LETTERE AL GIORNALE di Paolo Grassi

LETTERE AL GIORNALE LETTERE AL GIORNALE Bassani risponde a Lajolo sullo scempio dei boschi del Monferrato - Precisazioni di Paolo Grassi sul bilancio della Scala Giorgio Bassani risponde a una lettera inviatagli, attraverso La Stampa, da Davide Lajolo sul tentativo dì distruggere boschi e paesaggio di ima sona del Monferrato per una speculazione edilizia, attuata «con l'inganno» di voler aiutare la campagna, che si avvia allo spopolamento e alla morte. Caro Lajolo, di ritorno a Roma dopo un mese di assenza, rispondo alla tua lettera del 1° settembre, apparsa su «La Stampa». La storia che essa denuncia documenta ancora una volta quale fine stia facendo il territorio del nostro Paese. Dopo le coste, che sono state svendute e martoriate come ognuno ben sa, tocca ora ai monti e alle colline. E tutto ciò in nome del «turismo», naturalmente, il quale turismo, ormai, agli occhi di chi guarda al territorio del nostro Paese, ha assunto significati sinistri. In ogni caso, «Italia Nostra» fa quello che può. Tu stesso mi dici che i nostri Soci di Alba si sono mossi. Li solleciterò (anzi li ho già sollecitati tramite il presidente della sezione di Torino, architetto Vigliano) perché insistano. Ma sia ben chiaro. Tanto Bassani, quanto la Sezione albese di «Italia Nostra», avranno bisogno ancora del tuo aiuto e della tua presenza, co sì come ci sarà bisogno dell'impegno del presidente della Regione, il quale, per parte sua, ci scrive che non esiste la possibilità di alcuna «prote zione regionale» (sic!) volta ad impedire lo scempio dei boschi del Monferrato. Ma per tornare a te, tutti sanno quanto tu sia impegnato in innumerevoli battaglie civili. Spero perciò che non vorrai semplicemente considerare me, e «Italia Nostra», come puri «delegati» per questa specifica battaglia. Occorre che tu insista. Se ciò non accadesse in che modo potremmo fronteggiare i cento casi analoghi che le Sezioni di «Italia Nostra» quotidianamente denunciano? Come nel Monferrato, così nel Veneto, nell'Appennino Tosco-Emiliano, nell'Abruzzo, nel Molise, nella Basilicata e nella Calabria, per non parlare della Sicilia e della Sardegna, continuano ad essere progettate lottizzazioni, alberghi, tagli di boschi, ecc. Chi se ne farà carico? Giorgio Bassani Caro direttore, nel ringraziarla della costante attenzio ne con cui il suo giornale se gue l'attività e i problemi del Teatro alla Scala tengo a pre cisare e a correggere quanto è detto a pagina nove della Stampa di ieri domenica 22 settembre da Remo Lugli. Dice il Lugli che «... dei 13 enti italiani tutti sovvenzionati soltanto il Regio di Torino e l'Ente concerti del Conservatorio di Cagliari hanno chiuso in pareggio cioè sono riusciti a contenere le spese nella misura del contributo ricevuto e il Carlo Felice di Genova ha addirittura avanzato 35 milioni, tutti gli altri hanno chiuso con un ulteriore disavanzo: il più alto è quello della Scala; seguono la Fenice di Venezia con 1 miliardo e 300 milioni, l'Opera di Roma, 1 miliardo e 41 milioni, il Massimo di Palermo, 1 miliardo, per finire con l'Arena di Verona, 80 milioni di passivo...». A queste dichiarazioni non posso non rispondere che se la Scala avesse messo fuori il bilancio 1973 («per memoria», come si usa dire) certe voci avrebbe chiuso «sulla carta» in pareggio così come sempre sulla carta altri enti annunciano codesto pareggio. Il disavanzo del bilancio consuntivo '73, infatti, di lire 940 milioni 845 mila 508, non riguarda atti o fatti di gestione dell'ente, ma deriva da fenomeni socio-economici che si chiamano scatti di contingenza per lire 142 milioni, interessi passivi per lire 587 milioni, presenza del teatro Bolscioi a Milano (per direttive del governo) nell'ottobre - novembre per circa lire 211 milioni. Sia chiaro che contingenza e interessi passivi non sono le spese effettive per queste due voci nel bilancio '73, ma quanto la Scala ha speso in più nei confronti del proprio bilancio preventivo. Paolo Grassi