Genova crescita zero

Genova crescita zero LA CRISI SILENZIOSA DI UNA CITTÀ Genova crescita zero Con una popolazione statica, povera di industrie, si illude di essere "un modello svizzero nel congestionato Nord italiano" - Ma non ha risolto le contraddizioni e ne fa pagare le spese agli abitanti meno favoriti Genova, ottobre. Il numero dei genovesi diminuisce. I morti superano i nati, gli immigrati sono pochissimi. Questa è lamica città italiana, fra quelle di grandi dimensioni, ad avere 10 « zpg » auspicato dai neomalthusiani, o « sviluppo demografico zero ». Nel 1971 i residenti erano 817.157, oggi sono poco più di 812.000, con un calo di oltre 5000 unità. Ogni mese le statistiche mostrano un saldo negativo: mancano da 200 a 300 bambini per colmare i vuoti naturali. Il fenomeno dura da alcuni anni; i genovesi lo vivono come il prodotto di una rinuncia al dinamismo che risale agli Anni Cinquanta, quando Genova si sganciò dal « triangolo » e sembrò rassegnata a diventare una città di provincia, sempre più povera di industrie, appartata come un grandioso « pensionato sul mare ». La popolazione sta infatti invecchiando: gli abitanti tra i 14 e i 24 anni di età sono scesi da 113.874 a 104.800 in dieci anni, quelli oltre i 65 sono saliti da 95 mila 850 a 118.880. Porto e traffici Impressiona la trasformazione subita dalla struttura sociale. Gli operai erano 168.898 nel 1961 ed oggi non arrivano a 135 mila (soltanto 90 mila hanno un posto nell'industria). Sono aumentati i liberi professionisti, i dirigenti, gli impiegati. Nell'interpretazione degli ottimisti questi fatti sarebbero la convalida di una politica aggiornata: Genova fonda la sua economia sul porto e sui traffici, espelle le industrie come tutte le grandi città moderne, diventa un centro residenziale e di servizi, cuore di un'area metropolitana estesa al di là dell'Appennino fino alle piane piemontesi e lombarde. «Tranquilla, ordinata, statica nella popolazione, Genova è un modello svizzero nel congestionato Nord italiano», amano ripetere i cultori della genovesità che respinge ogni tentazione critica. «Genova in decadenza? Lo dicono le malelingue. Qui si sta meglio che a Milano o Torino. Perché avremmo dovuto sviluppare a tutti i costi le industrie, chiamare operai dal Mezzogiorno facendo scoppiare la città, provocare congestioni e tensioni? Non abbiamo avuto 11 dinamismo di Milano e di Torino, però in compenso oggi non sentiamo cosi brutalmente gli effetti del momento negativo attraversato dalla economia nazionale », mi dice uno di quei genovesi, pochissimi, che da almeno vent'anni tengono le leve del potere effettivo. Naturalmente devo tacerne il nome. Qui le confidenze hanno regole ferree. Isolata, povera di stabilimenti, Genova godrebbe di una sorta di neutralità, specializzandosi nel settore terziario e puntando al cosiddetto quaternario, ossia alle attività tecnico-scientifiche e ai servizi del futuro. « In parte l'ottimismo ha un cer- i to fondamento », mi dice Sergio Vacca, direttore dell'Ilres (Istituto di ricerche economiche e sociali), abitualmente su posizioni piuttosto critiche. « In una situazione di staticità si sono inseriti alcuni fattori nuovi da non sottovalutare. Genova ha oggi con l'Ansaldo elettrico-nucleare circa il 60 per cento della potenzialità italiana nel settore delle centrali atomiche, in forte sviluppo per le note esigenze. Attorno all'industria nucleare si sviluppano attività di ricerca e di progettazione, con benefici effetti a catena. La cantieristica va bene. Il porto è in fase di rilancio, esaltato dalla previsione della riapertura del Canale di Suez ». Nel cuore della città non 1 I ! [ i i mancano le immagini per1 suasìve, facilmente utilizzaI bili per confortare i ge! novesi nell'accostamento ai [ modelli di metropoli evolui te e ricche. Sta nascendo il centro direzionale di via Madre di Dio, fatto di torri e di svincoli aerei, tra le sedi degli affari e il porto. E' quasi ultimato il quartiere di Piccapietra, urbanisticamente infelice e di vecchia concezione ma ricco di effetti con i suoi palazzi di vetro, cemento e alluminio. A Piccapietra trovi i grandi gioiellieri e pellicciai, le banche di nome genovese, la Rinascente e le compagnie di assicurazione, i negozi di lusso, le grandi aziende (all'ultimo piano di un semigrattacielo di Piccapietra aveva il suo ufficio Andrea Mario Piaggio, il finanziere e industriale coinvolto nelle trame nere). Altri emblemi e motivi di orgoglio: i giardini di piazza Corvetto ben pettinati, il « Carlo Felice » che sta rinascendo, i vigili urbani più alti, solenni e severi di tutta Italia. Annotiamo che da qualche tempo i mezzi pubblici sono più efficienti; il traffico è più ordinato, benché ci sia un'automobile ogni tre persone. Si possono citare altri dati statistici per contribuire all'ottimismo: reddito medio di poco inferiore a quello dei torinesi, oltre 2000 miliardi depositati nelle banche, un apparecchio telefonico per due persone, il più alto indice di scolarità d'Italia, una grande abbondanza ai case: 1 milione 91.378 vani per 812 mila abitanti. Teoricamente Genova potrebbe garantire una stanza a 200 mila abitanti in più. Ma, a scandagliare le cifre e i fatti, si scopre ben presto che lo « sviluppo zero » non ha contribuito ad eliminare gli squilibri e le disparità, sicché può dirsi che Genova è una città statica quanto ingiusta, bella e amabile soltanto per una minoranza privilegiata. Quella, appunto, che passeggia sotto i portici di Piccapietra, in via Roma e in piazza Corvetto, abitando nelle solide case di Castelletto o di Albaro (scale di marmo, pavimenti a mosaico, soffitti stuccati). Può darsi che la economia locale abbia prospettive migliori. E' però evidente che l'arresto dello sviluppo demografico non è servito per soddisfare i bisogni civili arretrati. Pur senza immigrazione, Genova ha le sue « sottocittà », i suoi ghetti, i quartieri privi di ogni servizio, dalle scuole alla farmacia. In tanta abbondanza di case, mostrata dalle statistiche, 20 mila coppie (i genovesi nati quando c'era ancora un notevole incremento naturale) cercano disperatamente un tetto. C'è un ritorno alla coabitazione. Il ricco patrimonio edilizio è infatti malissimo distribuito e ancor peggio utilizzato. 25 mila alloggi, per 100 mila vani, sono inabitabili e lasciati in abbandono. Una massa enorme di appartamenti, per un numero di vani oscillante da 30 mila a 100 mila secondo stime diverse, rimane inutilizzata perché offerta a prezzi esorbitanti oppure perché tenuta fuori dal mercato. I proprietari preferiscono avere gli appartamenti vuoti e liberi: l'incremento di valore, in tempi di inflazione, supera il mancato introito degli affitti. Il capitolo della casa è scottante. « Genova è asservita ai gruppi di potere del¬ la speculazione edilizia», mi dice Giovanni Nobile, responsabile dell'ufficio enti locali del pei, ripetendo un'accusa già sentita molte volte in Consiglio comunale. Alcuni fatti sono indiscutibili e rivelatori. I lavori per il nuovo piano regolatore, avviati nel 1963 con larghezza dì mezzi per le ricerche e con notevole apertura culturale, furono bruscamente interrotti nel dicembre 1965. Gli urbanisti incaricati, diretti dal prof. Astengo e comprendenti il francese Auzelle, furono accusati di lentezza. Ma dopo nove anni il piano è ancora nei cassetti degli uffici comunali, e si va avanti per episodi, sull'eredità del piano del 1959 che teoricamente consentiva la costruzione di 8 milioni di vanì per 800 mila abitanti. Sulle aree destinate alla applicazione della legge 167 si è costruito poco o nulla; l'Istituto autonomo per le case popolari ha avuto sempre i terreni non convenienti ai privati, o addirittura i terreni franosi. Sono storici i crolli di vìa Dino Col e del Biscione, immenso alveare rimasto parzialmente distrutto dai giorni dell'alluvione. « Non è molto appetibile la zona di via Mogadiscio dove ITacp costruirà 143 alloggi avendo distribuito 8000 moduli per le domande di assegnazione », mi dice il segretario del Sunia (Sindacato degli inquilini e assegnatari), Ciriberto. Le sue previsioni sono pessimistiche: « C'è da temere uno scoppio di rabbia collettiva. Mancando l'edilizia a basso costo, i privati chiedono 100120 mila lire mensili per l'affitto di un appartamento nella periferia più disagiata. E molte famiglie che hanno bisogno di casa non possono pagare più di 30 mila lire. Come tenere la gente, quando si sa che migliaia di appartamenti sono chiusi e vuoti per ragioni speculative? ». Gli equilibri di Genova non sono dunque così sicuri. Lo stesso primato per il più alto indice di scolarità nasconde l'iniqua distribuzione delle scuole su un territorio diviso per classi o caste. Da un freschissimo studio dell'Ilres estraggo questi datila parte occidentale di Genova, da Pegli a Voltri, ha soltanto una sezione staccata del liceo classico di Sampierdarena ed una del liceo scientifico, per oltre 100 mila abitanti. La Valbisagno, lunga appendice operaia e piccolo-borghese verso il cimitero di Staglieno, non ha alcuna scuola medio-superiore. Nella Valpolcevera, vera e propria sottocittà industriale inquinata e caotica, i ragazzi devono rivolgersi a un solo istituto pubblico, di avviamento industriale, con automatico condizionamento del loro futuro. Verde e servizi Basta lasciare il centro e i quartieri residenziali per aprire un interminabile inventario di fabbisogni arretrati. I paragoni con le città svizzere cadono nel ridicolo quando si passa al discorso sul verde e sui servizi. La dotazione media di 50 centimetri quadrati per abitante scende a zero nel centro storico, in Valpolcevera e in Valbisagno. A Nervi, a Pegli e a Voltri sopravvivono i restì di stupendi parchi che circondavano antiche ville monumentali. Non c'è altro, a meno di considerare parchi le aiuole fiorite, i giardini della villetta di Negro, o le aree parzialmente rinverdite attorno ai forti del Righi, difficilmente accessibili. Ad Albaro abbonda il verde, ma è privato. Il verde attrezzato, i campi da gioco per bambini e gli impianti sportivi pubblici costituiscono vere e proprie rarità. A Sampierdarena 71 mila residenti hanno 20 cmq di verde a testa. Secondo un'indagine della « Scuola di formazione superiore ». a Sampìerdarena mancano 69 campì da gioco per bambini. Rivarolo, sottocittà operaia con 43.766 abitanti, ha queste dotazioni: verde zero, 4 giochi per bambini (non campi-gioco ma « giochi », altalene e simili). Ha anche una piscina, fatto eccezionale. Le altre due disponibili in tutta Genova si trovano al lido di Albaro. Verde zero a Bolzaneto e Pontedecimo, povertà assoluta di impianti sportivi in tutto il Ponente, da Sestri a Voltri. Il mare stesso, risorsa naturale dei genovesi per la ricreazione e le attività sportive, è privatizzato o abbandonato. Le spiagge libere sono immondezzai. Si sfrangia l'immagine rosea di una Genova statica ma invidiabile, viene a fuoco quella di una città che non ha risolto le sue contraddizioni e che fa pagare i prezzi più esosi ai suoi abitanti meno fortunati. Mario Fazio Genova. Scaricatori nel porto, orgoglio della città (Foto Team)

Persone citate: Andrea Mario Piaggio, Biscione, Carlo Felice, Castelletto, Giovanni Nobile, Mario Fazio, Negro, Sergio Vacca, Staglieno