La questione democristiana di Luigi Pedrazzi

La questione democristiana La questione democristiana Al dibaltito de Lu Stampa sulla «questione comunista» partecipano personalità del mondo politico c della cultura, le cui opinioni non coincidono necessariamente con la linea di questo giornale. Ma ha proprio senso star qui ad esaminare i comunisti, le loro posizioni teoriche e pratiche, per giudicare se essi possano andare, o stiano per andare, al governo? Questa impostazione a me sembra astratta e alquanto ipocrita. Quel che è concreto e reale è che il governo in Italici non funziona, o funziona così poco che un'alternativa, un cambio, un rinnovamento si impongono. Per brevità di discorso, prendiamo per buone le analisi più semplicistiche della situazione italiana; quelle che si leggono sui giornali di destra: «Occorre lavorare di più e consumare di meno» (in realtà, occorrerebbe anche fare investimenti seri, e distribuire meglio carichi e compensi). Ora, c'è qualcuno che crede davvero il nostro governo in grado di ottenere che in Italia si lavori di più e si consumi di meno? Se questo, in certa misura, avviene, non è per l'azione del governo, per la fiducia che suscita, i risultati che ottiene. In Italia si lavora un po' di più per la paura di perdere il posto, ed è la svalutazione che viene riducendo la massa dei consumi interni. Con una buona dose di cinismo, si può anche essere con¬ tenti di questa dura lezione che il popolo viene ricevendo. Ma tutte le analisi indicano che la paura crescente degli operai e la loro ritrovata laboriosità non saranno sufficienti a tirarci fuori dai guai attuali; né basterà la capacità degli imprenditori. Il problema, infatti, è quello del quadro complessivo entro il quale si inserisce il lavoro di tutti. Indubbiamente, se gli italiani lavorassero moltissimo, consumassero pochissimo e, accettando una tregua sindacale e politica, se ne stessero perfettamente zitti, il governo registrerebbe un certo miglioramento della sua situazione. Ma la nostra? Essa non migliorerebbe affatto, non solo per la durata del severo esercizio, ma anche do- po, perché nulla permette di sperare che il governo diverreb- be, in cambio dei nostri sacrifici e della nostra pazienza, più bravo nel fare il suo mestiere, che sarebbe quello di conservare e far progredire un quadro generale, in modo che il lavoro di tutti si potesse indirizzare verso obiettivi giusti e reciprocamente compatibili, e vi fosse una soddisfacente proporzionalità tra oneri e vantaggi, se non per tutti-tutti (dato che non siamo in cielo), almeno per una larga maggioranza, visto che siamo in una democrazia. E' la situazione di scollamento e inefficienza della maggioranza storica che obbliga il Paese ad andare verso una svolta, ora che limiti e insufficienze tradizionali della lunga maggioranza sono impietosamente incalzati da una congiuntura internazionale non più favorevole ma, ahimè, obiettivamente difficile (e lo sarà abbastanza a lungo). In questo contesto, le capacità e i ineriti dei comunisti italiani (che pure mediamente sono discreti) non sono l'elemento decisivo; in questa fase di transizione, restano ancora più importanti e influenti le deficienze e le contraddizioni dei non comunisti. D'altra parte, nemmeno le incertezze dei comunisti (che Luigi Pedrazzi (Continua a pag. 2 in seconda colonna)

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