Un "omaggio,, a Liz Taylor
Un "omaggio,, a Liz Taylor PRIME SULLO SCHERMO Un "omaggio,, a Liz Taylor "Identikit" di Giuseppe Patroni Griffi Identikit di Giuseppe Patroni Griffi, con Elisabeth Taylor, Guido Mannari, Ian Bannen. Italiano, colore. Cinema Arlecchino. Perché ha un soffio d'invenzione e una piega nel mistero; perché somiglia a un fotoromanzo senza proprio esserlo; perché infine cerca il suo bene di là dalle ritualità idiote dell'erotismo ideologico, questo Identikit ha sollevato malumori e dissensi. Ci pare invece ch'esso confermi l'intelligenza di Patroni Griffi come uomo di spettacolo, alla ricerca, questa volta, di una resa espressiva meno intellettualistica del solito, più rapida e plastica, più, in una parola, cinematografica. Anche a intenderlo come semplice «omaggio a Liz Taylor» (di cui è il primo film italiano), Identikit, da un romanzo di Muriel Spark sceneggiato dal regista stesso e da Raffaele La Capria, resta un saggio notevole di cinema panneggiato intorno a un'attrice, ricercata e a volte reinventata nella sua possa di « prima donna ». Una non più verdissima ma ancora piacente signora alemanna scende a Roma in preda a misterioso stress. Onde il tempo del suo viaggio, che è appena di un giorno, si dilata a proporzioni mostruose, fitto di passaggi e carambole da un episodio, da un personaggio all'altro, sullo sfondo terminale di una Roma anch'essa esaltata e fortunatamente un po' diversa dal solito. A Patroni Griffi, come agli elisabettiani, giovano ambienti e personaggi d'eccezione, a meglio isolare nella sua potenza devastatrice, senza orpelli sociologici, il motivo del male. La signora viaggia con un soprabito psichedelico e un libro in mano da cui non si separa mai; parla e agisce come una che non ha tutti i suoi giorni, lasciandosi dietro una lunga scia di stupore pubblico. E sebbene con troppa acustica esclami ai troppi maschi che vorrebbero abusare di lei: «Non m'importa del sesso! », si capisce che dice il vero. Che cosa cerca dunque? Lo sapremo alla fine: una nevrotica anima fraterna che le usi la cortesia, sadicamente elaborata, di identificarla togliendola dal mondo. Costui sarà un giovane schizofrenico incontrato in aereo, che per disgrazia capiterà anche lui nell'Urbe. Il film è sapientemente costruito sul contrappunto delle indagini poliziesche circa il fattaccio ancora da venire (tutti coloro che hanno avuto che fare con la straniera sono torchiati dalla polizia) e i portamenti ad angoli acuti della stessa in una Roma silvana (Villa Borghese, l'Hilton) dalle tonalità di terracotta. La regìa stessa è nevrastenizzata, con tagli e angolature fremebonde che alimentano da per se stesse la sospensione. Identikit non è da giudi• care- col metro della verosimiglianza, ma con quello di un simbolismo allegorico sulla civiltà della nevrosi, del sesso e degli attentati dinamitardi. Se ha un difetto, è che doveva essere anche più delirante e vietarsi qualche raro ma deplorevole trapasso ai toni della « commedia all'italiana ». Innegabile peral¬ tro lo spolvero di genialità su questo che si potrebbe definire, calcando sul prefisso, un ipergiallo. Come innegabile la risposta piena dell'interprete, che affronta leoninamente primi piani nei quali il suo volto, come se invisibili mosche vi si posassero sopra, produce infinitesimi guizzi di passione, e gli occhi perenni si velano d'ombra. Suggestive le scenografie di Ceroli, squisite le immagini di Storaro, buono il complesso degli altri interpreti.
Luoghi citati: Liz, Liz Taylor, Roma, Urbe
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