, una grossa ditta per l'importazione di legname, a Grosseto, ed è presidente - proprietario di una industria, la Ilet, nel Trentino. Le idee politiche di questo personaggio, che il giudice istruttore Filippo Fiore vuole in carcere con gli altri, per il mancato «golpe» di Borghese, non sono un mistero, a Grosseto come in altre parti. TJcmo di destra dalla testa ai piedi, contesta i missini (ma per un certo periodo è stato iscritto al partito d'Almirante) e nei discorsi si ricollega alla repubblica di Salò. Alto, stempiato, elegante, militaresco nel gestire e nella conversazione, Dante Ciabatti, laureato in legge, presidente del Rotary grossetano, conobbe, all'indomani dell'8 settembre '43, Renato Ricci comandante della «milizia» durante la repubblica sociale e ne divenne aiutante maggiore. Si è sempre contornato di amici «importanti» per le sue riunioni conviviali. C'erano autorità e militari. Ciabatti, infatti, ha molte relazioni fra i «gradi» del Quarto Stormo caccia di stanza a Grosseto, ma anche a Roma. In passato veniva spesso invitato alla base aerea per le cerimonie ufficiali dove era di casa il generale Duilio Fanali, ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare, ■ ora indiziato di reato per le stesse vicende. E' certo che Ciabatti conosceva Borghese, i loro rapporti erano ottimi. Da Grosseto sono passati altri personaggi legati all'inchiesta del giudice Fiore: Antonio Giachi, Enrico Bonvicini, il maggiore dei carabinieri Lorenzo Pintò (allora capitano). Ci sono state cene con gli «alala», in un noto ritrovo del centro, tutti i primi martedì del mese; circolano strani racconti, in prima persona, di gente che quella notte del «golpe» si recò a Roma ed «eseguì gli ordini» ma «dovette lasciarli a metà» perché venne il «contrordine». C'è, soprattutto, come fatto successivo ma che potrebbe avere sospetti legami con questi circoli, una morte accidentale, quella dell'avvocato Franco Gimignani, 40 anni, segretario provinciale del msi, membro del comitato centrale e della direzione dello stesso partito. Gimignani, già braccio destro di Michelini, non andava d'accordo con i «vecchi fascisti», quelli della «linea dura». Era uno che sapeva tante cose sulle quali non concordava. Negli ultimi tempi parlava troppo e si sentiva minacciato (portava in borsa una rivoltella). «Una sera ho trovato gente ad aspettarmi in garage», disse. La sua fine, 14 aprile 1972, rassomiglia a quella del romano Armando Calzolari, che conosceva segreti, amici e protettori di Borghese. Era domenica. Gimignani, rimasto in casa fino alle 19,30 per preparare un processo, esce con la figlia, Cristina, 8 anni, che è andato a prendere a ca¬ sa della moglie, Vera Rossi, dalla quale è separato. Si reca con la bambina in casa di amici, gioca a carte e a tombola. Alle 22 riporta la piccola alla mamma; passa dal bar, vede i soliti conoscenti. E' tranquillo. Rincasa («devo studiare un processo») non riesce ad aprire la porta. Si rivolge alla vicina, Anna Melis e chiede di passare dal terrazzo della cucina che comunica con il suo alloggio (c'è soltanto un muretto divisorio). Dice: «Ho perduto le chiavi» (Invece gli saranno trovate in tasca). Poco dopo la Melis sente un «tonfo sordo», ma non sente gridare. L'avvocato è finito in cortile. Gimignani, sportivo, era agilissimo. L'inchiesta dirà che nel saltare il muretto, i mattoni hanno ceduto e il legale è precipitato disotto. Perché allora la bugia delle chiavi dimenticate? O piuttosto la porta di casa non si era aperta dall'interno? Qualcuno aspettava l'avvocato «incomodo» all'interno dell'alloggio? Dirà l'autopsia: «Trauma eranico, frattura della base, otorragia sinistra». Gimignani ebbe un attimo di lucidità prima di morire, all'ospedale: «Mi salvi dottore», implorava. Omero Marraccini