Più no che sì

Più no che sì Più no che sì Roma, 16 settembre. L'insistenza con la quale, ieri a Bologna, l'onorevole Berlinguer è tornato sull'offertarichiesta d'un «governo di svolta democratica», già lanciata in precedenza da Amendola e Galluzzi, dimostra che i comunisti non accettano un «non come risposta. Questa loro riluttanza si può comprendere con due constatazioni. La prima è che la teoria del «compromesso storico» fa da supporto alla linea seguita dal segretario del pei, e un suo fallimento, quindi, lo coinvolgerebbe. La seconda constatazione è che le repliche negative al progetto comunista non sono unanimi soprattutto nella de: al «no» netto di Panfani e anche di Moro e di Donat-Cattin non hanno corrisposto altrettanti «no» da parte di altri leaders di correnti, e, anzi, il ministro De Mita, il sottosegretario Granelli e altri della «Base» propugnano l'esigenza d'un discorso con i comunisti. V'è anche la titubanza dei socialisti, che appaiono divisi fra un rifiuto, un rinvio del problema e la necessità di giungere a «corresponsabilizzare» il pei nel governo del Paese, secondo la formula prospettata ieri dal ministro Giolitti, senza indicare per il momento in che cosa consista. Anche Nenni, citato ieri da Berlinguer, ha parlato dell'urgente necessità di un «governo d'emergenza per problemi d'emergenza», che non includa i comunisti nell'area del potere ma, in qualche modo da individuare, ne utilizzi l'apporto di grande forza popolare. I «no» secchi sono venuti, invece, dai socialdemocratici e dai repubblicani. Se questo è il quadro in cui s'inserisce il dibattito, resta il fatto che la richiesta-offerta del pei esiste e attorno ad essa ruotano le polemiche e, di conseguenza, gli sviluppi della situazione italiana, in un periodo di serie difficoltà economiche e politiche. Il dibattito, dunque, è necessario Berlinguer ha sostenuto che il «compromesso storico» è l'unica strada per risollevare il Paese dalla grave crisi, ma ha riconosciuto: «La questione della forma e dei modi in cui questa intesa deve attuarsi rimane ancora una questione aperta». Il punto è anche questo, ma devono essere spiegati, dai comunisti soprattutto, gli obiettivi che essi si propongono, sia nel caso eventuale d'una intesa, sia in quello, per ora più probabile, di un rifiuto da parte de- gli altri partiti chiamati in causa. Ecco qualche quesito, come apporto al dibattito in corso. Il pci fonda la forza della propria richiesta-offerta sulla possibilità di controllo che ha nei confronti del sindacato? In altre parole, l'irrigidimento della de, del psdi e del pri contro il «compromesso storico» provocherebbe una più dura opposizione nel Paese e in Parlamento, sia da parte dei comunisti, sia in sede sindacale, aggravando, inevitabilmente, le condizioni del Paese? Il progetto del pci, inoltre, può portare a uno spaccamene della de, con tutte le conseguenze che deriverebbero dalla frattura interna del partito di maggioranza relativa, in una situazione sulla quale gravano minacce oscure di tipo fascista. E' molto probabile che i comunisti non si propongano questo obiettivo. Mirano, allora, a fare pressioni sul psi e a realizzare una specie di «patto speciale» con i socialisti? Ma, in questo caso, è ragionevole supporre che quell'accordo pci-psi non sarebbe accettato dagli altri partiti che formano ora il centro-sinistra e, in ogni caso, provocherebbe la fine dell'attuale formula di governo. Anche senza questo «patto speciale», l'ipotesi di Berlinguer di un'estensione non ancora chiara dell'area di maggioranza, comporterebbe pur sempre una crisi di governo e potrebbe favorire le manovre già in atto per elezioni anticipate. Il pci è disposto a provocare una fase di vuoto politico nel momento stesso in cui afferma di preoccuparsi delle sorti del Paese? Lamberto Fumo

Luoghi citati: Bologna, Roma