Il piano eversivo di Borgh perno di tutte le trame nere

Il piano eversivo di Borgh perno di tutte le trame nere Nel dicembre del '70 il primo pericolo per le istituzioni Il piano eversivo di Borgh perno di tutte le trame nere Il progetto del "principe nero" era una cosa seria - Vi erano implicati personaggi che si ritrovano nelle successive inchieste sui fascisti - Strane voci sulla fine di Borghese, morto un mese fa : forse riesumata la salma Roma, 28 settembre. Valerio Borghese organizzò il Fronte nazionale, appoggiandosi a ex repubblichini e a ex para, ina anche a qualche militare e ad ambienti industriali, specialmente liguri, tentando « Forme eversive, in contrasto assoluto con l'ordine democratico dello Stato ». Queste ultime sono parole di un magistrato. Le scrisse Marcello De Lillo, giudice istruttore, quando il 22 marzo 1972 respinse la richiesta di revocare il mandato di cattura per il «principe nero», che da circa un anno viveva tranquillo in Spagna, ospite di Franco, ma che voleva tornare in Italia. De Lillo, dopo questa decisione, venne promosso. Ne aveva diritto e da tempo aveva chiesto il trasferimento. Ma prima di andarsene, avrebbe molto volentieri portato a termine l'inchiesta su Junio Valerio Borghese, gli uomini che l'ex comandante della « decima Mas » manovrava e quelli che avevano puntato su di lui. Non gli fu possibile: per l'abilità indubbia dei difensori (ma solo per questa?) il processo fini con l'arenarsi. L'inchiesta era cominciata nel marzo 1971. Le prime notizie erano state pubblicate da Paese Sera, giornale romano, e avevano destato sensazione, con immediata eco in Parlamnto. Si parlò e si scrisse di tentativo di colpo di Stato. In una palestra romana, la notte fra il 7 e l'8 dicembre 1970, alcune centinaia di uomini di Borghese si erano riuniti. Da Cittaducale era partito un reparto della forestale, per un viaggio ancora non del tutto chiarito. Era pronto un piano per l'occupazione della Rai-tv e del Viminale. Il « principe nero » aveva preparato i « proclami alla nazione ». Marcello De Lillo, affiancato dal sostituto procuratore della Repubblica Claudio Vitalone, firmò mandati di cattura. Fra gl'imputati, oltre a Borghese, l'ex maggiore dell'esercito Mario Rosa, segretario amministrativo del Fronte, profugo dalmata, Remo Orlandini, costruttore edile, Giovanni De Rosa, ex ufficiale di complemento, Giuseppe Lo Vecchio, ex colonello dell'aviazione. Chiudeva l'elenco Sandro Saccucci, segretario dell'associazione dei para, imputato anche nel processo contro Ordine nuovo. Saccucci, il 7 maggio 1972, poche settimane dopo essere uscito dal carcere, fu eletto deputato nelle liste del msi, con 18 mila 285 voti di preferenza. Con la candidatura di Saccucci (e con quella di Pino Rauti) il msi non ebbe difficoltà a raccogliere i voti del l'ultradestra. Adesso Saccucci fa parte della commissione Difesa della Camera. L'inchiesta giudiziaria ha subito una sorte particolare. I difensori hanno presentato una serie di ricorsi e controricorsi, bloccandola. De Lillo e Vitalone cercavano d'indagare, ma da un giorno all'altro si vedevano togliere gli atti, perché servivano alla sezione istruttoria della corte d'appello, che doveva decidere su uno dei ricorsi contro i mandati di cattura. Poi gli atti erano necessari alla Cassazione, poi alla procura generale, poi di nuovo alla sezione istruttoria. E ogni spostamento dei fascicoli non durava un giorno o una settimana, ma mesi e mesi fino a che gli imputati furono scarcerati. A De Lillo, promosso e trasferito, seguì Filippo Fiore, un altro giudice istruttore, che entrando in ufficio trovò un armadio pieno di documenti: «Quelli sono i fascicoli sii Valerio Borghese», gli disse il cancelliere. Fiore, con la massima buona volontà si mise al lavoro: erano passati due anni dall'inizio dell'inchiesta, quasi due e mezzo dalla notte del 7-8 dicembre 1970. Su una strada parallela ai ritardi della magistratura, è stata condotta una campagna di stampa, articolata sul giornale (Il Secolo d'Italia) e sui periodici (.Borghese, Specchio, Candido) della destra. Con informazioni parziali, gli amici di Borghese sono riusciti, con il passare del tempo, a minimizzare. Esplosivo? Macché, era una damigiana di vino. Piani per l'occupazione dei centri nevralgici? No, era in programma una scampagnata. E così del golpe si è quasi finito con il non parlare più. E' stato ricordato, ma a grandi linee, solo quando, l'altro mese Junio Valerio Borghese è morto. Adesso abbiamo la conferma che era una cosa seria. E' vero che gli uomini del «principe nero», quella notte, tornarono a casa. Ma non fu perché pioveva, come sempre la destra ha cercato di far credere, ironizzando. Avvenne qualche cosa che stroncò il piano reazionario. Che era organizzatissimo. A Milano c'erano altre centinaia di uomini pronti a intervenire; la magistratura romana sta indagando, perché sembra che il capo, in Lombardia, fosse Carlo Fumagalli, ora in carcere per gli attentati del Mar (Movimento azione rivoluzionaria). Anche a Genova furono notati strani movimenti e sembra che a dirigerli fosse uno degli uomini fatti arrestare dal giudice istruttore Giovanni Tamburino, che indaga sulla « Rosa dei venti » e che ha scoperto preoccupanti collusioni in ambienti militari. E' arrivato il momento di mettere insieme queste inchieste, almeno a livello di contatti, di informazioni fra i giudici. Perché fino ad ora ogni magistrato è andato avanti non sapendo che cosa facesse l'altro, né quali risultati avesse raggiunto. Se « Mar », « Rosa dei venti », « Fronte nazionale », « Ordine nuovo » (attraverso Saccucci) e altri movimenti di destra con addentellati in organi dello Stato parteciparono alle riunioni del dicembre 1970, vuole dire che Borghese sa peva quello che diceva quando dichiarò che stava « preparando un centro di potere che possa un giorno prendere il posto delle strutture attuali ». Il Sid ora ha consegnato i documenti, anche se la magistratura li giudica insufficienti. Non è la prima volta che il servizio segreto entra in questa vicenda. Riprendiamo da un atto ufficiale entrato due anni fa nell'istruttoria: « Il Sid, avendo avuto sentore "da fonte fiduciaria" della programmata azione iti corso, ha ritenuto doveroso, per la • dtendibilità della fonte, avvertire i competenti organi di p. s. e dei carabinieri ». Ma il servizio segreto poi si fece da parte. I giudici hanno dovuto lavorare da soli, fra mille difficoltà interne ed esterne, con risultati scarsi, tanto che tutti gli imputati sono ormai liberi e uno è addirittura in Parlamento, coperto dall'immunità, membro della commissione Difesa. E intanto le trame, i piani sovversivi sono stati rilanciati. Anche oggi non tutto è chiaro. In tribunale, a Roma, corrono strane voci sulla morte di Valerio Borghese. Si parla di una possibile esumazione della salma. E la destra mette le mani avanti. II Borghese dei senatori missini Mario Tedeschi e Gastone Nencioni attacca Andreotti e un magistrato nel numero stampato prima ancora che si sapesse dell'intervento del Sid presso la magistratura, dimostrandosi molto ben informato. Scrive: « Si parla con insistenza in questi giorni di un rapporto die il ministro della Difesa avrebbe trasmesso a un giudice romano, notoriamente vicino alla de e, guarda caso, alla de romana. Si dice pure che questo rapporto, involgendo responsabilità di altissimo livello, avrebbe dovuto, se non altro per correttezza, essere prima comunicato al presidente del Consiglio ». Andrea Barberi Valerio Borghese: nel dicembre 1970 tentò un colpo di Stato

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