Quando De Gasperi faceva le crisi di Vittorio Gorresio

Quando De Gasperi faceva le crisi tanassi può rompere, non rappezzare il governo Quando De Gasperi faceva le crisi Nel 1947 tornò dall'America e trovò la scissione del psi: ricompose il governo con il pei, che mise fuori pochi mesi dopo Roma, ottobre. Quando si dice, come in questi giorni, che siamo entrati in una « crisi al buio » sì usa una formula che ha poco senso. Se buio non ci fosse — cioè se la situazione politica fosse chiara — crisi non ci sarebbe: né d'altra parte il buio può riferirsi all'incognita della soluzione. Più o meno in tutte le 36 crisi degli ultimi trent'anni siamo entrati sema sapere come alla fine ne saremmo usciti. Di quasi tutte, in ogni modo, l'esito è stato sorprendente, contro le previsioni della vigilia. Seconda cosa di poco senso che in questi giorni si dice è che la crisi attuale rassomigli a quella che aprì De Gasperi in gennaio del 1947 al suo ritorno dall'America. Egli l'avrebbe allora aperta per estromettere i comunisti dal governo secondo gli ordini ricevuti a Washington: e così adesso ordini analoghi avremmo avuto di tenerli lontani dal potere. E' inesatto perché allora De Gasperi diede le dimissioni, e aprì la crisi, avendo trovato che durante la sua assenza dall'Italia si era spaccato il psi in palazzo Barberini, onde i ministri socialisti si erano dimessi. La buona azione Per conseguenza egli dovette costituire il suo terzo governo, il 2 febbraio, ma in quel governo i comunisti erano presenti come prima — gli stessi uomini e nel medesimo numero — e ci poterono restare fino a maggio, fin tanto che a De Gasperi essi continuarono a far comodo per validissimi motivi suoi di politica non americana, ma vaticana. C'era bisogno del loro voto per l'inserzione dei Patti Lateranensi nella Costituzione i della Repubblica, e fu sol tantQ dopo Vapprovazione 1 del famoso art. 7 che De Ga- ! Speri u m,se fUOri con ìa | serenità di coscienza di un cattolico che sìa riuscito a far compiere ai miscredenti una buona azione. Allora, e solo allora, egli uscì allo scoperto, parlando un poco dell'America ma soprattutto della necessità di far imbroccare alla politica italiana una rotta destrorsa Parlò alla radio cominciando a dire che un soffio di follia stava passando sul Paese, e lo descrisse, la sera del 28 aprile: « Dattilografe e fattorini speculano in Borsa; chi ha roba non vende; un feroce istinto e- goistico e antisociale si impadronisce di animi pavidi; uno spirito di avventura e dissipazione spinge al gioco d'azzardo sotto ogni forma, ai consumi di lusso, ai divertimenti più passionali e più costosi. E in mezzo a codesta folla sciocca di tremolanti la speculazione freddamente calcolatrice gioca al rialzo, trafuga all'estero valute e gioielli, attende in agguato di farsi ricca nella miseria generale ». Con qualche aggiustamento nei dettagli (visto che oggi dattilografe e fattorini non frequentano la Borsa, dove la speculazione freddamente calcolatrice non gioca al rialzo) il suo discorso di allora potrebbe valere anche oggi, sema comunque, allora come oggi, mettere in causa la responsabilità dei comunisti. Più pertinente alla realtà fu l'accento che egli ebbe da profeta della Bibbia: « Il baratro, se ci sarà, ci inghiottirà tutti; sia- mo tutti legati fatalmente l'uno all'altro ». Ma non essendo egli un profeta né un figlio di prò- feti, bensì un uomo politico con l'obbligo di trovare un rimedio ai mali che indica- va, a questo punto venne a denunciare che appunto i comunisti nel governo erano la causa dei nostri guai. Espose un suo progetto di soluzione: « Certo, se i rappresentanti di tutti gli interessi onesti e di tutte le concezioni economiche fattive ! tare per tutto il tempo della fossero dentro il governo e, consapevoli dell'estrema gravità dell'ora, concorressero alla salvazione del Paese, il popolo che lavora riprenderebbe quel senso di sicurezza che vuol dire fiducia, e l'estero riconoscerebbe che la nostra solidarietà merita credito. E' questo il pensieso che mi tormenta da quando tornai dall'America ». Anche a Parigi Se ne era lasciato tormen- discussione sull'art. 7, e d'altra parte i comunisti continuavano ad assecondarlo, associandosi col loro voto ai democristiani sul tema di certe leggi sulla scuola in discussione a Montecitorio. Ormai la misura era colma, e realisticamente De Gasperi si immaginò diffìcile che i comunisti potessero continuare a rendergli altri servigi di tale grandezza. Anche gli utili idioti possono avere soprassalti di arresto nel corso delle loro prestazioni, e a ciò pensando De Gasperi non esitò ulteriormente a sbarcare i suoi volonterosi portatori d'acqua. Tutto doveva sembrare chiaro (anche perché proprio in quei giorni il premier radicale francese, Paul Ramadier, per proprio conto aveva provveduto a dimissionare i suoi ministri comunisti a Parigi): ma, come ho detto, le crisi governative o I sono al buio o non sono cri ! si. L'allora capo dello Stato, Enrico De Nicola, uomo al ! l'antica e costituzionalista \ corretto, affettò dì ignorare . -he esistesse un problema ; comunista in Italia, e tanto ! meno ammetteva che si po I tessero accettare ingerenze ! straniere. Sosteneva, imperterrito, che la causa delle dimissioni di De Gasperi erano i discorsi vivacemente critici pronunciati dall'onorevole Francesco Saverio Nitti alla Costituente durante il corso di quella primavera: « Io leggo tutti i giorni il testo stenografico dei dibattiti a Montecitorio, e ne so quindi più di voi, perché leggendo non mi distraggo e non mi sfugge nulla », rispondeva testardo a chi voleva informarlo della reale situazione. Sicché, per coerenza con le sue letture, dette l'incarico di costituire un governo nuovo all'onorevole Nitti che gli risidtava essere il capo della opposizione al governo dimissionario. Poi Nitti non riuscì, naturalmente, né riuscì Orlando che gli succedette nel tenta- tivo ministeriale. Queste an- ! che potrebbero sembrare evocazioni dell'età dei nonni e dei bisnonni: ma se la logica parlamentare delle crisi di governo avesse una sua norma permanente, e se l'attuale capo dello Stato Giovanili Leone dovesse seguire l'esempio di chi egli considera tuttora il suo grande maestro — Enrico De Nicola — il primo incarico di risolvere la crisi nella quale ci troviamo dovrebbe essere conferito a chi la crisi ha aperto nella sua qualità di capo dell'opposizione al quinto governo Rumor: cioè al ministro delle Finanze onorevole Mario Tanassi. Capo della delegazione socialdemocratica in seno al governo, presidente di un partito che in tutti questi an- ni ha molto contribuito alle Ivariazioni che si sono succe- !dute sulla base dell'immuta- jbile stabilità democristiana ■al potere, Tanassi ha tutti i titoli costituzionali e politici per rappezzare i cocci del vaso che egli ha rotto. Anche ìlei 1949 i socialdemocratici, che marciavano allora con l'insegna psli, furono sul punto di far cadere un governo (il quinto di De Gasperi) ed anche allora per motivi di carattere internazionale: si discuteva se l'Italia dovesse o no aderire al Patto Atlantico, e nel psli molti erano contrari. « Comunque ce lo vogliano pre- | sentare, è un patto militare. e come tale non lo firmiamo! ». « Spaccherebbe l'Italia in due! ». « Non vogliamo essere, non siamo e non saremo mai l'ala laica della de! » si sentiva gridare nei loro congressi. Naturalmente, tutto poi si accomodò all'italiana, o alla socialdemocratica, che è presso a poco lo stesso; il patto fu firmato con l'approvazione del psli e per quella volta crisi non ci fu: ma il ricordo sta a dire e a dimostrare che se negli atteggiamenti dei partiti ci possono essere mutazioni (dal- ! l'antiatlantismo di venticin- que anni fa all'atlantismo di oggi) di norma le crisi si risolvono con qualche compromesso, più o meno costoso: allora, per esempio, ci fu la nomina del socialdemocratico Roberto Tremelloni a rappresentante dell'Italia presso VOece, scelta eccellente di una degnissima persona. Il bis di Segni Non è, del resto, che altri partiti siano da meno quanto a richieste di compensi in occasioni di crisi, né mette quindi il conto di continuare ad insistere sui socialdemocratici, citati qui soltanto perché ufficiali protagonisti delle dimissioni del quinto Rumor. Ogni cri- I si, comunque, è un tunnel ! dove ci si inoltra al buio sen j za poter sapere fino a tanto ■ che dentro ci si cammina qua/e sarà la luce che ci aspetta al suo termine: qualche volta può essere abbagliante o folgorante. Segni, ad esempio, si di- mise due volte, nel maggio del 1957 e nel marzo del I960, e tutte e due le volte perché la destra — i libera- li — non lo considerava abbastanza di destra. Bene, la prima volta il suo successore antifascista Adone Zoli dovette suo malgrado acconciarsi a sopravvivere coi voti dei missini, e la secon da volta diede il passo a Tambroni, con tutto quello che ne seguì, quasi l'inizio di una guerra civile nelle città d'Italia, sicché dovette intervenire Fanfani con un grande colpo di barra in direzione di sinistra. Si ha la impressione che la destra italiana sia incontentabile, mai soddisfatta della propria rappresentanza al governo in un Paese che, a ragione od a torto, a destra non si accomoda. Ripensando al governo Segni-Malagodi. si deve oggi riconoscere che fosse proprio quello il più a destra possibile; ma neppur quello bastava. Tutte le tentazioni di golpe sicuramente derivano dall'obbiettiva — ed a suo modo onesta — constatazione che entro gli attuali schemi parlamentari italiani non esistono possibilità dì alternativa: l'ha detto anche Tanassi nella sua perfetta innocenza. Allora può accadere di lasciarsi indurre alla idea di qualche esorcismo: come Pio XII scomunicava i comunisti, come i suoi mandatari procurarono di operare la scissione nella Cgil al grido sanfedista « Faremo un 18 aprile sindacale! », cosi oggi sembra tornato negli animi dei difensori della civiltà occidentale l'impulso a metter fuori dal governo i socialisti: « Iddio 10 vuole! », Jia proclamato Tanassi che un po' si sente 11 Pietro l'Eremita della prima antichissima crociata. Iddio può essere la Cia, e nessuno ha il diritto di porlo in dubbio; ma il risultato di una tensione mobilitata potrebbe essere ancora | una volta ben differente da : Quello che e stato auspicato ; al but0- AU usc^a dal turi \ nel deUa crisi P"° capitare ' cU trovarci davanti ad una molto diversa realtà, folgorante e abbagliante: qualcosa come una guerra civile che certamente i tanto favoleggiati americani della Cia sarebbero i primi a deprecare per il nostro Paese. Vittorio Gorresio