Salvarsi insieme di Aldo Rizzo

Salvarsi insieme Salvarsi insieme Un anno dopo la guerra del Kippur, che diede il via alla tempesta energetica, l'Occidente è più che mai dentro la crisi. L'impatto tra le tensioni interne delle società industriali C l'esplosione del prezzo del petrolio, seguita aWembargo, ha portalo a un disagio acuto e generalizzato, che, secondo Robert McNamara, presidente della Banca Mondiale, « è senza precedenti»; con l'eccezione, 6 naturale, della grande depressione degli Anni Trenta. Ora il problema e appunto quello di evitare un « bis » di quegli anni « selvaggi » dell'economia; ma le terapie sono controverse e opinabili, e solo emerge un dato di fatto, che ci salveremo I limi insieme o nessuno.^ j L'« interdipendenza » è infat- ti lo slogan della nuova animi- nistrazione americana; ma il concctto, benché ovvio, è com- plcsso, richiede diagnosi realistiche e un calcolo esatto degli interessi e dei rapporti di forza. Secondo gli Stati Uniti (che ora, usciti dall'ossessione del « Watergatc », riacquistano Tot-1 tica fredda della grande poten-1 za) l'interdipendenza va fatta valere fra gli alleati occidentali, ma anche fra questi e i loro « avversari » o interlocutori, cioè i detentori dell'o/7 power, della potenza petrolifera. Ma quanto i secondi possano essere sensibili a un tale appello, resta un mistero, mentre si avvertono, piuttosto, tendenze di segno contrario. E allora si pone il problema, ripetutamente accennato nei giorni scorsi da Ford e da Kissinger, dell'opportunità di una conjrontation, anche aspra, perché l'interdipendenza sia imposta a chi non vuole subirla, o crede di poterla eludere; ma, ancora, è complesso il discorso sull'efficacia di questa minaccia. Che. per esempio, i Paesi in via di sviluppo, fra cui quelli produttori di petrolio, siano debitori agli Stati Uniti di essenziali beni alimentari, è un dato reale; ma gli Stati Uniti non possono bloccare questo genere di commerci senza condannare alla fame milioni di persone, specie in quei Paesi che non producono petrolio e che già pagano due volte, con l'energia e con i prodotti industriali, il costo della crisi (il disperato « Quarto Mondo »). E quanto a un embargo selettivo, che colpisca solo i Paesi petroliferi, esso appare ancor più irrealistico: miliardi e miliardi di dollari serviranno bene a reperire del cibo in qualche parte della Terra... Inoltre sembra eccessivo il rischio di un drastico blocco, per rappresaglia, dei rifornimenti di greggio: eccessivo per l'Europa, che importa la quasi totalità del suo fabbisogno, assai più che per l'America, che dalle importazioni dipende, almeno per ora, solo marginalmente. Certo, assai difficilmente l'Occidente assisterebbe inerte al collasso delle proprie strutture economiche: come dice YObserver di Londra, sarebbe inevitabile « la tentazione di ricorrere a disperate misure militari »; e accenni in tal senso, sia pure teorici e successivamente ridimensionati, sono venuti dallo stesso Ford. Ma è chiaro che non è a ipotesi del genere (le quali dovrebbero poi fare i conti con l'Urss) che può puntare una seria strategia dei Paesi consumatori. Poiché tutte queste obiezioni saranno ben presenti a Gerald Ford e a Henry Kissinger, il senso del loro « messaggio » ai Paesi petroliferi dev'essere un altro, più generale. Esvogliono far intendere a chi ha le mani sui rubinetti del pe- irolio che è giunto il momen- lo di una spiegazione decisiva, di una valutazione lucida dei rispettivi interessi. Se nessuna singola minaccia è tale da Impaura ai Paesi produttori, il loro insieme denota un animus che, in ultima analisi, sarebbe ingenuo sottovalutare, in una superpotenza come l'America. Più facile, in teoria, dovrebbe essere, per i Paesi petroliferi, capire alcune verità fondamentali: che il pericolo di una recessione generalizzata coinvolge anche loro, col resto del mondo; che non è nel loro interesse contribuire all'inflazione mondiale, che svaluta i loro stessi redditi; che è invece conveniente per tutti concorrere alla salvezza dei Paesi consumatori e all'instaurazione, su basi nuove e concordate, di un equo sistema di commercio mondiale. Gli europei appaiono esitanti, dietro l'alleato americano, per la considerazione, solo in parte legittima, della diversità a breve termine dei rispettivi interessi petroliferi. Però mol ti angoli si sono smussati, ed è lontano il tempo in cui la Francia, rappresentata da Jo bert, irrideva alla strategia «glo baie» di Kissingcr: al « verti- ce» a cinque di Washington, Sauvagnargucs ha espresso riserve morbide, in uno spirito di cooperazionc. In ogni caso, è essenziale che riserve e obie-1 zioni, di sostanza o di metodo, siano fatte valere all'interno di uno schieramento unitario. Evitare il « bis » degli Anni Trenta significa soprattutto questo: vincere la tentazione di salvarsi in proprio, a spese del vicino, respingere il miraggio delle deflazioni competitive, difendere il « sistema » della collaborazione fra gli Stati. Non è questione di opporre cartello a cartello, ma di coordinare i problemi e le esigenze. Ciò appare ancora più importante per i Paesi più deboli, che più risentono della crisi mondiale, come l'Italia. Tutto il viaggio di Leone e Moro in America è slato, del resto, un tentativo d'inserire la crisi italiana in un contesto più rassicurante, o meno drammatico; e ora sono a Washington Colombo e Carli. Ciò che l'Italia può e deve fare da sé è mettersi in grado di farsi aiutare: il che non vuol dire subire condizionamenti politici inaccettabili, ma riacquistare una strategia ad uso interno, un'identità ora smarrita o sfuggente. Aldo Rizzo

Persone citate: Carli, Gerald Ford, Henry Kissinger, Kissinger, Moro, Quarto Mondo, Robert Mcnamara, Washington Colombo