Interrogato a lungo il magistrato: favorì la fuga d'uno degli estremisti di destra? di Liliana Madeo

Interrogato a lungo il magistrato: favorì la fuga d'uno degli estremisti di destra? L'inchiesta sul campo paramilitare di Pian di Raschio Interrogato a lungo il magistrato: favorì la fuga d'uno degli estremisti di destra? E' stato chiamato in causa da un picchiatore e teorico dell'eversione fascista - Questi ha scritto al suo legale dicendo che il procuratore della Repubblica di Lanciano gli avrebbe permesso di scappare in Svizzera ■ Connessione tra strage di Brescia e collimando Esposti? (Dal nostro inviato speciale) Rieti, 1 ottobre. E' durato tre ore e mezzo l'interrogatorio del procuratore della Repubblica di Lanciano, dott. Mario D'Ovidio, sii cui grava il sospetto di aver favorito la fuga di un fascista colpito da ordine di cattura. Il magistrato è arrivato a Rieti a bordo di una macchina i-ossa targata Roma, quella del suo difensore, e direttamente si è presentato dai giudici che indagano sul campo paramilitare di Pian di Rascino: era atteso da circa un mese, da quando gli era stato notificato l'avviso di reato, e nei prossimi giorni gli sarebbe stato inviato un mandato di comparizione se il suo silenzio si fosse prolungato ancora. A chiamarlo in causa, nell'inchiesta sxdle trame nere, era stato il sanbabilino Luciano Benardelli (23 anni, amico di Colombo e Esposti, picchiatore e teorico dell'eversione fascista, accusato di associazione per delinquere, insurrezione armata con¬ tro i poteri dello Stato, riorganizzazione del disciolto partito fascista, guerra civile). Dalla Svizzera, dove avrebbe trovato rifugio fin dal giugno scorso, il giovane ha inviato al suo difensore una lettera (che gli ha fruttato anche un'incriminazione per tentata estorsione) in cui spiega come il procuratore D'Ovidio gli ha permesso di scappare avvisandolo in anticipo di un mandato di cattura nei suoi confronti: ricorda la sua intimità con i due figli del magistrato, il capitano dei carabinieri Giancarlo e lo studente Ettore; racconta come fu Giancarlo — informato dal padre — a convocarlo a casa sua e a rivelargli quanto stava accadendo in procura; accusa ambedue di averlo « messo in condizione di allontanarmi onde evitare di dover essere usato quale capro espiatorio in merito a reati che non ho mai commesso ». Finito agli atti, il documento si è aggiunto alle altre denunce che da anni venivano avanzate sidla famiglia D'Ovidio: interrogazioni parlamentari che parlavano di aperto appoggio dato dalla procura di Lanciano alla cellula fascista della cittadina; un procedimento disciplinare svoltosi presso il Consiglio superiore della magistratura; accuse di organismi antifascisti abruzzesi, finite in tribunale. Dal palazzo di Giustizia di Rieti sono partite le comunicazioni giudiziarie nei confronti di Mario e Giancarlo D'Ovidio, e un rapporto per la procura generale presso la corte d'appello di Roma. Il ministro Zagarì ha chiesto a sua volta al Consiglio superiore della magistratura di sospendere cautelativamente dal servizio il procuratore (il « caso » verrà affrontato nei prossimi giorni); il procuratore generale presso la corte d'appello dell'Aquila ne ha chiesto il trasferimento d'ufficio, sostenendo che il magistrato non potrebbe assolvere con serenità il suo compito, avendo perso il prestigio necessario. Davanti ai giudici che lo interrogavano il dottor D'Ovidio — 60 anni, figura corpulenta, modi bruschi, sguardo sfuggente — si è difeso negando ogni addebito. Ha respinto tutte le accuse, drasticamente. Gli inquirenti non hanno contestato le sue risposte: è probabile che presto tornino a sentirlo, forse insieme con il figlio Giancarlo, che attualmente risulta non in servizio per motivi di salute. Le indagini — molti segni lo lasciano presupporre — sarebbero giunte a una stretta finale. Partendo dalla morte di Giancarlo Esposti e dalla cattura dei suoi due camerati, all'alba del 30 maggio scorso sui monti dell'alto Cicolano, i giudici reatini sarebbero risaliti anche ai nomi di alcuni finanziatori dell'impresa e avrebbero annodato fili assai utili per ricostruire la tela del piano eversivo che l'estrema destra aveva in mente di attuare nella primavera scorsa — Brescia sarebbe stato l'elemento detonante — e che per l'incepparsi dì qualche meccanismo si sarebbe poi bloccato. La pista più interessante che s'è aperta è quella di un'eventuale connessione fra la strage di Brescia e il commando fascista di Pian di Rascino, collegamento che passerebbe attraverso le figure di Gianni Colombo, Giancarlo Esposti, Luciano Benardelli, Cesare Ferri (neofascista in carcere a Milano per un attentato a una sede del psi, indicato da un sacerdote bresciano come possibile responsabile dell'attentato a piazza della Loggia). Con la documentazione raccolta su questo nome («non abbiamo messo noi la bomba di Brescia. Chiedetelo a Cesare Ferri » disse Alessandro D'Intino, uno dei fascisti arrestati a Pian di Rascino, poche ore dopo la sparatoria) i magistrati di Brescia Vino e Trovato sono ripartiti per la loro città, dopo aver affiancato i colleghi reatini per circa quindici giorni nelle indagini. Un'incriminazione di Ferri per la strage di Brescia potrebbe essere il primo risidtato della collaborazione fra i giudici delle due città. Il provvedimento viene dato per imminente. Liliana Madeo