Le piume bizzarre della Belgiojoso

Le piume bizzarre della Belgiojoso Le piume bizzarre della Belgiojoso Charles N. Gattey: « Cristina di Belgiojoso », Ed. Vallecchi, pag. 257, lire i 1.300. Per la polizia austriaca era una Messalina che riascondeva in un armadio a Locate il cadavere imbalsamato dell'amante, un'amazzone sanguinaria, una rivoluzionaria per corruzione snobistica. Per l'amante di Liszt una pososa e un vampiro, per Balzac una terribile intellettuale, per De Musset una gelida civetta. Il vecchio Lafayette ci perse la testa e lei, cui in queste cose doveva piacere di pagar poco, ricambiò fino alla fine. Quanto a Garibaldi e Mazzini, nell'assedio di Roma del '49 la videro come più tardi sarà vista la Nightingale. Cavour, Napoleone III, Thiers, Heine, Chateaubriand, Chopin, Bellini, Thierry, l'ebbero amica e benefattrice, ospite generosa, mecenate. Stendhal forse se ne ricordò per costruire la sua duchessa Sanseverina; Henry James la raccontò come La principessa Casamassima. Lei, Cristina Trivulzio, nata nel 1808, era andata sposa al bellissimo Belgiojoso, che però era un tipo sanguigno e brutale, un aristocratico da Reggenza inglese: le cose non andarono e lei si rifugiò in brividi intellettuali-cospiratori; galoppava di notte armata e vestita da uomo come una Primula Nera o impallidiva di eterne infelicità. Fu un « uccello dalle piume bizzarre » che esiliata a Parigi posava alla povertà in nude soffitte o visitata l'Opera vestita da suora, rincasava a scoprirsi le belle spalle: sdraiata sul divano in una sala tappezzata di nero, incoronata di fucsie, fumava il narghilè ascoltando poesie in proprio onore. Disperata, certo. Ma nevrotica, della nevrosi esistenziale dei figli del secolo. Rivoluzionaria e aristocratica, incapace di amare ma affamata di passione, cospiratrice tenebrosa ed amica-agente di primi ministri e di re {Storia di casa Savoia), cattolica (Essai sur la formation du dogme), illuminista (Essai sur Vico), femminista in prima persona (Della condizione attuale delle donne) ed utopista russoviana: apre scuole ed asili nelle sue tenute e dal '50 al '55 tenta in Turchia una comune agricola dove avrebbero dovuto raggiungerla i rivoluzionari fuggiaschi dall'Italia. Finì, invece, accoltellata da un torbido (o troppo semplice?) carpentiere bergamasco, derubata dall'intendente alsaziano. Fuggì lei, ma in Italia e Louise Colet la vide a Milano come una vecchia curva e vacillante, « uno scheletro ingobbito coperto dal vestito bianco come da un sudario ». Personaggio continuamente bruciato, dunque; eppure prima della fine riuscì ad essere una viaggiatrice intelligente, non poteva che rea- lizzarsi nel movimento, e il suo Diario dalla Turchia a Gerusalemme e ritorno riesce fortunatamente a ignorare i tramonti alla Chateaubriand (vent'anni prima, a Parigi, si era rifiutata di ascoltare le letture private di Mémoires) per raccontare la propria curiosità solida, lombarda, progressista, di muftì e briganti, harem e danze del ventre. Questo libro del Gattey riceve certamente lo smalto dal personaggio rappresentato, ma è sciolto dai tabù nazionali e così è anche ricco di quel « controrisorgimento » sempre tenuto sotto acqua: la brutta fuga di Carlo Alberto da Milano in pericolo; i dissidi tra Garibaldi e Mazzini; i volontari napoletani spediti a morire ammazzati dal governo provvisorio milanese che non voleva entusiasti tra i piedi: insomma la lunga e solita congiura moderata all'italiana. Le « piume bizzarre » non potevano che insospettire. Claudio Savonuzzi Cristina Belgiojoso

Luoghi citati: Gerusalemme, Italia, Milano, Parigi, Roma, Savoia, Turchia