Dicevano bugie pure al ministro di Fabrizio Carbone

Dicevano bugie pure al ministro Dicevano bugie pure al ministro Roma, 28 settembre. «Nelle prossime settimane le novità non mancheranno. E saranno anche novità clamorose», ci disse Giulio Andreotti a fine agosto, in un colloquio di cui soltanto oggi possiamo parlare, nel momento in cui rimetteva piede al ministero della Difesa. Fu in quei giorni che, per la prima volta, si parlò di inchiesta sul Sid. Perché il servizio segreto non collaborava con la magistratura, perché il giudice istruttore di Milano, Gerardo D'Ambrosio, era stato costretto a un braccio di ferro durato anni prima d'essere messo al corrente degli sconcertanti retroscena del «caso Giannettini»? Pochi giorni prima, mentre era in crociera, Andreotti aveva ricevuto un messaggio urgente: i dirigenti e gli ex dirigenti del Sid, in particolare i capi dell'ufficio «D» (sicurezza interna) volevano sapere come si sarebbero dovuti comportare, visto che D'Ambrosio era tornato alla carica e i giornali avevano scritto che non esisteva più segreto politico o militare, perché | proprio il ministro della Difesa l'aveva tolto con una di- I chiarazione firmata al giudice. I «Capisce? Chiedevano a me come dovevano comportar| si...» ci disse Andreotti: «La riI sposta era scontata, era l'uni| ca possibile: dovevano dire la verità ». Così venne fuori una verità che neppure Andreotti conosceva. Il ministro era convinto che il Sid avesse rotto da tempo i rapporti con Guido Giannettini, il neofascista ex redattore del Secolo d'Italia. L'aveva anche dichiarato in più di un'intervista: «Da quando Giannettini è entrato nella sfera di competenza del magistrato, il servizio segreto non lo ha più avvicinato». Non era vero. Lo ricordammo al ministro: Giannettini ebbe soldi dal Sid quando da mesi il giudice D'Ambrosio aveva firmato un mandato di cattura per concorso in strage. Andreotti doveva aspettarsi davanti l'osservazione rispose pron-io: «Sono stato preso in giro, Lo avevo chiesto e mi avevano assicurato che il Giannettini non aveva più avuto rapporti con il Sid. Mi sono state dette bugie e non hanno avuto neppure il buon gusto di dirie in modo convincente. Ci sono modi di fare, atteggiamenti, mentalità che devono essere cambiati. Ci sono persone che mantengono rapporti che vanno oltre il loro mandato. E poi c'è l'assurdo che I qui si lavora da una parte con j jj computer e dall'altra con il , f0giio di carta velina, infilato ldentro una busta rovesciata». II riferimento era evidente. Andreotti aveva in mano una cartella verde, con le informative che il Sid passò al ministero dell'Interno nella seconda metà del 1973 e che riguardavano segnalazioni di movimenti di fedayn palestinesi nel nostro territorio. C'era anche la famosa informazione (H aicembre 1973, tre giorni prima della strage di Fiumicino) che l'attuale capo dell'ufficio «D», generale Gianadelio Maletti, rivelò a Bologna dopo essere stato interrogato a Milano da D'Ambrosio e dal sostituto procuratore della Repubblica Emilio Alessandrini. Andreotti scorse rapidamente quelle carte: si specificavano nomi e cognomi, ca¬ ratteristiche fisiche dì un commando, che però non aveva in mente un'azione precisa a Fiumicino. Si dovevano «allertare» e sorvegliare gli aerei della compagnia israeliana «El Al» e le sedi di rappresentanza diplomatica e commerciale di Tel Aviv. Di un «obiettivo nordamericano» (come l'aereo poi attaccato dai fedayn) si parlava invece in una nota del Sid. datata 12 novembre 1973. «Capisco, disse Andreotti, che si è trattato sempre di segnalazioni generiche: ma bisogna anche considerare che i servizi di sicurezza lavorano su informazioni che passano di mano in mano e che devono del resto essere prese in considerazione». Le critiche, in quei giorni si appuntavano quasi tutte sul ! generale Maletti, più volte indicato come addetto militare in Grecia all'epoca del golpe e «amico dei colonnelli». Malet¬ ti, ora, ha avuto una parte notevole nel passaggio dei documenti alla magistratura. Forse fu proprio in previsione di questo che il ministro Andreotti lo difese. Parlammo con Andreotti anche delle centrali eversive internazionali. «Ce ne sono due, confermò, in due importanti città». E il discorso finì proprio sui temi che in queste ore sono saltati di attualità: ci sono complicità delle forze armate nelle trame nere. «Sulla fedeltà dell'esercito alla Costituzione, sono parole di Andreotti, non ho dubbi. Ci potranno essere casi isolati». Dopo questo breve colloquio, Andreotti tornò al lavoro. Ma disse che ci sarebbero stati fatti nuovi «nelle prossime settimane». Per non turbare le indagini ci vincolò al segreto. «Capirà il perché entro breve tempo», terminò. Fabrizio Carbone

Luoghi citati: Bologna, Grecia, Italia, Milano, Roma, Tel Aviv