Se vincono i laburisti di Mario Ciriello

Se vincono i laburisti Se vincono i laburisti Molti temono che una vittoria di Wilson alle elezioni di giovedì prossimo significherebbe l'uscita dell'Inghilterra dalla Cee, ma vari elementi fanno ritenere che il futuro degli inglesi sia comunque legato a quello della Comunità economica europea (Dal nostro corrispondente) Londra, 7 ottobre. Grande o piccola, una vittoria laborista sembra ormai certa. Se dal voto di giovedì emergerà una maggioranza conservatrice, i primi a stu- pirsi saranno proprio i tories, che, guidati da un Heath sempre più tetro, non nascondono il loro pessimismo. Vacillano cosi le speranze di tutti coloro, a Sud della Manica, che, conoscendo il robusto europeismo dell'ex premier conservatore, pregano tuttora per una sua affermazione. E' il momento di rispondere a una domanda: quali sarebbero gli effetti europei di un successo laborista? Salvo sorprese — e in questo travagliato mondo tutto è possibile —, la risposta potrebbe essere meno deprimente del temuto. Anzitutto, sia ben chiara una cosa. Harold Wilson non ha alcun piano preciso, e tantomeno vincolante. Sbaglia chi considera certa, o probabile, l'uscita della Gran Bretagna dalla Comunità e sbaglia, ovviamente, anche chi esclude al cento per cento tale possibilità. Questo atteggiamento di Wilson non è fenomeno pre-elettorale, si prolungherà per parecchio tempo anche dopo il suo eventuale ritorno a Downing Street. Le ragioni sono tre. Primo: il carattere di Wilson. Secondo: le condizioni economiche dell'Inghilterra. Terzo: il futuro rapporto di forze nel governo e nella direzione socialista. "Tutto scorre Wilson è lo statista che disse, anni fa: «Una settimana è un periodo lunghissimo, in politica ». Crede, insomma, nella massima filosofica «tutto scorre», per cui bisogna lasciare che le cose maturino, senza troppa fretta, senza dogmatismi e con una saggia dose di scetticismo. Non ha promesso nulla a nessuno, né agli europeisti né agli antieuropeisti del partito. Ripete: «L'importante è restare uniti, vincere le elezioni, salvare il Paese dall'uragano economico. Poi, vedremo». E, per tenere tranquilla la sinistra, ha accettato l'idea di un referendum. Abbiamo detto che tra i motivi d'incertezza vi è l'eco- nomia. Questo perché secondo alcuni intrepidi anti-??2nrketeers, come il ministro per il Commercio estero Peter Sfiore, l'Inghilterra guarirebbe più facilmente fuori che dentro l'Europa a Nove. «As sfatiamo a cambiamenti ^orici — ha dichiarato —. Non più vero che un'Inghilterra staccata dal Mercato europeo non potrebbe mai sopravvivere. Il potere di acquisto s'è spostato dal nostro continente a quelli ricchi di materie prime: e. in tutte queste zone, noi abbiamo contatti e collegamenti, commerciali e finanzìari. assai più vigorosi di quelli degli altri Paesi europei ». Paese povero Sono sogni, i sogni di chi non vuole riconoscere il drammatico declino dell'Inghilterra. Per fortuna, la verità comincia ad affiorare, a far breccia nell'insularismo, nelle arroganze e nelle ignoranze. A Washington hanno detto al ministro degli Esteri Callaghan: «La ringraziamo per la maggior importanza che voi laboristi, a differenza I dei tories. date ai rapporti con l'America. Ma a noi interessa soltanto un'Inghilterra che fa parte dell'Europa». E i funzionari rientrati da «sondaggi» in varie capitali del Commonwealth hanno riferiI to: «Tutti senza eccezione ci j vogliono nella Comunità. VoI glìono accrescere gli scainbi con l'Europa, intera, non con ! noi soltatìto». La Comunità non sarà l'ideale: ma quale altro futuro può mai esservi per questa nazione? «Niente illusioni — ammonisce il Fitiancihl Times —. Rispetto all'Europa, siamo un Paese povero». Il prodotto nazionale lordo britannico è meno della metà del tedesco e soltanto tre quinti del francese: è superiore all'italiano, ma di poco. Fino al 1980 (quando si dovrebbero sentire i benefici del petrolio del Mare del Nord) la crescita annua sarà di poco più del tre per cento, la più bassa d'Europa. Le famose «tecnologie avanzate» inglesi sono state spinte nell'ombra dai progressi in Francia e in Germania. Wilson le sa queste cose, e s- dipendesse da lui non si parlerebbe più di un possibile divorzio dalla Cee. Dopotutto, Wilson sostenne con passione, un tempo, la causa europea e sarebbe tornato giubilante dal recente vertice conviviale all'Eliseo. Ammettiamo, dunque, che il «rinegoziato» Londra-Bruxelles si concluda felicemente. Perché non dovrebbe avvenire? I tedeschi esigono un riesame dell'intera politica agricola e qualche concessione a Londra, sugli altri punti, è prevedibile. Si arrivarebbe così al momento in cui Wilson potrebbe uscire dalla sua neutralità, e presentare al partito e al Paese il «pacchet to» raccomandandone provazione. l'ap. La parola che fa paura in Europa è referendum. Ma non bisogna cedere al panico. Anzitutto, la nazione difficil- mente ripudierebbe un accordo elogiato da Wilson, dal cancelliere dello scacchiere Healey, dal ministro degli Esteri Callaghan, da vari altri ministri nonché da tutti i conservatori e i liberali. E poi, vi sarà veramente questo referendum? I Comuni devono prima approvare la legislazione necessaria, e l'idea — se i, voto sarà libero, «secondo coscienza» — potrebbe essere respinta. Non basta. Wilson potrebbe giustificare un rinvio del plebiscito con il pretesto di qualche crisi economica o potrebbe farlo coincidere con una elezione generale anticipata. Per gli europeisti sul Conti | nente, una vittoria laborista non dev'essere giorno di lut| to Vulnerabile com'è, l'Inghilterra non ha molte scelte. j L'America le dà l'ombrello nucleare, la Comunità l'om! fcrell° economico. i Mario Ciriello

Persone citate: Callaghan, Harold Wilson, Healey