Gli "altri partiti,, delle elezioni inglesi di Mario Ciriello
Gli "altri partiti,, delle elezioni inglesi Oltre il confronto laboristi-tories Gli "altri partiti,, delle elezioni inglesi (Dal nostro corrispondente) Londra, 5 ottobre. E' cambiata l'Inghilterra, ed è cambiala la sua geografìa politica. Era tutto così semplice fino a un anno fa. I laboristi da una parte, i « tories » da quell'altra, come due fortezze sulle sponde opposte di un fiume. Adesso, alla vigilia delle elezioni di giovedì IO, il panorama ricorda un capitolo di storia medioevale. Eserciti agguerriti e ambiziosi calano da direzioni diverse, tutti alla caccia del potere. Il tradizionale duello tra socialisti e conservatori si e trasformato in una furibonda mischia, senza alleanze, senza amicizie. Secondo tutte le previsioni, un successo « tory » è quanto mai improbabile; ma è improbabile pure una grossa affermazione laborista. E' la presenza dei nuovi antagonisti a creare tali prospettive, antagonisti che potrebbero sottrarre voti ai già deboli conservatori, ma che, al tempo stesso, potrebbero impedire al Labour Party di ottenere una solida maggioranza. Gli inglesi li chiamano i «terzi partili », questi schieramenti che marciano sotto il vessillo dei nazionalisti irlandesi, gallesi, scozzesi e dei liberali. Gli ultimi due sono i più importanti, e gli scozzesi forse più dei liberali. Perche? Se dobbiamo credere ai fondati e vari pronostici, il Liberal Party di Jeremy Thorpe non riuscirà a infrangere la barriera del sistema uninominale e ad inserirsi fra i grandi partiti. Da quattordici, i suoi seggi ni Comuni potrebbero salire a sedici o diciassette, tanti da nuocere ai tories o ai laboristi, ma non abbastanza da creare una nuova, vigorosa forza politica. Gli Scottish Nationalists hanno sette deputati ai Comuni, e sono già molti. E sembrano alla vigilia di altri successi. Parliamo, dunque, di questi pugnaci scozzesi che, a differenza dei liberali, non aspirano a creare un partito nazionale ma semplicemente — citiamo un loro portavoce — a « mandare all'inferno gli inglesi, ed a ricostituire una Scozia sovrana e indipendente ». Gli inglesi ridevano, due o tre anni fa, ad udire queste idee, e le attribuivano alla irrequieta e sognante natura dei celti. Oggi, nessuno sorride più. E sia i tories che i laboristi, nella speranza di evitare il peggio, promettono agli scozzesi quell'autonomia caparbiamente negata da decenni. I nazionalisti rispondono: « E' troppo tardi, orinai, per questi compromessi. Abbiamo il petrolio, siamo ricchi ». I «manifesti» dei partiti, adornati come sono dai cosmetici elettorali, sono raramente rivelatori. Non così quello dello Scottish National Party, le cui rivendicazioni mischiano, con sagacia tipicamente scozzese, interessi economici e patriottismo. Si vuole una Scozia indipendente, con il proprio parlamento, le proprie ambasciate e il proprio passaporto: così come fu fino al 1707. Si auspicano « forze difensive scozzesi », si propone un referendum per stabilire se questa Scozia sovrana debba far parte della Comunità Europea. Il nuovo Stato avrebbe, ovviamente, una sua valuta, lo Scottish Pound, che, « spalleggiato dal petrolio, di¬ fenderebbe gli scozzesi da quel-1 la inflazione che devasta ora la Gran Bretagna ». Non c'è dubbio, quasi tutto il petrolio scoperto finora è in acque scozzesi: ed e questa manna che ha innalzato il nazionalismo dalla sfera romantica a quella delle cose pratiche. Con il suo petrolio, le sue industrie di fama internazionale, il suo whisky, le sue banche, la Scozia potrebbe essere un'altra Norvegia, anzi molto più ricca e intraprendente. Si vedrà giovedì fino a che punto il dinamico Scottish National Party abbia reso « credibile » il suo disegno. Tutte le cronache parlano, frattanto, di crescente anglofobia. Ai comizi, la gente domanda: « Che succederà agli inglesi senza di noi? ». « Andranno in bancarotta». Il pubblico ride soddisfatto. Qualche voce commenta: « Spero che muoiano di fame, quei fannulloni ». La bella Margo MacDonald, la nazionalista che cerca di riconquistare il collegio di Glasgow perso in febbraio per soli cinquecento suffragi, dice ai giornalisti: « Ragazzi, alla seces¬ sione dalla Gran Bretagna ci pensiamo domani. Oggi, pensiamo ad agguantare voti ». Ecco, dunque, la minaccia immediata per laboristi e conservatori, soprattutto per i secondi: minaccia cui si aggiunge quella liberale. Il premier Harold Wilson ha chiamato gli uomini di Jeremy Thorpe « mini-tories », ma egli per primo sa che è un'etichetta sbagliata. Thorpe è il più simpatico, il più brillante ed eccentrico dei leaders inglesi, con una voce morbida e suadente, un'arguzia irresistibile. Ma, sia lui che il suo partito non sono riusciti a dissolvere quell'immagine di « dilettantismo » che li perseguita da tempo. Avanzano, ma come partito della protesta. E si ripeterà ancora tale protesta? E in che misura? E' veramente l'elezione delle incognite, e si addice a questi tempi offuscati da nebbie economiche e sociali. Il Financial Times ha scritto: « Talvolta le crisi fanno bene, rinnovano il sistema ». E' l'unica consolazione cui si aggrappano gli inglesi. Mario Ciriello
Persone citate: Harold Wilson, Jeremy Thorpe, Macdonald, Pound, Thorpe
Luoghi citati: Glasgow, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra, Norvegia, Scozia
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