I friulani proibiti di Stefano Reggiani

I friulani proibiti LE MINORANZE AL CONFINE ORIENTALE I friulani proibiti II risveglio degli studi linguistici ha approfondito la coscienza autonomistica - La regione paga il difficile connubio con Trieste - AI centro del dibattito un prete contestatore e glottologo che predica in "furiano" (Dal nostro inviato speciale) Udine, settembre. Sotto un nuovo segno culturale, che unisce la tutela delle minoranze con la protesta delle « nazioni proibite », sembra ripresa in Friuli la polemica autonomista: al centro (poiché ogni avvenimento collettivo vuole un personaggio che solleciti l'immaginazione) c'è un prete glottologo e uccellatore. A Montenars, povero paese di collina tra boschi verdissimi, lungo la strada per Gemono, don Francesco Placereani, noto in lingua come pre Checo, ha la sua casa natale e il roccolo per catturare gli uccelli con le reti. Nel modesto tinello, che affaccia .sulla campagna, riceve i collaboratori più stretti, dotati di una fede che ha ottenuto recentemente gualche successo. Pre Checo ha tradotto in friulano il Nuovo Testamento ed ora è a buon punto con il Vecchio; anche le sue prediche sono tenute nella lingua familiare ai fedeli e raccolte in un volume col titolo Pe unitat di gleise tal Friul. Ama gli aforismi e le espressioni di biblica inde¬ terminatezza, secondo gli usi degli oratori e dei traduttori. « Vogliamo che lo Stato ci rispetti come popolo, perché ci ha adoperati e noi gli siamo sempre rimasti fedeli ». « Il clero sta aprendo gli occhi alla realtà del suo popolo. Chi ha più occhi arriva prima ». « Abbiamo deciso di non morire e di non lasciare impuniti i tentativi di omicidio ». Lo scopo della sua azione è di dare ai friulani « piena coscienza della loro autenticità e genuinità ». Non separatisti Gli occhiali del prete in borghese s'ingemmano di malizia carnica, parla e si volta ai suoi fidati per accoglierne la rispettosa approvazione. Alle corte: Piacereani e i suoi collaboratori fanno un discorso separatista? Dice di no, con indulgenza. « Oggi in Europa il separatismo non avrebbe senso »; ma ammette che vorrebbe vedere applicato in Italia un modello federale. Avverte, col sussidio di esempi (Germania, Usa, Urss, Svizzera) che gli Sta¬ ti federali patiscono meno le crisi politiche. Lascia intendere, in via subordinata, che il popolo friulano potrebbe trarre giovamenti, da un pacchetto di concessi*, ni simili a quello adottato per l'Alto Adige. Don Placereani e i suoi assistenti giustificano questa richiesta di autonomia come un'esigenza storica: «Riprendere contatto con l'Europa ». Anche minacciano: « Se entro dieci anni lo Stato italiano non prenderà atto delle nostre esigenze, sarà peggio per tutti ». Usciti dalla casa e dalla piccola aia, la strada scoscende verso il piano: pre Checo ci accompagna con una improvvisa emozione, saluta con fierezza, scamiciato e sudato, in mezzo ai contadini. Si dice che sia stato a lungo « in castigo » tra gli emigranti di Argentina. Da poco gli è stata tolta la licenza dell'insegnamento religioso nelle scuole: gli è rimasta la consolazione d'insegnare filosofìa. In città, a Udine, gli amici di don Placereani sono riuniti nel Movimento Friuli: tre eletti nel passato Con- siglio regionale, uno nel nuovo. Leggiamo nel programma elettorale: « Il Movimento è stato il primo interprete della volontà delle genti friulane di affermarsi come popolo in un'Europa di popoli ». Il presidente Ceschia ci informa subito che possono esserci stati brogli elettorali per privarli di un secondo consigliere. Hanno pagato il primo successo con l'ostilità dei partiti e i dilemmi del potere inaspettatamente ottenuto. Dopo il trionfo c'è stata una rivoluzione al vertice: uomini che condussero le battaglie vittoriose si sono ritirati ed il posto è stato occupato da un gruppo di giovani addestrati alle lotte studentesche. Forse la vicenda ha una morale: « Il facile traguardo — analizza il presidente — aveva impigrito la fantasia dei nostri rappresentanti. Bisognava voltar pagina e parlare il linguaggio dei giovani ». I dissidenti Gino Di Caporiacco e Gianfranco Ellero così spiegano il rifiuto: « La presenza di un gruppo friulano al convegno sulle minoranze di Trieste è stato un gesto di autodenigrazione inconcepibile. Noi qui siamo la maggioranza, non soffriamo di alcun complesso d'inferiorità, ma ci sentiamo pieni di orgoglio civico ». Si capisce che ormai un abisso li divide dai « gruppettari » del loro ex partito. Gino Di Caporiacco ha accusato anche il vescovo, mons. Battisti, di essersi lasciato strumentalizzare dal subdolo don Placereani e di aver organizzato un viaggio in Svizzera tra gli emigranti friulani senza nessun appoggio ufficiale di forze politiche a lui consentanee. Ma il vescovo Battisti, che viene da Padova, s'è messo a studiare il friulano ed ora fa le sue prediche in lingua nazionale. Le due capitali Che cosa sta succedendo realmente in Friuli e come possono essere interpretati i fermenti della comunità linguistica, pretesa « nazione proibita »? E che peso ha nella protesta la parlata friulana, così dolce e cantante nelle desinenze latine? La Regione Friuli Venezia Giulia paga adesso la sua natura necessariamente bìfida. Trieste è una capitale scomoda per Udine, che ha altri problemi e diversa storia. Le due città non furono mai legate per traffici e unità politica. Il Friuli guarda al retaggio del patriarcato di Aquileia e alla dominazione veneziana come a due segni, pur contrastanti, di unità nazionale: dall'Austria non ha avuto eccessivi favori. La ragion di Stato ha dettato le nozze con Trieste, imponendo nella consumazione che il ruolo di capofamiglia spettasse alla città giuliana. Cosi dalla convivenza è nato lo scontento, insieme con i sogni di riscossa nazionale, sollecitato da un patrimonio linguistico 1 eccezionale. | Alle richieste particolari (la facoltà di Medicina) si sono mescolate le rivendicazioni contro il potere cen¬ trale; accanto agli studenti che scendono in piazza ci sono i prudenti che meditano in privato: chiameremo tutti « furlanisti », disposti lungo una gamma severamente misurabile. Se da un lato troviamo i separatisti-avventuristi (quelli che durante una visita di Saragat giravano col bracciale a lutto contro il rappresentante «italiano») dall'altro possiamo incontrare i gentili cultori delle tradizioni popolari che esplorano i borghi per raccogliere dalle nonne le vecchie filastrocche. E' evidente che tra i due gruppi corre una differenza non solo di fantasia, ma anche di formazione sociale e culturale. In un solo modo separatisti e studiosi del folclore possono trovarsi vicini su posizioni autonomiste: attraverso le vie della crisi economica, delle rivendicazioni settoriali, del calo di credibilità del centro. La piccola e media borghesia cittadina è genericamente scontenta: sostiene la de, ma regala anche voti al Movimento Friuli, parla italiano o veneto, ma ostenta interesse per le pubblicazioni in friulano e per la storia patria. Diventa autonomista per snobismo o per incertezza. I contadini delle montagne sono cattolici alla maniera friulana, per tradizione regionalisti, fedeli alla Chiesa locale e ai preti nazionali. In loro la componente autori omista significa la difesa della casa e dei campi: le servitù militari, che spesso ripetono disposizioni obsolete (non si possono impiantare le viti per non intralciare le manovre della cavalleria) incidono sul malcontento in misura molto ampia. Di recente la costruzione di una strada militare è stata sospesa per l'opposizione della gente, a Reana. II clero è giudicato dai moderati della curia tra i più « ingovernabili » d'Italia. Nel '67 ha fatto una dichiarazione sui mali del Friuli che può essere ancora citata per chiarezza e obiettività. Temi dell'emigrazione e del sottosviluppo economico trovano nei preti interpreti poco condiscendenti con la retorica dei fogolars friulani sparsi nel mondo. Gli intellettuali La « furlanità » linguistica, il ritrovarsi nazione dove gli altri sono dialettali, ha toccato soprattutto gli intellettuali, che la fresca facoltà di Lingue contribuisce a trattenere in sede, sottraendoli all'esilio volontario. I poeti del gruppo « Resultive » si rifanno a Pasolini, che scoprì da queste parti la sua vocazione popolare; i pittori a Zigaina, gli scrittori a Carlo Sgorlon che di recente, pressato dagli amici, ha tradotto in friulano e dato alle stampe uno dei suoi numerosi inediti (l'edizione è esaurita). La regione, il governo, le istituzioni possono amabilmente accogliere la friulanità come riscoperta linguistica e magari fervore didattico (i concorsi in lingua locale sono favoriti nelle scuole), ma cercano di limitarne il contenuto politico. La Società Filologica, che da anni persegue un'opera lodevole di restauro culturale, è aiutata con contributi pubblici per il suo agnosticismo ideologico, e anzi intesa come stimolo di italianità in contrapposizione alle altre minoranze di frontiera, gli sloveni goriziani e gli slavi del Natisone. Il vicepresidente della società, Luigi Ciceri, conferma che i suoi tremila soci non si sentono per nulla antitaliani, semmai antiburocratici e, forse, antiromani. In città lo Stato ha sempre il volto arcigno dell'erario. Tra tutte le poesie in friulano che Ciceri ha pubblicato, insieme con un'eccellente biblioteca di studi locali, forse la più significativa è un sonetto ancora inedito intitolato alle tasse. La descrizione delle bellezze del Friuli e della lingua è scandita da un verso dominante: «Pagate e tacete». Ci spiega un manager udinese che il massiccio prelievo fiscale nella regione, documentato ampiamente dalle statistiche, non deriva da una particolare ingordigia dello Stato, come molti sostengono, ma da una carat teristica civica: « Siamo onesti, denunciamo tutto ». Può darsi che solo per questa abitudine i friulani vadano considerati una minoranza preziosa, degna di tutela e di leggi speciali. Se invece crediamo che le virtù e i sacrifici di frontiera meritano altra ricompensa che una battuta, possiamo porre una meditazione conclusiva alla testimonianza sulla protesta regionale: l'autonomismo della « nazione » friulana si combatte e si recupera con una semplice misura, un miglior governo nello « Stato » italiano. Stefano Reggiani 1 ffC , IH II III II I»!". ■ dm ì Jjb sui %l M. ì / 4 f^f Udine. Il tipico mercato del formaggio in un angolo della città vecchia (Foto Berengo Gardin - Grazia Neri)