I pittori arrivati sgraditi a Renoir di Marziano Bernardi

I pittori arrivati sgraditi a Renoir I pittori arrivati sgraditi a Renoir (Dal nostro invialo speciale) j Parigi, ottobre. La più evidente prova che, contrariamente a quanto di solito si crede, gli Impressionisti francesi non si proponevano di rivoluzionare la pittura, non erano, come oggi si direbbe, dei « contestatori » per spirito polemico, ma soltanto dei poeti anelanti a una propria esclusiva libertà e verità, è la loro costante aspirazione ad esporre al Salon, roccaforte dell'arte ufficiale, • feudo degli accademici. Persino il più burbero, scontroso e orgoglioso di essi, Cézanne — scriveva il critico del Rappel proprio nel 1874, l'anno della prima famosa esposizione degli Impressionisti — « se presentai! au Salon, portimi luiménte ses toiles sur son dos lenirne Jésus-Chrisl sa croix », inevitabilmente rifiutate dalla giuria. Motivo della sfortunata insistenza? Che per un pittore appendere un quadro alle cimuises del Salon era il primo passo verso la celebrità, l'unico modo per farsi conoscere, per conquistare un pubblico. Non v'era alcun mezzo altrettanto efficace; sì che tanto Théodore Duret, giornalista della Tribune, quanto Manet, che l'anno precedente aveva ottenuto un grosso successo al Salon con il quadro Le boti bock, avevano sconsigliato gli amici Monet e Pissarro di capeggiare la costituzione della « Société anonyme des artistes » per esporre fuor dell'ambito ufficiale. Apparire degli « irregolari » era comunque la preoccupazione di quei soci, e l'insigne storico dell'Impressionismo, John Rewald, ha ricordato il timore di Degas che la mostra del 15 aprile 1874 « chez Nadar », boulevard des Capucinec, venisse considerata una manifestazione di « refusés ». ★ ★ Ma v'era di più. Esposta al Salon ed acquistata dallo Stato, un'opera poteva essere assegnata al « Musée du Luxcmbourg », cioè a quel museo costituito nel 1818 sotto Luigi XVIII per accogliere le « principales produclions des iirtistes vìvants » nelle sale del celebre palazzo costruito a partire dal 1615 per Maria de' Medici; di qui alfine passare, suprema ascesa, al Louvre, cinque anni dopo la morte dell'autore. Nel fatidico 1874 il «Musée du Luxembourg» contava 240 pitture di artisti viventi, che tutte, tranne 3 o 4, erano figurate ai Salons. Per il fatto stesso d'esservi state accolte, premiate, acquistate dagli enti pubblici o dal sovrano, e destinate al « Luxembourg», rappresentavano l'altro annetto — profondamente diverso se non sempre opposto all'Impressionismo — della pittura francese di quell'epoca. Mostrarci quale « faccia » essa avesse negli anni che con l'opera dei Manet, dei Boudin. dei Monet, dei Renoir, dei Pissarro, dei Cézanne, dei Sisley. dei Degas, dei Caillebotte, dei Bazille, dei Guillaumin, delle Morisot c Cassat e degli altri minori del battagliero gruppo, si ponevano le basi di una nuova visione dell'arte e fors'anche dell'uomo, della vita, di tutte le cose comprese nella natura, è stata l'eccellente iniziativa degli organizzatori della celebrazione del centenario dell'Impressionismo. Perciò con le mostre di tutti i Cézanne dei musei francesi a l'Orangerie, e degli Impressionisti nella loro stagione « eroica » al Grand Palais di Parigi, delle quali abbiamo parlato in precedenti articoli, ecco nel medesimo immenso Grand Palais la mostra del « Musée du Luxembourg en 1874 »: impresa ammirevole di Michel Laclotte, conservatore capo del dipartimento pitture del Louvre, e di Geneviève Lacambre, pure del Louvre, che con strenuo impegno filologico ha ricercato le opere sparse in vari musei provinciali francesi e redatto le schede del prezioso catalogo. Così abbiamo sott'occhio l'inatteso e straordinario panorama della pittura « ufficiale » di Francia come appariva al visitatore compiaciuto d'immagini tradizionali l'anno stesso che in un altro luogo i barbagli rossastri e violacei della Impression, soleil levimi di Monet confondevano lo spettatore allibito. Quale giudizio darne? Michel Laclotte, nelle pagine introduttive del catalogo, ricordata la irridente mostra parigina « Equivoques », o dei « Pompiers », che l'anno scorso si prestò a così facili condanne d'un gusto tramontato e d'una tecnica desueta, si pone nel punto di vista giusto: dello storico dell'arte che frena il critico militante, sempre parziale nel conformarsi all'attualità, e disposto a genuflettersi ai suoi miti. Lo storico lucido e indipendente — egli afferma — « si rifiuta di ammettere senza con/rollo e come un latto acquisito l'eclisse quasi totale cui la glorili dell'Impressionismo e del Postimpressionismo ha lungamente condannata tante altre tendenze del XIX secolo »; e aggiunge che da una dozzina d'anni, specie dopo l'esposizione delle « Sources du XXe siede », un'appassionante serie di processi di revisione (e Laclotte vi comprende « l'étonnantc exposition de Turili, 7969») ha provocato delle « restinections » ora spettacolari ora modeste. * ★ Ebbene, per conto nostro e senza esitazione alcuna, porremo tra le prime Antoine Chintreuil (1814-1873) per il suo splendido paesaggio L'èspace (passato, del resto, nel 1883 al Louvre), un'opera per nulla impressionistica, ma d'un respiro ampio e solenne che davvero pare — secondo il vagheggiamento di Cézanne — un Poussin rifatto « sur nature ». S'intende che Corot, neppure per un quadro ancora pervaso di spirito arcadico, la ben nota Matinée con ninfe danzanti dipinta intorno al 1850, non ha bisogno di « risurrezione »; ma forse lo stesro non si può dire per Eugène Fromentin (1820-1876), l'«orientalista» pregiato di più come lo scrittore di Dominique e dei Maìtres d'auliefois che non per i suoi quadri; e ve n'è qui uno eccellente, la Chasse un faucon en Algerie. Ed il vituperato Meissonier (1815-1891), del cui quadro Les cuirassiers Manet diceva « tutto è di ferro tranne le corazze »? I suoi prezzi salivano alle stelle come gl'inni sciolti in sua lode, e nel 1864 questo L'Enipereur a Solferino, una tavoletta nella quale tutti i personaggi dello Stato Maggiore di Napoleone III sono ritratti come in miniatura, fu pagato 50.000 franchi, una quotazione, per quei tempi, da Picasso. Oggi di lui si parla con compatimento; però si guardi come son dipinti gli artiglieri in basso a destra: Fattori non fece mai nulla di meglio. E si potrebbe continuare nella serie di doverose « risurrezioni »: anche con la dimenticatissima, in vita celeberrima, Rosa Bonheur (18221899); col romantico Regnault (1843-1871), memore di Gé ricault nel potente Juan Prim a cavallo; col patetico Hébert (1817-1908) che mentr'era a Roma trasse da un flagello italiano il tema d'un quadro famoso, Malaria, per decenni ri¬ prodotto nelle pubblicità di prodotti farmaceutici; con l'Heilbuth (1826-1889), del quale il realistico Mont-de-Piété potrebbe esser stato dipinte dal nostro Gioacchino Toma; col Guillemet (1841-1918) che nel Bercy en décembre non è qualitativamente lontano da Corot, che fu suo maestro; col Francais (1814-1897) e col Daubigny (1817-1878), due dei pittori che più colpirono Antonio Fontanesi all'Esposizione Universale di Parigi nel 1855, e particolarmente il secondo, tanto che il motivo di questa Ecluse dans la vallèe d'Optevoz venne ripreso in un suo quadro dal maestro italiano; con Jules Breton (18271906), di cui Le soir e Le rappel des glaneuses paiono pensati nell'aura morale di Miller Ma non è su questi pittori, per lo più paesaggisti o compositori di figure nel paesaggio, non è nemmeno sul Moreau (1826-1898) deWOrphée, oggi rivalutato dal Simbolismo, che si abbattono i fulmini della critica novecentesca. La condanna senza attenuanti colpisce i pittori di storia, di soggetti sacri e mitologici, di personaggi ed episodi letterari, di scene di genere, siano o non siano essi veri e propri pompiers: i Bouguereau, Cananei, Chenavard, Delaunay, Couture, Géróme, Giacomotti, Gigoux, Victor Giraud, Glaize, Gleyre, Lefebvre, Legros, Henner, Flesse, Muller, Philippoteaux, Schnetz, Timbal, Vetter, e via dicendo, tutti presenti al Luxembourg nel -1874, tutti onorati come autentici maestri. E maestri a modo loro Io erano; la gigantesca macchina storica del Couture, Les romains de la décadence, ora al Louvre, continua a imporsi per l'eccezionale abilità della composizione; il pubblico ne era ammirato, e probabilmente trascurava invece le opere sincere di Cabat, Chenu, Jacques. Ma bisogna distinguere: se dopo cent'anni quei quadri non ci dicono più niente non è perché non siano dipinti in modo egregio, ma perché, rispetto al loro tempo, nascevano morti. Che cosa poteva significare nel 1874 il Départ de la flotte normande pour la conquéte de l'Angle terre, di Albert Maignan, se non un completo esaurimento della fantasia artistica? Gli Impressionisti l'avevano capito; e per non fare come il cane che s'arrotola su se stesso tentando di mordersi la coda, erano usciti dagli ateliers per ritrovare la natura e la vita. Marziano Bernardi

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