Il cristianesimo e la politica di Sergio Quinzio

Il cristianesimo e la politica Il cristianesimo e la politica Quelli che modernamente vengono chiamati « rapporti fra Stato e Chiesa » risultano oscuri fin dalle pagine del Nuovo Testamento, e i secoli successivi, da parte loro, hanno provveduto a sovraccaricarli di nuove oscurità, confusioni, spesso vergogne e orrori. San Paolo dice: « Ciascuno si sottometta ai poteri stabiliti, poiché non c'è potere se non da Dio e quelli che ci sono sono stabiliti da Dio. Così colui che si oppone al potere si oppone a ciò che Dio ha stabilito. E i ribelli meriteranno la condanna. Infatti, le autorità non sono da temersi quando si agisce bene, ma quando si agisce male. Vuoi non aver nulla da temere dal potere? Agisci bene e riceverai la lode, perché è uno strumento di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, temi, perché non è senza ragione che porta la spada: è al servizio dell'ira di Dio per castigare chi fa il male. Di qui la necessità di sottomettersi non soltanto per il tintore del castigo, ma anche per motivo di coscienza. E' per questo che pagate imposte, perché si tratta di funzionari stabiliti per questo compito. Date a ciascuno il dovuto: a chi l'imposta, l'imposta; a chi la tassa, la tassa; a chi il timore, il timore; a chi l'onore, l'onore » (Romani, XIII, 1-7). Ci sono altri passi simili, ma questo è più che sufficiente, credo, per mostrare la faccia della medaglia (mentre non serve allo scopo il « date a Cesare » di solito citato, a sproposito). Ma c'è anche un rovescio della medaglia, che risulta altrettanto nettamente da numerosi altri passi neotestamentari. I « poteri stabiliti » che non i buoni devono temere, ma solo gli empi, sono quelli che hanno crocifisso il Signore; e quando Paolo scrive la sua Lettera ai Romani a Roma regna Nerone, che sette anni più tardi scatenerà la prima persecuzione e che la tradizione cristiana identificherà con l'Anticristo. Non c'è forse scritto, nel Vangelo, che i regni di questo mondo appartengono a Satana, che li dà a chi vuole (Luca, IV, 6)? e non è forse scritto che, anche dopo la resurrezione di Gesù, « il mondo intero è in potere del Maligno (V Giovanni, V, 19)? Questa contraddizione si cerca di superarla (Cullmann, Schlier) affermando che il potere civile, necessario e perciò legittimo nel suo ordine, perde ogni legittimità quando, assolutizzando se stesso, si pone come idolo in luogo di Dio. La sottomissione del cristiano ai poteri civili ha cioè un limite: l'obbedienza non è dovuta allo « Stato totalitario », quello che l'Apocalisse vede salire come Bestia mostruosa dal mare. Può darsi che sia così, anche se non si può essere ingenui fino al punto di ignorare che esistono forme di potere subdole e seducenti — come il potere esercitato dall'attuale società consumistica — più idolatricamente totalitarie delle tradizionali forme esplicite e violente di tirannide. Ma il problema non è tanto di stabilire i limiti del riconoscimento cristiano dei poteri civili, quanto piuttosto di comprendere il perché e il senso di tale riconoscimento. I credenti — dice Paolo — sono chiamati a giudicare il mondo e gli angeli (2° Corinti, VI, 2-3), perché dunque devono sottostare ai poteri mondani? « Per motivo di coscienza », perché il loro potere è un potere giusto, il cui permanere è voluto da Dio? oppure devono subirlo come subiscono la morte e la malattia, le realtà tenebrose del « vecchio eolie », i nemici cioè che il Signore non ha ancora debellato (V Corinti, XV, 24-26)? Che senso ha, in definitiva, il perdurare della storia con le sue miserie e i suoi orrori dopo che l'Agnello di Dio ha tolto i peccati del mondo? * ★ Non si è mai veramente risposto a queste domande. E le cose si sono complicate quando lo Stato si è proclamato cristiano. E' ormai raro che un teologo osi toccare temi come questi: l'ha fatto Gianni BagetBozzo, nel capitolo « Cristianesimo e politica » che ha premesso alla sua storia della democrazia cristiana (Il partito cristiano al potere, ed. Vallecchi). Vi distingue tre « tipi fondamentali di teologia della politica emersi nel corso della storia della Chiesa ». Per il primo modello — «eusebiano», perché delineato da Eusebio di Cesarea nel IV secolo — lo Stato in quanto esprime mediante leggi, costumi e istituzioni la civiltà cristiana è la realizzazione del potere di Cri¬ sto nella storia. Come avveniva nell'Antico Testamento, in questo schema la dimensione sacerdotale e cultuale è storicamente mediata dalla potenza pubblica del potere politico cristiano. Per Eusebio, l'imperatore è infatti al di sopra della Chiesa, e come delega i magistrati al governo secolare cosi delega i vescovi al governo della Chiesa. Accadrà persino, quando i musulmani conquisteranno Costantinopoli, che la nomina del patriarca sarà fatta dal Sultano, nel nome dell'unico Dio. Nel secondo modello — « gelasiano », perché enunciato da papa Gelasio I nel V secolo — è la Chiesa, e non Io Stato, la « figura slorica della potenza del Cristo. La gerarchia ecclesiale appare come investita di tale potere in modo diretto ed è da essa che questo viene comunicalo all'autorità politica ». E' questo lo schema « divenuto classico nell'insegnamento papale: il potere temporale è soggetto alla gerarchia ecclesiastica per motivi spirituali », il « gladius spiritualis » « può applicarsi a tutte le questioni politiche, può giudicare della giustizia di una guerra o della legittimità morale di un provvedimento del pubblico potere ». A questi due modelli, che potremmo anche chiamare ghibellino e guelfo, si contrappone un terzo modello, che ha inciso profondamente nel pensiero cristiano ma è stato politicamente ben poco operante. E' lo schema delle due contrapposte città di sant'Agostino, il cui contrasto è la norma della storia, ed è l'unico modello che « conserva la tesi neotestamentaria di un legame tra il potere politico ed il potere che Satana esercita nel mondo ». * ★ Baget-Bozzo espone in sintesi ma con precisione l'alternarsi dell'influsso dei tre modelli lungo la storia, fino a oggi. Con la crisi della cristianità e il formarsi di un potere e di una cultura secolarizzati sembrerebbe doversi affermare il modello delle due città contrapposte; e invece c'è piuttosto, a cominciare dal pontificato di Leone XIII, un tentativo di reinterpretare e modernizzare il classico modello gelasiano, riducendolo a schema concordatario e aprendo la via alla figura del partito cristiano come mediatore fra Chiesa e società civile. Da Pio XII in poi ci si allontana sempre più da forme dottrinali sistematiche per passare a prese di posizione immediatamente riferite alla situazione storica. Oggi si può dire che i tre modelli coesistano confusamente: le pretese gelasiane non sono morte, ma i « progressisti », proclamando l'autonomia dottrinale e pratica dell'ordine temporale, ripropongono il modello eusebiano; all'estremo opposto, lo schema agostiniano è presente nella diffusa consapevolezza della radicale incompatibilità fra Stato prolano moderno e Chiesa. Baget-Bozzo, dopo aver riconosciuto che nessuno dei tre modelli è adeguato, comincia a raccontare la storia della democrazia cristiana. Non si è risposto nulla, o piuttosto si è risposto tutto, tutto insieme oppure di volta in volta a seconda delle opportunità storiche. Basta questo per capire quale multiforme equivoco debba essere l'esistenza di un « partito cristiano ». Ma più che verificare storicamente la tesi sarebbe interessante tirarne le conseguenze: che cosa ne è della verità cristiana nella storia se, in un punto così grave, è così inadeguata, incerta e capovolgibile? Sergio Quinzio

Persone citate: Bestia, Corinti, Cullmann, Gianni Bagetbozzo, Leone Xiii, Nerone, Pio Xii

Luoghi citati: Costantinopoli, Roma, San Paolo