Tre anni al trafficante che fece morire 3 negri di Giuliano Marchesini

Tre anni al trafficante che fece morire 3 negri La sentenza al tribunale di Trieste Tre anni al trafficante che fece morire 3 negri Dietro compenso stava portandoli clandestinamente in Francia dove speravano di occuparsi - Il 13 ottobre del '73, durante una marcia nella foresta, tre di essi stremati dagli stenti e dalla fatica morirono (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 23 settembre. Si è rievocato in tribunale a Trieste il dramma della «tratta» dei negri del Mali, che passavano clandestinamente le frontiere per andare- incontro al miraggio d'un lavoro in Francia: tre di loro morirono d stenti durante una marcia allucinante sulle alture della città, appena al di qua del confine con la Jugoslavia. Incalzati da una miseria che non concedeva scampo, gruppi di africani si rassegnavano ad affrontare questi viaggi massacranti, per tentare di uscire dal cerchio della fame. E c'era qualcuno che traeva profitto dall'interminabile, angoscioso, bestiale «cammino Cilla speranza». Il traffico venne scoperto perché all'alba del 13 ottobre dello scorso anno, nella zona di Sant'Antonio in Bosco, tre uomini di colore che stavano r.el mezzo d'una fila barcollante caddero di schianto: erano Namadou Niakhate, 19 anni, Sejdou Dembale, ventiduenne, e Bakory Traore, 27 anni. Per alcune ore non si riuscì a chiarire il mistero della morte di quei tre negri. Due erano stramazzati su una strada, l'altro su una massicciata: indossavano abiti estivi e calazavano scarpe di fibra sintetica. Poi si accertò che erano stati uccisi dal freddo, dai patimenti. Altri tre componenti quella disperata comitiva dovettero essere ricoverati all'ospedale per gravi sintomi di assideramento. E con il proseguire delle indagini si giunse alla scoperta della «tratta» dei negri del Mali. A rispondere davanti ai giudici della tragedia era chia- mato oggi un altro africano, Foussenou Traore, nato verso il 1942 a Baudiongoula — è scritto sul fascicolo del processo — e residente a Parigi. Era accusato di triplice omi] cidio colposo per avere provocato la morte dei tre connazionali facendo loro attraversare clandestinamente — «a scopo di lucro», diceva il capo d'imputazione — la frontiera jugoslava, costringendoli a marciare senza sosta per più di dieci ore in zone impervie, in una notte in cui la bora soffiava a oltre 80 chilometri orari, con una temperatura che sfiorava lo zero, sotto una pioggia battente. Arrestato durante l'inchiesta, Foussenou Traore ottenne in seguito la libertà provvisoria e fu assegnato al campo profughi di Padriciano, con l'obbligo di tenersi a disposizione della magistratura triestina. Ma in seguito egli fece presente che non poteva più essere trattenuto nel campo profughi, e che non aveva mezzi per continuare il suo soggiorno a Trieste. Chiese e ottenne di rientrare in Francia. Nel corso dell'istruttoria, Foussenou Traore respinse ogni addebito. «Non è vero — disse — che per il trasferimento di ogni lavoratore in Francia ricevevo 3500 franchi alla partenza e cinquemila all'arrivo». Un testimone Stamane l'imputato non si è presentato davanti ai giudici. Non c'è quasi nessuno a questo processo. Un solo testimone: Giovanni Mari, un ferroviere che abita nella casa cantoniera poco lontano dal luogo in cui avvenne la tragedia. Conferma le dichiarazioni rese alla polizia: «Verso le 4,30 del 13 ottobre scorso venni svegliato da alcuni colpi, qualcuno batteva coatro il cancello d'ingresso. Mi alzai e andai ad affacciarmi olla finestra: vidi un uomo di colore, chiedeva con insistenza qualcosa, ma non capivo perché parlava nella sua lingua. Allora scesi all'ingresso, scorsi altri due uomini seduti per terra. Uscendo sulla strada, poi, notai altre due persone, stavano distese, e accanto a loro c'erano dei fagotti. Presi la macchina e andai immediatamente ad avvertire i carabinieri di San Dorligo». Ma il dramma dei negri del Mali è racchiuso tutto nelle dichiarazioni rese durante l'istruttoria da Loussana Baradi j, uno degli scampati alla tremenda marcia: «Anch'io ho abbandonato il Mali, laggiù non si trovava da vivere. Sono partito con alcuni coni- pagni, nessuno ci aveva istigato. Sono molti quelli che dal nostro Paese cercano di raggiungere l'Europa per trovare finalmente un'occupazione. Raggiungemmo Algeri attraversando il Sahara sul "solito" autocarro. Nella capitale algerina ci sistemammo in un albergo, con altri emigranti, in attesa di raggiungere un 'Paese europeo con regolare visto e quindi tentare di entrare in Francia clandestinamente. Ci dissero che quasi tutti facevano questo percorso: raggiungevano in aereo la Jugoslavia, da qui si facevano accompagnare fino al confine italiano, lo attraversavano abusivamente con l'aiuto di qualcuno, e lo stesso si faceva poi alla frontiera con la Francia». In aereo Così, il gruppo salì su un aereo, arrivò all'aeroporto d'una città «vicina al mare», dopo aver fatto scalo a Roma. Poi salì su un altro velivolo, che lo trasportò fino a Zagabria. Qui i componenti la comitiva sostarono in un albergo. «E qui — racconta Loussana Baradij — trovammo l'individuo che avrebbe dovuto agevolarci: era Foussenou Traore. Mai visto o sentito nominare prima. Costui ci chiese di pagargli, a missione compiuta, un compenso di 300 mila franchi. Io gli spiegai che non avevo denaro e che anche in Francia mi sarebbe stato difficile procurarmi una somma così grossa. Allora Traore si accontentò della promessa di 250 mila franchi». Il giorno dopo, verso le 12, partirono a bordo d'una corriera. «Tra ore diceva che il viaggio sarebbe stato molto semplice, senza pericoli, perché lui conosceva bene il percorso: si vede che l'aveva fatto altre volte. Viaggiammo molte ore su quel pullman, raggiungemmo infine un piccolo paese in una sona alta, da dove non si vede il mare». Era ormai sera. Gli uomini scesero e il loro accompagnatore disse loro che da quel punto avrebbero dovuto continuare a piedi. Sempre seguendo Traore, entrarono in una zona boscosa, dapprima per piccole strade, poi attraverso sentieri. La pioggia si faceva più fitta. «Sentivamo sempre più freddo. Passammo sul fianco della montagna, eravamo tutti preoccupati, perché non si arrivava mai. Non so nemmeno quante ore marciammo. Tante, di sicuro. Arrivammo a una piccola casa di pietra. Qui Bakory crollò a terra, sfililo. Anche gli altri dissero che non ce la tacevano più. Pregarono Traore di andare a cercare soccorsi, di procurare qualche mezzo per portarci tutti al sicuro. Lui ci promise di tornare con gli aiuti, poi, non so più niente, non avevo più forza di niente». Anche Loussana Baradij stramazzò a terra, in seguito dovette essere portato all'ospedale. Il tribunale emette la sentenza dopo circa un quarto d'ora di camera di consiglio. Foussenou Traore è condannato a tre anni di reclusione per triplice omicidio colposo. Giuliano Marchesini

Persone citate: Giovanni Mari, Traore