Bernabei lascia la Rai-tv di Andrea Barbato

Bernabei lascia la Rai-tv Conferma ufficiale attesa a giorni Bernabei lascia la Rai-tv Dirige l'ente radiotelevisivo da 14 anni - Diventerà amministratore delegato dell'I talstat - I nomi dei possibili candidati alla direzione e alla presidenza della Rai Roma, 16 settembre. Questa volta, la notizia è praticamente certa: entro pochissimi giorni, e al più tardi entro il 15 ottobre, Ettore Bernabei, l'onnipotente e controverso direttore generale della Rai-tv, lascerà la sua poltrona al settimo piano di viale Mazzini, che occupa da ben quattordici anni. Anticipata da alcune indiscrezioni, la «voce» si è fatta oggi concreta: sia pure ufficiosamente, si raccolgono conferme all'Iri, al ministero delle Partecipazioni statali, e soprattutto alla Rai stessa, dove la novità, sia pure tante altre volte preannunciata, è giunta tuttavia come una sorpresa. L'interessato, com'è sua antica abitudine, non rilascia dichiarazioni, ma si crede di sapere che abbia anch'egli confermato, in una stretta cerchia privata e familiare, la notizia del suo spostamento. La «caduta» di Bernabei (ampiamente compensata, come vedremo, dall'importante posto che egli va ad occupare sempre all'interno del gruppo Iri) si riveste di significati non soltanto tecnici e amministrativi. Bernabei non è solo il padrone incontrastato dell'informazione e dello spettacolo elettronico in Italia, ma la sua figura e il suo ruolo hanno assunto sempre più con gli anni un preciso connotato politico, nella mappa del potere italiano. Inoltre, la sua sostituzione avviene in un momento estremamente delicato per la Rai: fra poco più di due mesi, scadrà definitivamente l'ultima proroga per la convenzione di monopolio fra lo Stato e l'Azienda. Numerosi progetti di riforma, frutto di un tormentato travaglio politico, sono fin qui naufragati, e la trasformazione dell'ente continua ad essere un debito aperto dei dirigenti politici nei confronti dell'opinione pubblica. Ai primi di luglio, con una sentenza che ha fatto scalpore, la Corte costituzionale ha legato la sopravvivenza del monopolio stesso, e comunque della convenzione che affida i servizi in esclusiva alla Rai, all'esistenza di condizioni finora inattuate, come l'obiettività dell'informazione e il diritto d'accesso delle forze sociali e culturali a questo mezzo di comunicazione di massa. L'accordo raggiunto in aprile fra i partiti di maggioranza, e il «protocollo» aggiuntivo che ne definiva i criteri d'applicazione, è rimasto fino a questo momento l'unico documento concreto sul quale si sta avviando la riforma, o mini-riforma, della società radiotelevisiva. Ma sembrava certo, fino a ieri, che nell'inevitabile terremoto di cariche che avrebbero accompagnato quella scadenza di riforma, che è ormai anche un dovere costituzionale, il nome del direttore generale non sarebbe mutato. Bernabei, insomma, avrebbe dovuto succedere a se stesso, riformare se stesso. Sul suo ruolo, proprio in quel vertice d'aprile, l'insistenza degli oppositori dei democristiani si era spuntata. Ora, con una mossa a sorpresa, Bernabei lascia: e occorre chiedersene i motivi, poiché il fatto non accade certo per un colpo di testa, né si può immaginare che non sia avvenu¬ to nel quadro di una precisa tattica, concordata con i suoi autorevoli protettori politici. Esaminiamo i pochi dati a disposizione. Ettore Bernabei, lasciando la Rai, assumerà l'incarico di amministratore delegato e di direttore generale della società Italstat. Costituita nel 1968, è una finanziaria dell'Iri (97 per cento del pacchetto azionario), che guida il settore delle infrastrutture, dell'edilizia e dell'assetto territoriale, attraverso una serie di aziende. Ne fanno parte la Società per le Condotte d'acqua (130 miliardi di fatturato, ha costruito fra l'altro autostrade, la metropolitana incompiuta di Roma, il parcheggio di Villa Borghese), l'Italstrade appalti (che sta raddoppiando il centro siderurgico di Taranto) e una serie di società in vario modo collegate, con Tipi, la Svei, la Scai, la Spea, l'Italedil, la Finanziaria per il traforo del Monte Bianco e altre. Fatturato totale 217 miliardi, investimenti 18,8 miliardi, sedicimila dipendenti nel 1972; come si vede, un impero finanziario non meno rilevante della Rai, sebbene non c'è dubbio che il suo peso politico sia di gran lunga inferiore. Contemporaneamente, un altro ex dirigente radiotelevisivo, il socialista Luciano Paolicchi (che fu amministratore delegato), andrebbe ad assumere, in un momento certamente delicato, la presidenza della Finmare. Ettore Bernabei, fiorentino, figlio di un impiegato delle Ferrovie, padre di sette figli, ha 53 anni, è laureato in lettere, è stato assistente al magistero, ha rappresentato la de nel giornale del Cln, è diventato direttore del Popolo nel 1956. Cinque anni dopo, nel 1961, ha sostituito un altro democristiano, Rodolfo Arata, alla direzione generale della Rai. Ora, come si è detto, dovrà sostituire Cesare Romiti, che dall'Italstat è passato alla Fiat. In questo lungo re- gno, durante il quale la Rai ha conosciuto fortune alterne e si è comunque profondamente trasformata, la figura inamovibile di Bernabei è stata molte volte al centro di discussioni e di ipotesi. Le voci di una sua sostituzione si erano infittite negli ultimi tempi: per lui s'era parlato a lungo della Stet (che oltre ai telefoni avrebbe dovuto gestire l'intera rete delle trasmissioni via cavo), poi della presidenza dell'Iri o almeno di una fondazione culturale legata all'Iri. La gestione Bernabei è stata in tanti anni molte volte aspramente criticata: gli si rimproverano, da varie parti, metodi autoritari di potere, e la trasformazione dell'azienda in un grande apparato clientelare, al servizio del partito di maggioranza o addirittura di una corrente di quel partito. Un bilancio, certamente, dovrà in futuro tenere conto di luci ed ombre: ad esempio, potrà es¬ sere diversamente giudicato il cambiamento, opera di Bernabei stesso, che ha portato la Rai da una condizione di azienda neutra e tecnica ad un servizio strettamente collegato con il potere politico. L'utenza in questi anni si è enormemente dilatata, i programmi sono talvolta decisamente migliorati, e sono a livelli europei; e tuttavia le carenze dell'informazione sono state aspramente denunciate, la sentenza della Corte costituzionale pesa come una condanna, il bilancio si riaffaccia al pareggio solo quest'anno dopo una forzata austerity, il giudizio di osservatori stranieri (non ultima la rivista americana Newsweek) sulla qualità dei programmi italiani è decisamente severo. Ciò che si rimprovera anche alla Rai di Bernabei (e che forse egli ha in parte subito e in parte provocato) è di non aver saputo o voluto specchiare certe realtà anche sgradevoli della comunità nazionale, così come ha fatto ad esempio recentemente l'America con le udienze dello scandalo Watergate trasmesse «in diretta» o con il dibattito pubblico sull'inflazione. Resta da dire che non è certo sulla base di questi giudizi, del resto divisi, che viene decisa la sorte di Bernabei alla Rai. Come si è detto, proprio in questi giorni si sta riaccendendo all'interno della maggioranza il dibattito sulla riforma dell'ente, che dev'essere condotta in porto entro il 30 novembre, e che prevede una divisione in «reti» e il raddoppio del telegiornale serale, per un periodo definito sperimentale di tre anni. A queste decisioni dovrà certo accompagnarsi un vasto rivolgimento nell'organigramma interno, e un diverso rapporto con il mondo politico e con le forze sociali all'ester- Andrea Barbato (Continua a pag. 2 in sesta colonna) Roma, littore Bernabei

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