Domenica ammazzo un camoscio di Guido Ceronetti

Domenica ammazzo un camoscio Domenica ammazzo un camoscio In fatto di taglio della testa, l'opinione è unanime: un col po di scure unico, preciso e definitivo è infinitamente meglio di cinque o sei maldestri, che rimandano penosamente al successivo, e mantenendo la testa un po' più a lungo attaccata al collo non procurano al sog getto nessun piacere. Troncare, in tutti i sensi, è sovente buono; cincischiare è sempre crudele e indecente. Perciò se, su poco più di duecento camosci condannati legalmente all'abbattimento nelle valli piemontesi, la mannaia venatoria ne ha spacciati cento nella prima giornata di caccia, è un motivo di compiacimento vedere che le cose sono state fatte così in fretta. Duecento camosci in due ore sarebbe stato meglio, ma anche duecento in un paio di giornate di caccia è un risultato onesto. Quel che hai da fare fallo subito, così diceva un celebre Camoscio, amante dei proverbi, la cui faccenda non finì tanto presto. Mu penso con dispiacere al cacciatore disoccupato delle successive giornate, arrivato tardi al tiro della capra selvatica, quando il tirasegno legittimo ha spento le luci e la ragazza ha messo a dormire le carabine; che cosa farà? Costretto a deviare la mira dal cornuto animale rupestre, su quali bersagli sostitutivi il ma linconico punterà l'arma? Perché il camoscio? Perché è così grande e così libero, certamente. Borsette, prosciutto, scarpe, barbecue, trofei, tutto questo è più conseguenza che scopo. Il fine è punire di esistere un resto di pericolosa libertà selvatica. Non è insensato. Paragonata col regime di costrizione e di asservimento quasi completo dell'essere urbano (si può ancora dirlo uomo o cittadino? è un essere urbano), la vita del camoscio è un'inammissibile insolenza. Vediamo: stanza ad aria condizionata, luci artificiali sempre accese, finestre sempre chiuse, su e giù in ascensori che somigliano a meccaniche piante carnivore, precotti aziendali, diritti e doveri emanati da centrali lontane, bacino semipietrificato, colazioni di lavoro, per divertimento corsa dentro un automa fino a un luogo di ombre e fumo dove ti aspettano Cavani e Pasolini... Mentre sen¬ ti la decomposizione dell'anima in atto nella carne mortale, trovi conforto in questo pensiero: « Domenica ammazzo un camoscio ». II sogghigno del camoscio è insopportabile. E' l'ironia bieca di chi sa ancora correre e saltare, invecchiare senza pensione, curarsi senza mutua, partorire senza droghe, viaggiare senza turismo, dormire senza sonniferi, vivere senza alfabeto. I cacciatori di camosci senza fucile sono molti milioni. Apparentemente, non ci sono rapporti col rito famoso della capra espiatoria; tuttavia, nel piombo destinato al camoscio, c'è probabilmente un'incalcolabile impregnazione di malattie e di maledizioni urba ne e sociali. Nello stesso tempo, agisce la formidabile legge dell'uniformità, con la quale non è permesso scherzare: «Ti sradico perché non mi somigli ». Il camoscio è ucciso, significativamente, proprio nei luoghi della sua massima colpa, là dove comincia finalmente la sua libertà vera, fuori dei limiti della zona protetta. Dove campa e prolifica senza paura. ridotte le insidie, sotto la vigilanza di una sessantina di guardie, la sua libertà somiglia a quella dei Navajos o dei Sioux nelle riserve indiane. Non è una libertà in vista di niente, è una libertà per non privare l'uomo di camosci. Una città di rifugio è solo un'alternativa alla morte. I camosci protetti si riproducono senza economia, e nello spazio che il potere urbano gli ha riservato cominciano a soffrire i mali dell'affollamento, insidia mortale della libertà. Lina certa noia serpeggia in loro. Alcuni televisori, offerti da zoofili, sistemati su rupi, ne hanno peggioralo l'umore. La nostalgia di una patria alpina senza guardie gli appesantisce il cuore. « Attento: oltre quel cartello, per te c'è la morte ». Va bene, pensa il camoscio, cono il rischio. E si mette a correre perdutamente, ih preda a un'ebbrezza catartica, come il centauro di Maurice de Guérin, mentre decine di teleobiettivi, carichi d'impurità urbane, spiano i suoi movimenti di libero condannato a morte. Guido Ceronetti

Persone citate: Cavani, Maurice De Guérin, Pasolini